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L'obbligo di riduzione delle spese per arredi e mobili4 min read

L’obiettivo di riduzione della spesa per mobili e arredi, previsto dall’art. 1, comma 141 della legge di stabilità 2013 [1], può essere conseguito mediante la gestione unitaria e consolidata dei budget inerenti le varie tipologie di spese di funzionamento oggetto di limitazioni da parte di distinte previsioni di legge.

 

Corte dei conti, Sezione Autonomie, deliberazione 20 dicembre 2013 [2], n. 26, Pres. Falcucci, Rel. Bica

 

Il quesito

 

La questione ha origine da una richiesta di parere del Presidente della Provincia di Sondrio sull’esatta interpretazione dell’art. 1, comma 141, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 [1], secondo cui, negli anni 2013 e 2014, le spese per l’acquisto di mobili e arredi, salvo che l’acquisto sia funzionale alla riduzione delle spese connesse alla conduzione degli immobili, sostenute dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’I.S.T.A.T. ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 [3], non possono superare il 20% della spesa sostenuta in media negli anni 2010 e 2011.

 

In tale richiesta, tra l’altro, la stessa Provincia, come soluzione, prospettava “la possibilità di conseguire l’obiettivo di riduzione della spesa per mobili e arredi mediante la gestione unitaria e consolidata dei budget inerenti le varie tipologie di spese di funzionamento oggetto di limitazioni da parte di distinte previsioni di legge”.

 

La Sezione regionale di controllo per la Lombardia, in presenza di interpretazioni discordanti sul punto da parte delle Sezioni regionali di controllo, ha rimesso la questione alla Sezione delle Autonomie affinché adottasse una pronuncia di orientamento generale in merito alla corretta interpretazione della suddetta norma

 

L’orientamento della Sezione Autonomie

 

La Sezione delle autonomie della Corte dei conti, il 20 dicembre 2013 [2], è stata chiamata a deliberare sulla corretta interpretazione della suddetta disposizione.

 

Con la deliberazione annotata, la Sezione delle autonomie, in primo luogo, fornisce il quadro normativo di riferimento disposto dal legislatore negli anni, con “disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica”, teso alla “riduzione e la razionalizzazione delle spese per consumi intermedi” degli enti locali. In particolare l’art 6 del d.l. n. 78/2010 [4], convertito dalla l. 122/2010; l’art. 5, comma 2, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 [5], convertito dalla l. 7 agosto 2012, n. 135; e per l’appunto l’art. 1, comma 141, della l. 24 dicembre 2012, n. 228 [1]. In tali disposizioni si individuano diverse tipologie di spesa da ridurre “in base a specifici coefficienti rapportati alla spesa storica”.

 

Vi rientrano le spese per collaborazioni e consulenze, relazioni pubbliche, convegni, mostre, spese di pubblicità e di rappresentanza, sponsorizzazioni, per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture, per l’acquisto di mobili e arredi.

 

In secondo luogo, procede ad argomentare le motivazioni per il quale, a suo avviso, l’art. 1, comma 141, della l. 24 dicembre 2012, n. 228 [1], “nel disporre limiti puntuali alle spese per l’acquisto di mobili e arredi, obbliga gli enti locali al rispetto del tetto complessivo di spesa risultante dall’applicazione dell’insieme dei coefficienti di riduzione della spesa per consumi intermedi previsti da norme in materia di coordinamento della finanza pubblica, consentendo che lo stanziamento in bilancio tra le diverse tipologie di spese soggette a limitazione avvenga in base alle necessità derivanti dalle attività istituzionali dell’ente”.

 

Le motivazioni seguite si inseriscono nel solco di un orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato, della Corte Costituzionale (in particolare, sentenza n. 139/2012 [6]), secondo cui, in materia di coordinamento di finanza pubblica, sono considerati “rispettosi dell’autonomia di spesa delle Regioni e degli enti locali i soli vincoli alle politiche di bilancio da cui sia possibile desumere un limite complessivo, lasciando agli enti stessi ampia libertà di allocazione fra diversi ambiti e obiettivi di spesa”. Lo Stato, quindi, può agire direttamente sulla spesa delle proprie amministrazioni con norme puntuali e, al contempo, dichiarare che le stesse norme sono efficaci nei confronti delle Regioni ed enti locali “a condizione di permettere l’estrapolazione, dalle singole disposizioni statali, di principi rispettosi di uno spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale”. In caso contrario tali norme non potrebbero essere considerate di principio.

 

Pertanto, la Sezione delle Autonomie ha optato, coerentemente con il predetto orientamento, per la non tassatività dei limiti fissati dall’art. 1, comma 141, della legge 24 [1]dicembre 2012, n. 228 [1] ed ha fatto rientrare tali limiti, insieme ai limiti fissati da altre disposizioni analoghe sui cosiddetti “consumi intermedi”, in un limite complessivo di spesa (budget), nell’ambito del quale i limiti delle diverse tipologie di spese considerate posso essere modificati e compensati gli uni con gli altri, in sede di allocazione delle risorse, in relazione alle esigenze organizzative, funzionali e alle scelte decisionali dell’ente. In tale modo, preservando da un lato i risparmi attesi senza compromettere il buon andamento dei servizi e, allo stesso tempo, garantendo il rispetto dei principi costituzionali sul coordinamento della finanza pubblica e sull’autonomia finanziaria di spesa delle Regioni e degli enti locali.

 

Conclusioni

 

Se da un lato, la soluzione della Sezione Autonomie pare conforme all’orientamento oramai consolidato della Corte Costituzionale [6], dall’altro, potrebbe comportare, come già rilevato da alcuni commentatori, problemi applicativi in ordine alla effettiva riduzione delle sopra citate tipologie di spese e alla relativa verificabilità.

 

Andrea Martignone