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Nel servizio idrico integrato no all’in house con capitali privati3 min read

Ai sensi dell’art. 149-bis del D.lgs. n. 152/2006, l’affidamento diretto è consentito solo a favore di società interamente pubbliche.

Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Campania, deliberazione n. 108-2016-PAR [1], del 29 aprile 2016, Presidente Valentino, Estensore Sucameli

A margine

Un comune chiede alla Corte dei conti se l’ente di governo d’ambito cui lo stesso partecipa possa procedere all’“affidamento diretto” del servizio idrico integrato ad un soggetto gestore al cui interno potrebbe sussistere una partecipazione minoritaria di capitale privato.

Per rispondere al quesito la Corte dei conti ricorda che il recente D.lgs. n. 50/2016 [2], recante il nuovo “codice” dei contratti pubblici, prevede, all’art. 5, lett. c), che le condizioni per l’in house sussistono se «nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati previste da norme di legge e che avvengano con modalità che non comportino controllo o potere di veto né l’esercizio di un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata».

Peraltro, con riferimento allo servizio idrico, il legislatore nazionale ha mantenuto un regime speciale all’interno dello stesso “codice” facendo prevalere la normativa interna di settore già vigente.

In particolare, ai sensi dell’art. 149-bis del D.lgs. n. 152/2006 [3] «L’affidamento diretto (del servizio idrico) può avvenire a favore di società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall’ordinamento europeo per la gestione in house (…)».

Tale scelta del Legislatore nazionale non può essere derogata dalla normativa regionale, la quale non può prevedere casi di affidamento in house ulteriori rispetto a quelli ammessi dalla legge statale. Infatti, la materia della concorrenza è una competenza esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. e, Cost. [4]), nel cui ambito ricade la disciplina dei contratti pubblici (cfr. Corte cost. sentenza n. 401/2007 [5]) e la regolamentazione dell’affidamento in house (cfr. la sentenza Corte cost. n. 46 del 2013 [6], in particolare punto 3.2).

Peraltro, la norma di cui all’art. 28, lett. c), della direttiva 2014/25/Ue [7], secondo cui l’affidamento in house può avvenire a favore di organismi in cui vi sia una partecipazione diretta di capitali privati, purché tale partecipazione «non comport[i] controllo o potere di veto» o non vi sia «un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata» e tale forme di partecipazione siano «prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati» non può trovare applicazione diretta nell’ordinamento italiano non avendo carattere incondizionato per cui il Legislatore nazionale ben potrebbe optare per standard di concorrenza più elevati.

In questo senso, nel caso del servizio idrico, il Legislatore interno, con l’art. 149-bis del D.Lgs. n. 152/2006 [3], ha legittimamente mantenuto uno standard per l’in house, diverso e più rigoroso di quello delineato dalle direttive comunitarie.

Infine, la partecipazione di capitali privati “prescritta” da disposizioni nazionali nel modello in house, presuppone comunque l’esistenza di una norma nazionale che tale partecipazione renda necessaria e non meramente “possibile”; solo in tal caso sussiste il presupposto per la deroga al pregresso acquis communautaire.

Allo stato attuale, l’ordinamento italiano difetta di una norma che “disponga”, in modo obbligatorio, la partecipazione del capitale privato ad organismi di gestione del servizio idrico, non potendo ravvisarsi tali estremi nelle leggi, statali e regionali, che consentono la razionalizzazione delle partecipazioni nei pregressi gestori.

Pertanto, ad avviso della Corte dei conti, nel settore della gestione dei servizi idrici, non è ammesso l’affidamento in house a soggetti al cui capitale partecipino soggetti privati, sia pure con forme e percentuali non “determinanti” sulla govenance.

Simonetta Fabris