Il potere (dovere?) della P.A. di agire in autotutela a seguito dell’istanza del privato.

T.A.R. Campania (Napoli), Sezione II, Sentenza 16 gennaio 2013 n. 330, Pres. Carlo D’Alessandro, est. Brunella Bruno.

Commento – La sentenza in rassegna offre l’occasione per fare il punto sulla natura (doverosa o meno) del potere della p.a. di agire in autotutela in conseguenza di istanze di riesame provenienti da privati.

La legge sulla trasparenza amministrativa (7.8.1990, n. 241, art. 2) postula, com’è noto, l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso (obbligo del clare loqui, risalente all’art. 97 Cost.), entro un termine predeterminato in via generale per legge (derogabile, per ogni procedimento, dalla p.a.). Tale termine è, per sua natura, comunque, ordinatorio, in quanto la p.a. non consuma il potere dopo la scadenza dello stesso (salvo il caso dei pareri di cui all’art. 16 e 17 della legge citata), potendo sempre emanare il provvedimento finale. Tuttavia l’inerzia della p.a. dopo la decorrenza del termine per provvedere costituisce silenzio-inadempimento, giustiziabile davanti al giudice amministrativo, attraverso la proposizione del c.d. ricorso avverso il silenzio, previsto dall’art. 117 del codice del processo amministrativo – c.p.a. (approvato con D.Lgs. 2.7.2010 n. 104), finalizzato all’accertamento di tale stato di inerzia e alla conseguente condanna a provvedere della p.a.

Poiché, come detto, la p.a. non consuma mai il suo potere, neanche dopo l’emanazione del provvedimento finale, essa – nell’ottica della soddisfazione e cura dell’interesse pubblico – può sempre rivedere i propri atti, anche se hanno determinato un assetto definitivo degli interessi in gioco. L’amministrazione può accorgersi, infatti, successivamente radioemanazione del provvedimento, che lo stesso è viziato, o che è inopportuno o è stato magari valutato erroneamente un presupposto di fatto. In tali casi avvia un procedimento di riesame dell’atto originario (che può portare anche alla sua conferma), qualora ne ravvisi l’illegittimità o l’inopportunità: trattasi del potere di autotutela (c.d. jus poenitendi), codificato a partire dal 2005 dalla sopra citata L. n. 241 del 1990 negli articoli 21 quinqies e nonies (in precedenza la giurisprudenza ne ammetteva pacificamente il fondamento nella stessa fonte attributiva del potere di provvedere in prima battuta).

Ma l’esercizio di tale potere, comunque tendente all’emanazione di un provvedimento amministrativo, c.d. di II grado, può essere ritenuto doveroso qualora vi sia una istanza di un soggetto privato (evidentemente interessato alla rimozione del provvedimento originario)? Detto in altri termini, di fronte ad una specifica domanda di riesame di un precedente provvedimento, la p.a. è obbligata a provvedere alla luce dei sopra indicati obblighi del clare loqui e della conclusione del procedimento entro un termine prestabilito?

La sentenza del Tar Campania citata in epigrafe ritiene che eventuali istanze di autotutela da parte dei privati non possono che avere una funzione di mero impulso o denuncia, poiché i provvedimenti di II grado sono espressione di un potere ampiamente discrezionale della pubblica amministrazione, incoercibile dall’esterno anche in presenza di eventuali vizi stessi dell’atto; ne consegue che avverso l’eventuale inerzia dell’Amministrazione su un’istanza volta ad ottenere un provvedimento in via di autotutela non è attivabile (nemmeno) lo speciale rimedio contro il silenzio di cui al precitato art. 117 c.p.a.

Va però spiegato tale assunto, che la divisata sentenza dà per scontato anche perché si colloca nel solco di una giurisprudenza amministrativa pressoché unanime e consolidata1.

Il potere di autotutela è ampiamente discrezionale perché il suo esercizio presuppone valutazioni ulteriori rispetto a quelle che normalmente la p.a. deve compiere nell’esercizio delle sue funzioni. Difatti tale potere per sua natura va ad incidere su posizioni giuridiche che sono già sorte per effetto del previo provvedimento amministrativo. In ordine al quale l’ordinamento, per un esigenza di certezza del diritto (rinveniente anche dal diritto comunitario), prevede che una volta che siano scaduti i termini per contestarlo davanti al giudice (amministrativo), lo stesso diventi inoppugnabile e perciò solo ‘definitivo’. Ciò perché l’ordinamento non può consentire che i rapporti giuridici di cui sia parte una p.a. siano assoggettati sine die ad una situazione di incertezza. Ragion per cui, decorsi i ristretti termini decadenziali previsti dalla legge, sorge un ragionevole affidamento sulla legittimità dell’atto in capo ai destinatari dei suoi effetti (e in genere dei cittadini) e un interesse al mantenimento delle posizioni nascenti da tale atto.

In questa prospettiva, l’eventuale obbligo di provvedere:

– consentendo alle parti di aggirare il prescritto termine decadenziale di impugnazione del provvedimento inoppugnabile, comprometterebbe la sopra detta esigenza di garanzia di certezza dei rapporti giuridici, posta a tutela di tutti i cittadini;

– vanificherebbe, inoltre, anche il principio di economicità dell’azione amministrativa (parimenti previsto dalla Legge n. 241 del 1990, art. 1, che non può permettere, a semplice richiesta dell’interessato, l’apertura di un nuovo procedimento (con il conseguente impiego di energie e risorse pubbliche) tendente a porre in discussione situazioni cristallizzate e ‘definitive’;

Ne consegue che la scelta se procedere alla rimozione di un atto amministrativo – presupponendo la valutazione delle sopra indicate esigenze, non presenti al momento dell’adozione dello stesso – è ampiamente discrezionale e non è coercibile.

Beninteso, una volta che l’amministrazione decida di agire in autotutela emanando il provvedimento di II grado, il come questa scelta viene compiuta è naturalmente sindacabile in sede giurisdizionale, perché la p.a. deve dare conto della ricorrenza dei presupposti e del rispetto dei limiti all’esercizio del potere de quo, compendiati negli artt. 21 quinquies e nonies della citata legge sul procedimento amministrativo.

Marcello Iacubino*

*Magistrato della Corte di conti

 TAR NA 330_2013

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1 V. Cons. di St., Sez. V, 3 ottobre 2012 n. 5199; Sez. V, 12 luglio 2010 n. 4482; Sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6342; 12 febbraio 2007, n. 599; Sez. IV, 20 luglio 2005, n. 3039; Sez. IV, 10 novembre 2003, n. 7136; Cass., Sez. Un. 4.10.1996 n. 8685.


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