Il superamento del taglio del 10% del compenso degli organi di revisione economico-finanziaria (a partire dal 1° gennaio 2018), introdotto inizialmente dall’art. 6 del D.L. 78/2010, pone alcune problematiche di natura transitoria in relazione agli incarichi in corso, dovendosi stabilire se è possibile procedere (o meno) ad un (ri)adeguamento automatico del trattamento riconosciuto.

In altri termini, non è sempre chiaro se, sulla base delle deliberazioni consiliari già adottate ed a partire dal 1° gennaio 2018, sia necessario corrispondere all’organo di revisione il compenso pieno oppure debba essere ancora riconosciuto il compenso ridotto fino alla conclusione del corrente incarico.

Sulla questione, recentemente, si è espressa la Sezione Regionale di Controllo della Toscana della Corte dei Conti (con il parere n° 76/2018) che ha individuato, come elemento decisivo, la volontà espressa dall’amministrazione nella delibera di nomina dell’organo di revisione.

Se, infatti, da tale provvedimento si evince in modo inequivocabile che la volontà dell’amministrazione deliberante era di fissare il compenso dell’organo di revisione nella misura prevista dal D.M. del 2005 per la fascia demografica del comune in esame (a cui transitoriamente è stata applicata la riduzione), il venir meno delle prescrizioni normative previste dal D.L. 78/2010 comporterà la riespansione del compenso ai livelli precedenti alla riduzione ex lege.

Nella sostanza, occorre verificare se la volontà dell’amministrazione, in relazione alla nomina, consisteva nel riconoscere all’organo di revisione l’importo “tabellare” previsto dallo specifico decreto ministeriale, a cui – in forza di una puntuale previsione di legge – era necessario applicare la riduzione ovvero, in alternativa, rideterminare (al ribasso) l’importo del compenso riconosciuto, considerando che proprio il decreto fissa un importo massimo (in proposito, è rilevante richiamare la deliberazione n° 16/2017 della Sezione delle Autonomie).

Per giungere all’indicata conclusione la pronuncia sviluppa un percorso logico-argomentativo (del tutto condivisibile) che parte dalla previsione contenuta nell’art. 241 del D.Lgs. 267/2000, secondo la quale il compenso deve essere determinato in relazione alla classe demografica ed alle spese di funzionamento e di investimento dell’ente locale nella delibera di nomina.

Successivamente, l’art. 6 del D.L. 78/2010 aveva disposto che, a decorrere dal 1 gennaio 2011 (e fino al 31/12/2017 per effetto di alcune proroghe), le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, fossero automaticamente ridotti del 10% rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010, con una previsione che è stata ritenuta applicabile anche agli organi di revisione.

Fermo quanto sopra, nondimeno, la natura convenzionale del rapporto tra organo revisore e ente locale, seppur eterointegrata da disposizioni quali quelle in precedenza richiamate, trova la sua disciplina giuridica nelle norme del codice civile anche alla luce della volontà delle parti.

Di conseguenza, il Consiglio può (e poteva) in ogni caso deliberare compensi inferiori rispetto a quelli indicati nel D.M. del 2005, il quale – invero – fissa esclusivamente gli importi massimi che l’ente può riconoscere ai propri revisori, essendo palese che il legislatore non ha inteso stabilire un tetto minimo al compenso dei revisori, privilegiando, da un lato, l’interesse dell’ente ad una prestazione qualificata, garantita dalle modalità di scelta del revisore e, dall’altro, quello al contenimento della spesa pubblica mediante limiti massimi al corrispettivo.

Ecco perché, per risolvere la questione in concreto, occorre determinare se l’ente aveva inteso esercitare siffatto spazio di autonomia mediante la (scelta di) riduzione del compenso spettante all’organo di revisione, ipotesi che non rende possibile la riespansione dell’importo riconosciuto in modo automatico ovvero se aveva intesa richiamarsi all’ammontare del D.M., con una soluzione – diversa dalla precedente – che consente di ripristinare il trattamento economico riconosciuto all’organo di controllo.

 

 


Stampa articolo