Se il contratto di tesoreria prevede espressamente un corrispettivo in favore della banca che, in rapporto sinallagmatico, è tenuta ad una serie di prestazioni e se non è previsto il coinvolgimento di utenti, il contratto deve essere qualificato come appalto di servizi e non come concessione

Tar Campania, Salerno, sez. I, sentenza 4 dicembre 2017, n. 1700, Presidente Riccio, Estensore Santise

A margine

Il fatto – La questione sottoposta al TAR riguarda la giurisdizione o meno del giudice amministrativo in una controversia sorta a seguito della decisione del Comune  di recedere dal contratto di tesoreria in essere con una banca e di avviare una nuova procedura di gara per l’affidamento del medesimo servizio.

La Banca si rivolge al giudice amministrativo ritenendo che il provvedimento impugnato abbia natura di revoca e non di recesso, in quanto il servizio di tesoreria deve essere qualificato come concessione e non come appalto di servizi. La gestione della tesoreria, infatti, implica il conferimento di funzioni pubblicistiche, quali il maneggio di danaro pubblico e il controllo di regolarità sui mandati e prospetti di pagamento nonché sul rispetto dei limiti degli stanziamenti in bilancio (così Cons. Stato, sez. V, 25 febbraio 2014, n. 877).

Di diverso avviso il Comune, secondo cui nella fattispecie sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, in quanto la ricorrente ha impugnato un atto di recesso da un contratto di appalto di servizi avente natura di atto privatistico.

La sentenza – Per il TAR, la qualificazione del servizio di tesoreria come concessione non è affatto pacifica. Secondo diverso orientamento, infatti, l’affidamento del servizio di tesoreria andrebbe qualificato come appalto o concessione in base al “modo in cui l’Amministrazione remunera la controprestazione offerta”, che per l’appalto deve consistere  nel prezzo  e, per la concessione, nel “diritto di gestire il servizio, ricavandone il guadagno dagli utenti” (Cons. Stato, sez. V, 6 giugno 2011, n. 3377).

Come annota il TAR, la giurisprudenza richiamata dalla banca ricorrente (Consiglio di Stato, sez. V, 25/02/2014, n. 877) ritiene il servizio di tesoreria una concessione in una fattispecie in cui il sottostante contratto era a titolo gratuito.

Nel caso oggetto della sentenza annotata, invece, il contratto prevede espressamente un corrispettivo in favore della banca ricorrente, che, in rapporto sinallagmatico, è tenuta ad una serie di prestazioni. Tale dato, unitamente al mancato coinvolgimento di soggetti terzi, consente di ritenere il contratto in questione un appalto di servizi.

In altri termini, secondo il giudice, il discrimen è da individuare nella remunerazione del soggetto che instaura il rapporto negoziale con l’amministrazione: nella concessione di servizi emerge un rapporto trilaterale che coinvolge, oltre all’aggiudicatario e alla p.a., anche i terzi in favore dei quali viene svolto il servizio e che corrispondono, per questo, un corrispettivo; tale corrispettivo rappresenta la remunerazione del concessionario;  nell’appalto si instaura un rapporto bilaterale tra il comune e l’istituto di credito, senza coinvolgimento di terzi o dell’utenza.

Trattandosi di appalto di servizi, il provvedimento impugnato assume necessariamente le sembianze di un atto di recesso, perché legato ad un inadempimento dell’istituto di credito rispetto alle condizioni contrattuali concordate, e non di revoca.

Il Collegio ritiene, pertanto, il ricorso della banca inammissibile per difetto di giurisdizione.

Conclusione – Il servizio di tesoreria, se oneroso, deve essere qualificato come appalto, in quanto la remunerazione dell’attività svolta dal tesoriere è affidata ad un corrispettivo corrisposto direttamente dall’amministrazione. Se lo stesso servizio è reso,  invece, a titolo gratuito,  deve essere qualificato come concessione, in quanto la remunerazione per l’istituto di credito deriva indirettamente dal diritto di gestire il servizio e, più di preciso, dai benefici collegati alla gestione del servizio di tesoreria, quali ricadute di pubblicità e di immagine, ampliamento della clientela, gestione dei flussi finanziari dell’ente.

Molte le conseguenze che derivano dalla diversa qualificazione, a cominciare dalla metodologia di stima del valore del contratto: nell’appalto, l’importo massimo pagabile (art. 35, c. 4, d.lgs. n. 50 del 2016); nella concessione, il fatturato globale consegubile dal concessionario per tutta la durata del contratto, (art. 167 d.lgs n. 50 del 2016).

 Simonetta Fabris

 

 

 

 


Stampa articolo