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Il perimetro di applicazione del cd “divieto di soccorso finanziario”6 min read

Il divieto di soccorso finanziario è espressivo di un vero e proprio principio di ordine pubblico economico, fondato su esigenze di economicità e razionalità nell’utilizzo delle risorse pubbliche e di tutela della concorrenza e del mercato.

Esso si impone alle amministrazioni pubbliche prescindendo dalle forme giuridiche prescelte per la partecipazione in organismi privati che finirebbero, altrimenti, col prestarsi a facile elusione del chiaro dettato normativo.

Corte dei conti, sezione regionale di controllo per le Marche, deliberazione n. 123 del 14 novembre 2019 [1]Presidente Contu, relatore Lo Giudice

A margine

Il quesito – La richiesta di parere concerne la corretta interpretazione dell’articolo 14, comma 5, del d.lgs. n. 175/2016 [2], secondo cui:

“Le amministrazioni … non possono, salvo quanto previsto dagli articoli 2447 e 2482-ter del codice civile [3], sottoscrivere aumenti di capitale, effettuare trasferimenti straordinari, aperture di credito, né rilasciare garanzie a favore delle società partecipate, con esclusione delle società quotate e degli istituti di credito, che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali. Sono in ogni caso consentiti i trasferimenti straordinari alle società di cui al primo periodo, a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti, purché le misure indicate siano contemplate in un piano di risanamento, approvato dall’Autorità di regolazione di settore ove esistente e comunicato alla Corte dei conti …, che contempli il raggiungimento dell’equilibrio finanziario entro tre anni. Al fine di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità, su richiesta della amministrazione interessata, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con gli altri Ministri competenti e soggetto a registrazione della Corte dei conti, possono essere autorizzati gli interventi di cui al primo periodo del presente comma”.

Il quesito è finalizzato a chiarire se la norma – che ha riprodotto il previgente art. 6, comma 19, del d.l. n. 78/2010 [4] – si applichi a tutte le partecipazioni detenute dagli enti locali, a prescindere dalla loro forma giuridica, e, quindi, se si applichi, oltre che alle società, anche ai consorzi e ai consorzi aventi natura di ente pubblico economico.

La delibera – La Sezione rammenta che secondo la costante giurisprudenza contabile l’art. 14, co. 5, del Tusp [2], sancisce il “divieto del soccorso finanziario” da parte di un ente pubblico rispetto ai suoi organismi partecipati e impone l’abbandono della logica del “salvataggio a tutti i costi” di strutture e organismi partecipati che versano in situazione di dissesto.

La norma fissa, quindi, un generale divieto di disporre, a qualsiasi titolo, erogazioni finanziarie ‘a fondo perduto’ in favore di società in grave situazione deficitaria, relegando l’ammissibilità di trasferimenti straordinari ad ipotesi derogatoria e residuale, percorribile con finalità di risanamento aziendale e per il solo perseguimento di esigenze pubblicistiche di conclamato rilievo, in quanto sottendenti prestazioni di servizi di interesse generale ovvero la realizzazione di programmi di investimenti affidati e regolati convenzionalmente, secondo prospettive di continuità. (Sezione regionale di controllo Lazio, deliberazione n. 66/2018/PAR [5]).

Ne consegue che, poiché la copertura del fabbisogno finanziario di una società partecipata costituisce, di fatto, un accollo dei debiti di un soggetto terzo a beneficio dei creditori della società, se un ente locale si accolla un debito altrui, ha il dovere di evidenziarne la ragione economico-giuridica.

Questo perché, alla luce del principio di sana gestione finanziaria, l’assunzione di debiti altrui può essere giustificata solo dalla sussistenza di un prevalente interesse pubblico, adeguatamente motivato alla luce degli scopi istituzionali, rappresentando altrimenti un ingiustificato favor verso i creditori della società incapiente (Sezioni regionali di controllo Lombardia, deliberazioni n. 98/2013/PAR, n. 410/2016/PRSE, n. 296/2019/PAR [6]; Liguria, deliberazione n. 71/2015/PAR; Toscana, deliberazione n. 84/2018/PAR [7]).

Questa interpretazione non è contraddetta dalla previsione del cd “Fondo perdite società” previsto dall’art. 21, comma 1, del Tusp [2], in quanto il vincolo di accantonamento non comporta l’obbligo, per l’ente locale, di ripianare dette perdite, ma integra una regola prudenziale di bilancio, volta a neutralizzare in prospettiva le ricadute negative delle gestioni societarie, riducendo le capacità di spesa dell’ente pubblico partecipante (in tal senso, Cfr. Sezione regionale di controllo Lombardia, deliberazione n. 296/2019/PAR [6]).

Per quanto riguarda i consorzi di cui all’art. 2602 c.c. [3]: essi costituiscono contratti con i quali “più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina e per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”.

I consorzi rappresentano, tra l’altro, una forma di esercizio associato di funzioni e servizi degli enti locali, prevista dall’art. 31 del Tuel [8], che distingue, in particolare, due tipi di consorzi:

  • i “consorzi-azienda”, finalizzati alla gestione di servizi pubblici e operanti con autonomia patrimoniale;
  • i “consorzi di funzioni”, destinati all’esercizio di attività amministrative (soppressi dall’art. 2, comma 186, lett. e della l. n. 191/2009 [9]).

Rispetto ai “consorzi-azienda”, la giurisprudenza contabile ha precisato che si tratta di enti che, pur avendo natura strumentale, sono dotati di una propria soggettività giuridica e che sono qualificabili come nuovo centro di imputazione di situazioni e rapporti giuridici.

Per essi trovano applicazione, da un lato, le norme che valgono per le aziende speciali in merito all’attività di erogazione del servizio, dall’altro, quelle del codice civile [3] sui consorzi, ove si tratti di regolamentare la vita associativa tra i comuni consorziati.

Tra queste ultime norme, assume rilievo l’art. 2615 c.c. [3] il quale attribuisce autonomia patrimoniale ai consorzi con attività esterna, stabilendo che “per le obbligazioni assunte in nome del consorzio, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo consortile’”.

In altre parole, “il consorzio con attività esterna, pur essendo sfornito di personalità giuridica, è pur sempre un autonomo centro di rapporti giuridici e pertanto assume la responsabilità, garantita dal fondo consortile, per tutte le obbligazioni comunque derivanti dai contratti che stipula in nome proprio. (Cass. 18235 del 2008)” (Sezione regionale di controllo Abruzzo, deliberazione n. 279/2015/PAR [10]).

Conclusioni – Ad avviso della Corte, il divieto di soccorso finanziario sancito dall’art. 14, comma 5, Tusp [2] si applica:

a) in base al disposto di cui all’art. 2, comma 1, lett. i) del d.lgs. n. 175/2016 [2], alle società di cui ai titoli V e VI, capo I, del libro V del codice civile, anche aventi come oggetto sociale lo svolgimento di attività consortili, ai sensi dell’art. 2615-ter del codice civile [3];

b) trattandosi di un principio generale fondato su esigenze di tutela dell’economicità gestionale e della concorrenza, anche ai consorzi, seppur non contemplati direttamente dalla norma, in quanto realtà operative inserite nel contesto della finanza territoriale.

In conclusione, il divieto di soccorso finanziario costituisce un vero e proprio principio di ordine pubblico economico, che prescinde dalle forme giuridiche prescelte per la partecipazione in organismi privati.

Stefania Fabris