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Incarichi e consulenze esterne "cum grano salis"13 min read

In assenza dei requisiti codificati dall’ordinamento e ribaditi dalla giurisprudenza della Corte dei conti, l’affidamento di incarichi e consulenze esterne va considerato illegittimo e fonte di danno erariale.

Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per la Regione Lazio, sentenza n. 683 del 14 ottobre 2013 [1]Est. La Cava – Pres. Nottola

Il caso

La Procura Regionale per il Lazio cita in giudizio una serie di soggetti esercenti funzioni di vertice e di alta dirigenza nella società Anas per vederli condannare, a titolo di responsabilità amministrativa, al pagamento a favore dell’erario e, segnatamente, in favore della società, di un danno erariale, oltre a rivalutazione monetaria, interessi legali e spese giudiziali, pari, in totale, ad euro 2.927.017,33.

Nello specifico, negli anni 2004-2005, il Presidente, alcuni direttori e dirigenti di Anas avrebbero conferito incarichi e consulenze e acquisito servizi eludendo precise regole dell’ordinamento, così causando un rilevante pregiudizio economico in capo alla società.

In breve, nello stipulare alcuni contratti con soggetti esterni, ANAS:

– avrebbe affidato all’esterno degli incarichi riguardanti attività in realtà rientranti nei compiti d’ufficio che, pertanto, avrebbero dovuto essere svolte con risorse interne anche perché non richiedenti particolari professionalità tecniche;

– non avrebbe dimostrato una carenza interna di risorse umane;

– non avrebbe tenuto conto dell’impegno economico non proporzionato che sarebbe derivato per l’Ente.

Precisamente, la Procura attrice configura precise ipotesi dannose, emerse dagli accertamenti istruttori compiuti, e concernenti, sostanzialmente, tre tipologie di contratti.

Una prima tipologia riguarderebbe la stipula di numerosi contratti con la società Sacepi Srl, cui sarebbero stati affidati compiti di audit sulla verifica di lavori di manutenzione di alcuni dei compartimenti Anas; di rilevazione dell’esistenza di accessi e cartelli sulle strade statali; di assistenza e consulenza tecnica ai vari uffici di Direzione Lavori.

In questo primo caso, l’assunto della Procura si fonda su:

a) scarsa tecnicità e previsione di compensi non rispettosi dei criteri di proporzionalità e del divieto di liquidazione in maniera forfettaria;

b) aggiramento e violazione della normativa comunitaria e nazionale in materia di gara (in particolare, mediante la violazione del divieto di affidamento diretto e del divieto di frazionamento in lotti) che i convenuti avrebbero realizzato per l’affidamento dei servizi;

c) mancanza di motivazione in ordine alla esternalizzazione dei servizi e circa l’impossibilità di usufruire di risorse interne;

d) infine, duplicazione di attività istituzionali proprie degli Ispettorati tecnici Anas.

La seconda tipologia di contratti richiamata dalla Procura riguarda il conferimento di incarichi di consulenza legale, aventi ad oggetto l’assistenza legale per tutte le problematiche di ordine generale, su temi di carattere amministrativo e contrattuale, inerenti la realizzazione di opere in alcune autostrade italiane. Trattasi, secondo la Corte, di problematiche concernenti l’affidamento di appalti al c.d. “general contractor” di cui al D.Lgs n. 190/2002 [2] (oggi abrogato dal D.Lgs n. 163/2006 [3]).

In presenza di una siffatta forma contrattuale, nella quale il contraente assume la piena responsabilità del risultato, non sussisteva, per la Procura, alcuna necessità per l’Ente di conferire incarichi di assistenza e consulenza legale, di cui vanno peraltro contestati sia l’indeterminatezza del tempo, sia il fatto che esisteva, comunque, la figura del Responsabile del procedimento.

Anche qui vanno confutati per la Procura:

– la natura scarsamente tecnica dell’incarico,

– la previsione di compensi non rispettosi dei criteri di proporzionalità,

– la liquidazione in maniera forfettaria e

– la circostanza che trattasi di attività che avrebbe potuto essere svolta dalle strutture e dal personale interno.

Infine, per un terzo gruppo di fattispecie contrattuali non sarebbero state attuate le prescritte procedure comparative con altri potenziali contraenti e non sarebbe stata data evidenza della necessità di acquisire specifiche competenze professionali non in possesso del personale in servizio, pur trattandosi di attività rientranti nelle competenze ordinarie dell’apparato amministrativo di Anas.

In sintesi, la Procura Regionale ritiene che i comportamenti illeciti posti in essere dai convenuti, in tutti i prospettati casi, vadano qualificati come gravemente colposi, in quanto il Presidente e l’alta dirigenza dell’Anas avrebbero affidato, ovvero proposto, gli incarichi descritti, determinando un pregiudizio economico pari ai compensi illecitamente erogati e ai relativi oneri accessori.

La decisione

La vicenda in argomento attiene, come detto, ad un’ipotesi di responsabilità amministrativa per il danno erariale derivato ad Anas a seguito di pagamenti relativi a contratti di acquisizioni di servizi e conferimento di incarichi e consulenze, con soggetti esterni, per attività rientranti nelle funzioni ordinarie dell’ente.

La Corte, in primo luogo, respinge la maggior parte delle eccezioni preliminari e pregiudiziali sollevate dai convenuti rimarcando, tra l’altro, che ai fini dell’individuazione della giurisdizione su Anas, società per azioni, operante in regime privatistico “non rileva la natura dell’attività concretamente svolta dal soggetto agente, quanto piuttosto il carattere pubblico dei finanziamenti e delle risorse economiche utilizzate”.

La Corte sottolinea poi che la fattispecie di danno erariale di cui si discute involge le modalità di pratica attuazione delle scelte operative per conferire incarichi a personale esterno.

Tali modalità, infatti, si sono rivelate produttive di un danno concreto a carico dell’Amministrazione, perché poste in essere in violazione della disciplina anche comunitaria in materia e perché non improntate al perseguimento degli obiettivi di economicità ed efficienza.

Dalla contestazione mossa emerge innanzitutto la violazione del principio costituzionale di buon andamento dell’attività della P.A. derivante dalla stipula, da parte del vertice e/o di alti dirigenti dell’Anas, di una serie di contratti con soggetti estranei all’amministrazione, per l’espletamento di attività, che potevano e dovevano essere svolte da personale dipendente dell’azienda medesima.

Sul punto la Sezione ricorda che nel nostro ordinamento trova accoglimento il principio giuridico secondo cui:

a) l’esternalizzazione delle attività è consentita solo nel caso di constatata impossibilità o inidoneità della struttura pubblica a svolgere una determinata attività;

b) il ricorso a prestazioni intellettuali di soggetti estranei all’amministrazione può essere ritenuto legittimo solo nei casi in cui si debbano risolvere problemi specifici aventi carattere contingente e speciale e difettando, nell’apparato burocratico, strutture organizzative idonee e professionalità adeguate.

La Corte mette quindi in evidenza l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di far fronte alle ordinarie competenze istituzionali con il migliore e il più produttivo impiego delle risorse umane e professionali di cui esse dispongono.

Di converso, come ricordato sopra, il ricorso ad incarichi e consulenze professionali esterne è ammissibile soltanto in presenza di specifiche condizioni quali: i) la straordinarietà e l’eccezionalità delle esigenze da soddisfare, ii) la carenza di strutture e/o di personale idoneo, iii) il carattere limitato nel tempo e iv) l’oggetto circoscritto dell’incarico e/o della consulenza.

Si tratta infatti di un obbligo che risponde ai generali principi di economicità e ragionevolezza cui deve sempre ispirarsi l’azione dell’amministrazione pubblica.

In materia di consulenze esterne o di affidamento di incarichi all’esterno, il giudice contabile ha peraltro ripetutamente affermato che la P.A., in conformità del dettato costituzionale, deve uniformare i propri comportamenti ai criteri di legalità, economicità, efficienza e imparzialità, dei quali è corollario, per ius receptum, il principio per cui essa, nell’assolvimento dei compiti istituzionali, deve avvalersi prioritariamente delle proprie strutture organizzative e del personale che vi è preposto.

Inoltre, la stessa Corte dei Conti ha più volte indicato i parametri entro i quali tali rapporti e le correlative spese sono da ritenersi lecite.

In molti casi la Corte ha ritenuto antigiuridico e produttivo di danno erariale il conferimento di incarichi per attività alle quali si può far fronte con personale interno dell’ente e, a maggior ragione, per attività estranee ai fini istituzionali di questo, ovvero troppo onerose in rapporto alle disponibilità di bilancio.

Solo in casi particolari e contingenti, la Corte ha ammesso la legittimazione della P.A. ad affidare il perseguimento di determinate finalità all’opera di estranei, purché si tratti di soggetti dotati di provata capacità professionale e specifica conoscenza tecnica in materia, e ogni volta si verifichino:

a) la straordinarietà e l’eccezionalità delle esigenze da soddisfare;

b) la mancanza di strutture e di apparati preordinati al loro soddisfacimento, ovvero, pur in presenza di detta organizzazione, la carenza, in relazione all’eccezionalità delle finalità, del personale addetto, sia sotto l’aspetto qualitativo che quantitativo;

Tali parametri, da un lato, attestano che nell’ordinamento non sussiste un generale divieto per la P.A. di ricorrere ad esternalizzazioni per l’assolvimento di determinati compiti ma, dall’altro, confermano che l’utilizzazione del modulo negoziale non può concretizzarsi se non nel rispetto dei suddetti limiti e condizioni.

Nel caso in esame la Corte ritiene che in nessuno dei casi prospettati sia ravvisabile il rispetto dei predetti limiti, con conseguente riscontro a carico dei convenuti di tutti gli elementi tipici della responsabilità amministrativa.

La Sezione mette quindi in rilievo l’”aggiramento” e, comunque, il contrasto dei contratti posti in essere da Anas con la normativa comunitaria e nazionale in materia di gare per l’affidamento di servizi.

L’ente avrebbe infatti stipulato negozi recanti termini di pochi mesi per attività di tipo continuativo e periodico o, comunque, richiedenti un lasso di tempo più lungo per l’espletamento, contenenti però la clausola di rinnovo tacito.

In questo modo si sarebbe ricorso a successivi rinnovi automatici con un frazionamento artificioso in lotti, prevedibile fin dalla stipula del primo contratto, superando così le soglie comunitarie, o di affidamento successivo al medesimo operatore economico, con prestazioni tecniche sostanzialmente identiche.

Sul punto la Corte ritiene quindi condivisibile la tesi prospettata dalla Procura della responsabilità amministrativa da addebitare ai convenuti nella rispettiva misura, sul presupposto che gli importi pagati per i predetti contratti configurano un illegittimo pregiudizio per l’Amministrazione.

La Corte sottolinea poi la carenza di indicazioni sulla procedura seguita per la scelta della società affidataria del servizio di audit sui lavori di manutenzione di alcuni dei compartimenti Anas; di rilevazione dell’esistenza di accessi e cartelli sulle strade statali; di assistenza e consulenza tecnica ai vari uffici di Direzione Lavori.

Mancherebbe anche la motivazione della scelta di esternalizzare tali servizi, da giustificare con la precisazione della verificata impossibilità oggettiva di procedere con risorse interne. Contrariamente, la Corte mette in risalto come l’attività affidata con i suddetti contratti rientrasse, con inevitabile duplicazione, nei compiti e nelle attività istituzionali proprie degli Ispettorati tecnici Anas.

In più, gli incarichi conferiti si appalesano in contrasto con quanto già censurato nell’ambito di precedenti giudizi di responsabilità, sia quanto all’affidamento di attività di scarso contenuto tecnico-professionale, di generiche mappature o schedature dei dati ad ampio spettro (Sez. giur. Lazio, n. 1589 del 2010 [4]), sia quanto alla previsione e liquidazione di compensi forfettariamente determinati e/o non rispondenti a criteri di proporzionalità con l’attività svolta (Sez. I Centrale Appello, n. 145 del 2009 [5]).

Per quanto attiene l’affidamento degli incarichi di consulenza legale, concernenti l’assistenza legale per tutte le problematiche di ordine generale su temi di carattere amministrativo e contrattuale inerenti la realizzazione di alcune opere autostradali, la Corte sostiene che l’illegittimità di tali conferimenti discende dal fatto che le teoriche problematiche che avrebbero reso necessari gli incarichi attengono all’affidamento di appalti al c.d. “general contractor”, disciplinati dall’art. 9 del D.Lgs n. 190/2002 [2] (oggi abrogato dal D.Lgs n. 163/2006 [3]).

Sul punto, ricorda la Corte, che “in tale particolare forma contrattuale il “general contractor” assume la piena ed esclusiva responsabilità del risultato, il che rende immotivato il ricorso all’assistenza legale di cui ai menzionati affidamenti (…). In buona sostanza l’affidamento si appalesa del tutto carente di una effettiva, specifica e concreta esigenza dell’Amministrazione. Peraltro, nel concreto, non solo non è dato individuare una utilità reale, ma non è neanche dato riscontrare quale attività di “natura professionale” legale sia stata effettivamente prestata dai suddetti incaricati”.

Del resto va opportunamente evidenziato che la normativa di settore dell’epoca prevedeva anche la nomina del Responsabile Unico del Procedimento, con competenze almeno coincidenti con quelle dei soggetti incaricati.

Ne consegue che le attività che i suddetti professionisti vennero chiamati a svolgere non presentavano alcun risvolto di natura professionale legale, ma ben avrebbero potuto e dovuto essere assolte dal competente ufficio legale e dal personale dell’Anas.

Alla luce di ciò, secondo la Corte, non vi è dubbio che le somme pagate configurino un pregiudizio economico per l’Ente, essendosi tradotte in una costosa collaborazione esterna, in sostanza rivelatasi di natura amministrativa e, comunque, ordinaria e non professionale.

Anche per un ultimo gruppo di incarichi affidati da Anas, la Corte condivide la tesi della Procura secondo cui trattasi di fattispecie contrattuali:

– poste in essere senza procedure comparative con altri potenziali contraenti,

– in assenza di qualsiasi indicazione circa la necessità di specifiche competenze professionali e, comunque, omettendo di verificare la presenza di figure professionali interne idonee per lo svolgimento degli incarichi esternalizzati.

Valgono per tutte le fattispecie contrattuali contestate anche le considerazioni generali e le rilevate violazioni circa: a) l’attività di fatto scarsamente tecnica commissionata, b) l’assenza di proporzionalità economica dei compensi e c) il metodo di liquidazione forfettaria utilizzato (Cfr. Sez. giur. Lazio n. 1589 del 2010 [4] e Sez. I Centrale d’Appello n. 145 del 2009 [5]).

Secondo il Giudice contabile i comportamenti assunti dai convenuti, da correlare al pregiudizio economico subito dall’Ente, vanno pertanto qualificati come gravemente colposi, in quanto connotanti una superficialità di azione e gestionale, non compatibile con le funzioni di alta dirigenza rivestite dai suddetti, nonché un significativo disinteresse per il buon andamento delle vicende societarie, oltre alla violazione, sia della normativa di riferimento, sia dei principi di economicità e corretta gestione a cui dovrebbe sempre uniformarsi l’operato dei vertici dell’Ente e del funzionario legato all’Ente medesimo da rapporto di servizio.

Acclarata la responsabilità amministrativa di tutti i convenuti e la natura di danno erariale del pregiudizio economico subito dall’Ente, la Corte condanna il Presidente, due direttori generali e alcuni dirigenti della società al pagamento in misura ridotta in favore di Anas Spa dell’importo complessivo, come suddiviso in sentenza, di euro 1.749.545,00.

Il commento

Nel ricordare come nel nostro ordinamento trovi accoglimento il principio giuridico secondo cui l’esternalizzazione delle attività è consentita solo nel caso di constatata impossibilità o inidoneità della struttura pubblica a svolgere una determinata attività, la Corte ribadisce ancora una volta che il ricorso alle prestazioni intellettuali di soggetti estranei all’amministrazione può essere ritenuto legittimo solo nei casi in cui si debbano risolvere problemi specifici, aventi carattere contingente e speciale, e difettando nell’apparato burocratico strutture organizzative idonee e professionalità adeguate.

Si tratta quindi di un’ipotesi del tutto eccezionale, da utilizzare da parte dell’amministrazione.

Infatti, in ossequio ai principi di buon andamento dell’attività amministrativa, di economicità, ragionevolezza e corretta gestione nell’operato dei vertici amministrativi, le pubbliche amministrazioni, nel conferire incarichi e consulenze, devono sempre rispettate una serie di regole, consacrate dalla disciplina positiva (tra queste, l’art. 7, co. 6 e ss., del D.Lgs n. 165/2001 [6]) e ribadite dalla giurisprudenza del giudice contabile, di seguito riportate:

1. gli incarichi vanno affidati a soggetti realmente competenti e di comprovata esperienza, a seguito di procedura comparativa;

2. vanno indicati, a priori, quali vantaggi (soprattutto economici) possono essere assicurati all’ente grazie all’incarico da esternalizzare;

3. possono essere affidate unicamente prestazioni diverse dalle attività ordinarie comprese nei normali doveri d’ufficio della struttura e caratterizzate da: eccezionalità, temporaneità, specificità, particolare difficoltà delle problematiche da risolvere;

4. va dimostrata e motivata l’impossibilità di far fronte alla attività da esternalizzare con il  personale interno;

5. vanno valutate sempre la congruità del compenso in rapporto alla natura dell’incarico e alla professionalità dell’incaricato.

Vale la pena di ricordare anche i criteri enunciati dalla Corte dei conti a sostegno della legittimità di incarichi e consulenze affidati all’esterno, ovvero:

a) la rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione;

b) l’inesistenza, all’interno della propria organizzazione, di una figura professionale idonea allo svolgimento dell’incarico, da accertare per mezzo di una reale ricognizione;

c) l’indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico;

d) l’indicazione della durata dell’incarico;

e) la proporzione tra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’amministrazione.

f) la possibilità di ricorrere ai suddetti incarichi “solo nei casi previsti dalla legge o nell’ipotesi di eventi straordinari”.

Stefania Fabris

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