L‘individuazione di limiti minimi del compenso dei componenti dell’organo di revisione degli enti locali non compete alla Corte dei conti nell’esercizio della funzione consultiva» ma esclusivamente al legislatore ovvero al giudice qualora ‘importo sia fissato unilateralmente in misura non adeguata.

Corte dei conti, sezione Autonomie, deliberazione 28 giugno 2017, n.16/2017/SEZAUT, Pres. A.T. De Girolamo – Rel. M.Tonolo

Risolvendo una questione piuttosto delicata nel contesto degli enti locali, a seguito della rimessione operata dalla Corte dei Conti della Lombardia, la Sezione delle Autonomie  ha sancito che l’«individuazione di limiti minimi del compenso dei componenti dell’organo di revisione degli enti locali non compete alla Corte dei conti nell’esercizio della funzione consultiva» ma esclusivamente al legislatore ovvero al giudice qualora ‘importo sia fissato unilateralmente in misura non adeguata

Di conseguenza, l’interesse ad un adeguato corrispettivo trova le proprie garanzie nell’ambito del sistema come finora delineato e si realizza, allo stato della normativa, mediante lo strumento contrattuale – ove sia possibile la determinazione concordata del compenso (pur nei limiti massimi fissati dalla legge) – o in sede giudiziaria qualora la remunerazione fissata unilateralmente dall’ente appaia incongrua.

La questione non è  banale e ovviamente presenta dei riflessi sulla capacità , da parte dei soggetti che assumono tale ruolo (in generale mediante il meccanismo dell’estrazione), di esercitare in modo davvero efficace ed adeguato l’importante funzione di controllo attribuita dall’ordinamento finanziario e contabile che, bisogna riconoscerlo, ha investito sempre di più sugli organi di revisione per assicurare un appropriato presidio sulla gestione delle amministrazioni locali.

La stessa Sezione delle Autonomie, infatti, riconosce che «l’organo di revisione svolge un pregnante ruolo attivo anche ai fini del raggiungimento degli obiettivi generali di unità  economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, laddove esercita specifiche attività  di controllo e verifica ed assume l’onere di comunicazione alla Corte dei conti sul rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità  interno (ora sostituito da altri meccanismi di vincolo sui saldi dei Comuni), l’osservanza dei principi in materia di indebitamento in applicazione dell’art. 119, ultimo comma, della Costituzione e la sussistenza di gravi irregolarità  contabili e finanziarie con evidenti riflessi generalità».

Tanto è vero che la Sezione remittente aveva ipotizzato di individuare (tenuto conto dei meccanismi esistenti) il limite minimo di una determinata fascia nel compenso massimo attribuibile alla fascia immediatamente inferiore, combinando così il riconoscimento di un margine di autonomia al singolo ente locale all’opportunità  di individuare  comunque un trattamento economico congruo.

Secondo il giudice del controllo lombardo, infatti, la posizione di autonomia dei componenti dell’organo di revisione potrebbe «essere seriamente compromessa ove la determinabilità  discrezionale del compenso non fosse circoscritta, non solo entro un limite massimo, ma anche entro un limite minimo che assicuri una adeguata retribuzione a professionisti non più liberamente scelti, ma, in qualche modo, imposti all’ente dal nuovo sistema di nomina».

A parere della Sezione delle Autonomie, nondimeno, il quadro normativo vigente non ha inteso stabilire un tetto minimo al compenso dei revisori, privilegiando, da un lato, l’interesse dell’ente ad una prestazione qualificata, garantita dalle modalità  di scelta del revisore e, dall’altro, quello al contenimento della spesa pubblica mediante limiti massimi al corrispettivo.

Viceversa, l’interesse dei revisori ad evitare un vulnus alla propria professionalità  trova tutela nelle richiamate norme di carattere generale che stabiliscono criteri e principi di adeguatezza applicabili alla fattispecie in esame ed a cui l’ente deve attenersi. Secondo l’art. 2233, comma 2, del codice civile infatti, nei rapporti d’opera intellettuale, «in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione» e ciò a maggior ragione a seguito dell’abrogazione delle tariffe professionali.

E’ utile ricordare in ultimo, e per completezza, che della questione si era occupata, nel corso del 2015, anche la Sezione Regionale di Controllo della Sicilia della Corte dei Conti, che aveva concluso affermando che se, da un lato, l’adeguatezza della remunerazione appare criterio generale e normale cui ispirare le scelte discrezionali dell’organo dell’ente deputato a deliberare il compenso dei revisori, dall’altro lato, resta comunque fermo il principio civilistico secondo cui, in mancanza di norme imperative che impongono minimi tariffari inderogabili, l’onerosità  del contratto di prestazione d’opera contrattuale, costituisce elemento naturale come risulta dalle disposizioni codicistiche vigenti.

 

 


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