IN POCHE PAROLE…
Il compenso per il lavoro straordinario può essere erogato solamente se le prestazioni sono autorizzate da parte del dirigente.
L’ autorizzazione può essere rilasciata anche in modo implicito, ma è comunque necessaria.
L’autorizzazione allo svolgimento di lavoro straordinario è necessaria, ma può essere anche data in modo implicito, nonché può essere provata con testimonianze.
Gli errori compiuti dagli enti non possono determinare come conseguenza che i dipendenti siano privati del diritto alla remunerazione.
Gli errori e le anomalie importano in termini di eventuale maturazione di responsabilità in capo ai dirigenti.
Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 4574/2025, Pres. L. Tria, Rel. M.L. Buconi
Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 26 febbraio 2025, n. 4984, Pres. C. Marotta, Rel. D. Cavallari
Le norme contrattuali
La disciplina è contenuta soprattutto nell’articolo 32 del CCNL 16 novembre 2022, cui si devono aggiungere le disposizioni del CCNL 1 aprile 1999, con particolare riferimento al tetto di spesa, e il CCNL del 14 settembre 2000.
In primo luogo, è riconfermato il carattere eccezionale di questo istituto, che non può essere considerato come una modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa e che richiede specifiche e penetranti motivazioni. La sua effettuazione deve essere autorizzata da parte del dirigente e sono espressamente escluse forme generalizzate.
Fermo restando il tetto di spesa, che ricordiamo essere quella del 1998 ridotta una tantum del 3%, si possono autorizzare superamenti del tetto massimo individuale annuale di queste prestazioni per un numero non superiore al 2% dei dipendenti in servizio. Di regola queste prestazioni vanno remunerate con i compensi per il lavoro straordinario; i dipendenti possono chiedere in alternativa il riposo compensativo e, laddove istituita nell’ente ed entro il tetto massimo di ore previste, si può dare corso all’applicazione della banca delle ore.
I principi applicabili
La regola di carattere generale è la seguente: “il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto presuppone necessariamente la previa autorizzazione dell’amministrazione, poiché essa implica la valutazione della sussistenza delle ragioni di interesse pubblico che impongono il ricorso a tali prestazioni e comporta, altresì, la verifica della compatibilità della spesa con le previsioni di bilancio”. Questo diritto sussiste anche qualora l’autorizzazione richiesta risulti illegittima o in contrasto con le disposizioni del contratto collettivo. Infatti, l’articolo 2108 del codice civile, applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato e interpretato alla luce degli articoli 2 e 40 del d.lgs. n. 165/2001 nonché dell’articolo 97 della Costituzione, stabilisce che il compenso per il lavoro straordinario spetta se vi è stata una regolare autorizzazione. Pertanto, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, l’esistenza dell’autorizzazione da parte del datore di lavoro rappresenta l’unico elemento che condiziona l’applicazione dell’articolo 2126 del codice civile.
È particolarmente rilevante precisare che, nel contesto del lavoro straordinario, per autorizzazione si deve intendere il fatto che le prestazioni vengano svolte non all’insaputa o contro la volontà del datore di lavoro, ma con il suo consenso, anche se implicito. La presenza di tale consenso, una volta accertata, comporta l’obbligo di retribuire il lavoratore, anche qualora la richiesta di autorizzazione risulti illegittima o in contrasto con le disposizioni del contratto collettivo. Ai fini del diritto alla retribuzione, ciò che rileva è che il lavoro sia stato svolto su incarico, anche solo implicito, del datore di lavoro e non contro la sua volontà; pertanto, non ha rilevanza che siano state rispettate particolari formalità o che l’autorizzazione appaia, per qualsiasi motivo, invalida, inefficace o inidonea al suo scopo originario.
Si precisa inoltre che, sebbene nel pubblico impiego le remunerazioni possano essere riconosciute solo se conformi alle previsioni e alle allocazioni di spesa, e benché eventuali accordi non coerenti con tali limiti siano da considerarsi invalidi, con conseguente ripetibilità dei pagamenti eventualmente effettuati sulla loro base, una volta che la prestazione sia stata autorizzata e svolta, le conseguenze della mancata corrispondenza con gli impegni di spesa non possono ricadere sul lavoratore. Infatti, in virtù dei principi sostanziali stabiliti dalla Costituzione e dal codice civile, non può essere il prestatore a subire gli effetti di tali irregolarità. È vero che la divergenza rispetto agli impegni di spesa può impedire il riconoscimento di aumenti di corrispettivo non supportati da una regolare contrattazione, così come l’erogazione di particolari emolumenti privi dei presupposti richiesti dalla contrattazione collettiva; tuttavia, ciò non può ostacolare il pagamento di una prestazione ulteriore rispetto a quella ordinaria, purché essa sia stata svolta con il consenso, anche implicito, del datore di lavoro e non contro la sua volontà. Eventuali responsabilità, al contrario, ricadono sui soggetti preposti all’interno della pubblica amministrazione che abbiano consentito lo svolgimento di tali prestazioni in assenza dei presupposti richiesti, ma non è ammissibile che l’ordinamento giuridico, in contrasto con norme centrali che lo regolano, finisca per penalizzare il lavoratore che abbia svolto regolarmente la propria attività, la cui tutela è garantita dai principi costituzionali richiamati.
Con la sentenza n. 4574/2025 annotata, la Corte di cassazione ha dettato i seguenti principi di diritto:
- “In tema di pubblico impiego contrattualizzato, il lavoratore ha diritto al pagamento della prestazione resa per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, ove sia eseguita con il consenso, anche implicito, del datore di lavoro o di chi abbia il potere di conformare la relativa prestazione e, comunque, non insciente o prohibente domino o in modo coerente con la volontà del soggetto preposto, a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto dei limiti e delle regole sulla spesa pubblica, che possono incidere, eventualmente, sulla responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione, atteso che tale consenso è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c.”.
- “In tema di pubblico impiego contrattualizzato, il dipendente ha diritto al pagamento della prestazione per lavoro straordinario, ove sia resa con il consenso, anche implicito, del datore di lavoro o di chi abbia il potere di conformarla e, comunque, non insciente o prohibente domino o in modo coerente con la volontà del soggetto preposto, ben potendo l’esecuzione di detta prestazione essere dimostrata anche tramite testi, a prescindere da quanto previsto dall’art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007, in base al quale le pubbliche amministrazioni non possono erogare compensi per lavoro straordinario se non previa attivazione dei sistemi di rilevazione automatica delle presenze“.
In breve, ci viene indicato che, ferma restando la necessità del consenso del dirigente, non è essenziale il rispetto di particolari formalità o procedure, potendo esso essere sostituito dalla mancanza di iniziative assunte dall’ente per impedire che il dipendente possa autonomamente decidere lo svolgimento di tali attività o che tale autorizzazione risulti in via di fatto essere coerente con la volontà del soggetto preposto e che non sono condizioni indispensabili l’assenza di strumenti automatizzati di rilevazione delle presenze e, anche se in modo implicito, il superamento del tetto di spesa del personale non è una condizione ostativa alla erogazione di questa indennità.
dott. Arturo Bianco