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Sull’esclusione dalla gara per violazione del protocollo di legalità7 min read

IN POCHE PAROLE….

I protocolli di legalità o di integrità configurano specifiche cause di esclusione dalla procedura di gara, essendo idonei a integrare il catalogo tassativo delle cause di esclusione contemplate dal d.lgs. n. 50 del 2016.


C.g.a., sentenza 12 gennaio 2022, n. 32 [1] – Pres. De Nictolis, Est. Molinaro


La stazione appaltante ha il potere di valutare, con le regole proprie dell’istruttoria procedimentale, la riferibilità di determinate condotte al perimetro espulsivo previsto nei protocolli e ciò sia in relazione alla regola generale che trova emersione in ambito processuale nell’art. 34, comma 2, c.p.a., sia in quanto l’attività di valutare l’ammissibilità delle domande di partecipazione a gare pubbliche è appannaggio dell’Amministrazione in base alla disciplina di settore anche di derivazione eurounitaria, in presenza di cause di esclusione facoltativa.

A margine

In esito al giudizio di fronte al Tar, l’amministrazione annulla l’aggiudicazione di alcuni lotti di una procedura per l’affidamento di servizi di pulizia, servizi integrati e servizi accessori in ambito sanitario a fronte della presunta violazione, da parte delle imprese aggiudicatarie, del patto di integrità e degli artt. 30, 56, 59 e 80 del d. lgs. n. 50 del 2016 [2], con riferimento alle notizie di stampa riguardanti un procedimento penale pendente.

La sentenza argomenta sulla qualificazione del patto di integrità quale auto-vincolo pattizio, la cui violazione comporta l’esclusione e sulla considerazione in base alla quale all’”evidente e innegabile violazione degli obblighi assunti con la sottoscrizione del patto d’integrità” consegue “l’esclusione senza che possa riconoscersi alcun margine di discrezionalità in capo alla Stazione appaltante”, illustrando le ragioni della qualificazione dell’attività come vincolata e dei correlati poteri di valutazione della fondatezza della pretesa riconosciuti al giudice dall’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990. [3]

Le imprese escluse si appellano pertanto al Consiglio di Giustizia amministrativa affermando l’erroneità della sentenza per aver il giudice stesso valutato la violazione dei patti trattandosi invece di valutazione discrezionale riservata all’Amministrazione con conseguente preclusione per il giudice amministrativo a sostituirsi ad essa.

La sentenza

Il collegio accoglie il ricorso ritenendo che la fattispecie della violazione del patto di integrità presupponga la titolarità in capo alla stazione appaltante del potere di valutazione della riferibilità di determinate condotte al perimetro espulsivo previsto dai protocolli.

In merito all’inquadramento giuridico, si tratta di una fattispecie escludente che anticipa la soglia di tutela dell’interesse pubblico all’imparzialità e al buon andamento delle gare pubbliche.

In termini generali, quando all’Amministrazione è affidata una funzione, comprensiva del relativo potere e della preordinazione di questo a una determinata finalità, il giudice può intervenire solo dopo che detta funzione è stata esercitata, così come disposto dall’art. 34 comma 2 c.p.a. [4] che introduce, seppur a livello di fonte primaria e nei rapporti fra potere esecutivo e potere giudiziario, una riserva di amministrazione.

Il potere di valutare l’ammissione alla gara dei candidati rientra nel potere amministrativo di gestire le gare pubbliche, potere che si inquadra nell’attività di concorrenza per il mercato e che trova nel diritto UE un importante fonte di disciplina.

L’ipotesi escludente di cui alla violazione del patto di integrità non può che essere ascritta alle ipotesi di esclusione facoltativa laddove non vi sia una sentenza penale definitiva di condanna.

La Corte di Giustizia ha affermato che, come risulta tra l’altro al considerando 28, alla luce della regola comunitaria “il compito di valutare se un operatore economico debba essere escluso da una procedura d’appalto è stato affidato alle amministrazioni aggiudicatrici e non a un giudice nazionale” (sez. IV, 19 giugno 2019, in C-41/18).

Laddove infatti si consentisse agli organi giurisdizionali di valutare le violazioni delle norme di gara aventi portata espulsiva escludendo direttamente, in assenza dei relativi provvedimenti amministrativi, l’operatore economico, questi rimarrebbe privato della possibilità, correlata al rispetto dei principi di proporzionalità e non discriminazione, di usufruire, anche nell’interesse della stazione appaltante, di quelle misure riparatorie o di self-cleaning, di cui al paragrafo sesto del medesimo art. 57 della direttiva.

In aggiunta, l’Ad. plen. n. 16 del 2020 [5] si è pronunciata, seppur con riferimento alla fattispecie escludente di cui all’art. 80 comma 5 lett. c) d. lgs. n. 50 del 2016 [2], nel senso che “è pertanto indispensabile una valutazione della stazione appaltante” e che, “qualora sia mancata, una simile valutazione non può essere rimessa al giudice amministrativo”.

A quanto sopra si aggiunge che la riserva di amministrazione in punto di ammissione dei concorrenti alle procedure di gara non delimita soltanto il profilo soggettivo dell’organo al quale è demandato il relativo potere ma anche la tipologia di attività che il medesimo compie.

Invero, l’istruttoria demandata all’Amministrazione è connotata da profili di officiosità che non trovano corrispondenza, se non in minima parte, nel metodo acquisitivo, nel processo amministrativo, che invece, essendo un processo di parti fondato sul principio dispositivo, ha a disposizione anche il criterio probatorio della mancata contestazione e della mancata allegazione della prova o almeno del principio di prova. Di talché le due istruttorie non sono intercambiabili e la spedita istruttoria processuale si spiega e si giustifica anche in ragione del previo espletamento del procedimento amministrativo, che onera la parte pubblica di onerose attività di accertamento.

Ne deriva che il giudice amministrativo non può decidere direttamente sulla ricorrenza di un caso di esclusione facoltativa, disponendo direttamente per sentenza l’esclusione, se questo non è stato prima valutato dall’Amministrazione ma può solo rimettere la relativa valutazione all’Amministrazione medesima.

Tale circostanza ha una ricaduta specifica nella disciplina del patto di integrità laddove la relativa riserva di amministrazione è stabilita espressamente dal medesimo, nel senso che “il sottoscrittore, sin d’ora, accetta che nel caso di mancato rispetto degli impegni anticorruzione assunti con la sottoscrizione del presente patto di integrità, comunque accertato dall’Amministrazione, potranno essere applicate le seguenti sanzioni”, fra le quali l’esclusione dalla gara.

In particolare, l’applicazione di sanzioni è oggetto di un potere (“potranno”) dal contenuto mutevole, atteso che le conseguenze sfavorevoli che l’Amministrazione può decidere di applicare possono essere varie, essendo indicate in termini di esclusione dalla gara, escussione della cauzione provvisoria o definitiva, risoluzione del contratto, esclusione triennale dalla partecipazione a gare e risarcimento dei danni: l’ampia portata oggettiva degli obblighi discendenti dalla sottoscrizione del patto di integrità ha indotto ad attribuire un correlato potere valutativo all’Amministrazione, in modo che possano essere calibrate le conseguenze delle relative violazioni.

Ne deriva che il potere dell’Amministrazione comprende non solo l’accertamento dei presupposti di applicazione della sanzione ma anche la scelta in ordine alla stessa sanzione da irrogare, quanto, in particolare, alla tipologia di sanzione applicabile.

Nel caso di specie, pertanto, il potere di accertamento riconosciuto espressamente all’Amministrazione dal patto di integrità e il potere di scelta in ordine alla “sanzione” applicabile devono poter essere dalla medesima esercitati attraverso una valutazione in concreto, prima che intervenga il giudice amministrativo.

Nel caso in cui tale valutazione sia mancata, come nel caso di specie, il principio di separazione dei poteri, che in sede processuale trova emersione nel divieto sancito dall’art. 34 comma 2 c.p.a. [4] (secondo cui il giudice non può pronunciare “con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”), impedisce al giudice di pronunciarsi se non attraverso l’istituto processuale di cui all’art. 31 comma 3 c.p.a. [4] e l’art. 34 comma 1 lett. c) c.p.a. [4], quando cioè, esercitata l’azione avverso il silenzio o l’azione di adempimento, si tratti di attività vincolata o comunque non residuino margini di esercizio della discrezionalità e non siano necessari adempimenti istruttori.

Nel caso controverso non solo residuano margini di apprezzamento del fatto e di discrezionalità in ordine alle conseguenze sfavorevoli irrogabili, ma si ravvisano anche esigenze di completamento dell’istruttoria, considerata anche la necessità di approfondire i presupposti di fatto dell’esercizio del potere escludente.

La causa di esclusione derivante dall’asserita violazione del patto di integrità avrebbe quindi dovuto essere scrutinata dall’Amministrazione.

La prospettiva è quella, da un lato, di tutela della parte pubblica e, dall’altro lato, di attribuzione di prerogative di tutela del diritto di difesa da parte del partecipante alla gara, da assicurarsi nell’ambito del procedimento amministrativo finalizzato all’eventuale irrogazione della “sanzione”.

Il patto di integrità rilevante nella controversia pertanto fa riferimento al potere accertativo dell’Amministrazione e al potere di questa di applicare sanzioni, così evidenziando le competenze della parte pubblica, descritte in termini non vincolanti delle relative prerogative.