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Sulla legittimità del limite della quota subappaltabile6 min read

La Corte di Giustizia ha considerato in contrasto con le direttive comunitarie il limite fissato della quota subappaltabile senza escludere che il legislatore nazionale possa individuare, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari, un limite al subappalto proporzionato rispetto a tale obiettivo.

Pertanto non può ritenersi contrastante con il diritto comunitario l’attuale limite pari al 40% delle opere, previsto dall’art. 1, comma 18, della legge n. 55/2019, secondo cui “Nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, fino al 31 dicembre 2020, in deroga all’articolo 105, comma 2, del medesimo codice, fatto salvo quanto previsto dal comma 5 del medesimo articolo 105, il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori”.

Di conseguenza, se un concorrente supera di gran lunga il limite dell’attività subappaltabile fissato dalla disposizione di cui all’art. 105, comma 2 prima del 30% e ora del 40%, è legittima la sua esclusione dalla gara.

Tar Lazio, Roma, sez. I, sentenza 24 aprile 2020, n. 4183 [1], Presidente Savo Amodio, Estensore Petrucciani

A margine

Una impresa viene esclusa da una procedura ristretta per l’affidamento di un servizio di monitoraggio di contratti ICT a fronte della non compatibilità del Gruppo di lavoro proposto con la disciplina di cui all’art. 105 del d.lgs. n. 50 del 2016 [2] accertata all’esito della verifica di anomalia.

In particolare la stazione appaltante ritiene, ai sensi del comma 3 dell’art. 105 del d.lgs. n. 50/2016 [2], che:

  • i 5 lavoratori autonomi proposti dal concorrente nell’ambito del gruppo di lavoro richiesto per l’esecuzione del servizio (su 10 complessivi) non possano essere impiegati nell’esecuzione dell’oggetto dell’appalto, ma solo in attività accessorie o strumentali.
  • tale utilizzo nelle attività principali è inquadrabile come subappalto, con conseguente violazione del limite della quota massima subappaltabile del 30% posta dall’allora vigente comma 2 dell’art. 105.

Pertanto l’impresa ricorre al Tar evidenziando che la norma citata chiarisce che non costituisce subappalto “l’affidamento di specifiche attività a lavoratori autonomi”, per cui in tale ipotesi non potevano applicarsi le limitazioni quantitative, la qualificazione e l’autorizzazione proprie del subappalto.

Inoltre, nella fattispecie avrebbe dovuto essere applicato il recente orientamento della Corte di Giustizia, secondo cui è incompatibile con l’ordinamento euro-unitario il limite alla quota subappaltabile previsto dall’art. 105 d.lgs. n. 50/2016 [2], con la conseguenza che l’eventuale superamento di tale limite non costituisce una causa di esclusione.

La sentenza

Il collegio ritiene che la stazione appaltante abbia fatto corretta applicazione della norma.

Infatti, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza in materia, e già con il precedente art. 118 del d.lgs. n. 163/2006, il legislatore ha inteso ampliare quanto più possibile il concetto di subappalto al fine di evitare ogni possibile elusione della disciplina in materia di evidenza pubblica qualificando come subappalto “qualunque tipo di contratto che intercorra tra l’appaltatore e un terzo in virtù del quale talune delle prestazioni appaltate non siano eseguite dall’appaltatore con la propria organizzazione, bensì mediante la manodopera prestata da soggetti giuridici distinti, in relazione ai quali si pone l’esigenza che siano qualificati e in regola con i requisiti di ordine generale; non sussiste sub-appalto soltanto laddove le prestazioni siano eseguite dall’appaltatore in proprio, tramite la propria organizzazione imprenditoriale” (Cons. Stato, sez. V, 3 aprile 2018, n. 2073 [3]).

Alla luce di tali principi la valutazione operata dall’Amministrazione in ordine alla connotazione quantitativa e qualitativa del ricorso al lavoro autonomo nell’offerta del raggruppamento ricorrente risulta immune da vizi, essendo stato correttamente posto in evidenza che i lavoratori autonomi non erano, nella specie, incaricati di specifiche attività, come richiesto dal codice, ma piuttosto della diretta esecuzione, in via generale, di attività costituenti l’oggetto principale dell’appalto, per l’intero periodo di durata del contratto.

Tali conclusioni costituiscono adeguata motivazione dell’esclusione, risultando evidente che lo svolgimento di tali attività nelle forme del lavoro autonomo implica l’affidamento del nucleo centrale delle prestazioni richieste a soggetto distinto rispetto all’affidataria del servizio e non incardinato stabilmente nell’organigramma della stessa, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente.

Pertinente è anche la notazione riportata dall’Amministrazione circa l’incidenza quantitativa del lavoro autonomo, riguardante 5 lavoratori su 10, per una percentuale di ore sempre superiore al limite previsto per il subappalto e per l’intera durata del contratto.

Né, al riguardo, rileva il richiamo operato dal ricorrente alla sentenza della Corte di Giustizia UE del 26 settembre 2019, causa C-63/19 [4], che ha affermato che “la direttiva 2014/24/UE [5] del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, come modificata dal regolamento delegato (UE) 2015/2170 della Commissione, del 24 novembre 2015, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi”.

La pronuncia richiamata, pur avendo censurato il limite al subappalto previsto dal diritto interno nella soglia del 30% dei lavori, non esclude la compatibilità con il diritto dell’Unione di limiti superiori.

Nella sentenza citata e in altra di poco successiva la Corte ha infatti evidenziato, richiamando precedenti decisioni, che “il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo, che può giustificare una restrizione alle norme fondamentali e ai principi generali del Trattato FUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici (v., in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2015, Impresa Edilux e SICEF, C‑425/14, EU:C:2015:721, punti 27 e 28 [6]). Tuttavia, anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno, una restrizione come quella oggetto del procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo” (Corte di Giustizia Europea, 27.11.2019, C-402/18 [7]).

Di conseguenza la Corte ha considerato in contrasto con le direttive comunitarie in materia il limite fissato, non escludendo invece che il legislatore nazionale possa individuare comunque, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari, un limite al subappalto proporzionato rispetto a tale obiettivo.

Pertanto non può ritenersi contrastante con il diritto comunitario l’attuale limite pari al 40% delle opere, previsto dall’art. 1, comma 18, della legge n. 55/2019 [8], secondo cui “Nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. n. 50/2016 [2], fino al 31 dicembre 2020, in deroga all’articolo 105, comma 2, del medesimo codice, fatto salvo quanto previsto dal comma 5 del medesimo articolo 105, il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori”.

Nel caso concreto il ricorrente ha demandato a contratti di lavoro autonomo una quota delle attività contrattuali molto superiore non solo al limite del 30% di cui al previgente testo dell’art. 105 del d.lgs. n. 50/2016 [2], ma anche all’attuale soglia del 40%, risultando complessivamente affidata a lavoratori autonomi, durante tutto il periodo quadriennale di vigenza dell’appalto, una rilevante parte delle attività contrattuali, ovvero il 60% del totale delle ore annue previste per l’erogazione delle attività di “Coordinamento di monitoraggio”, l’80% delle ore previste per le attività da svolgere in fase di avvio del monitoraggio, il 100% delle ore previste per le attività da svolgere in fase di chiusura dei contratti monitorati e il 38% delle ore previste per l’erogazione delle attività di consulenza e supporto.

Pertanto anche sotto tale profilo le censure proposte risultano infondate, risultando tali coefficienti di gran lunga superiori alla soglia del subappalto previsto dal legislatore nazionale al fine di contemperare le esigenze di controllo interno con i principi affermati in ambito comunitario.

Il ricorso è quindi respinto.

di Simonetta Fabris