IN POCHE PAROLE…

I dirigenti hanno l’obbligo di comunicare i propri dati reddituali alle amministrazioni; è stata infatti dichiarata costituzionalmente illegittima la disposizione che prevede l’obbligo della pubblicazione di tali dati per tutti i dirigenti, ma non la previsione dell’obbligo di comunicazione alle proprie amministrazioni. Sono queste le indicazioni di maggiore rilievo dettate dalla sentenza della quinta sezione del Consiglio di Stato n. 267/2025.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 267 del 15 gennaio 2025 – Pres. Caringella, Est. Manca

Corte costituzionale 23 gennaio – 2 febbraio 2019

D.lgs. 14 marzo 2013, n. 33

 


La sentenza annotata ha rigettato il ricorso presentato da una organizzazione sindacale contro la decisione con cui un comune ha richiesto “a tutti i propri dirigenti di comunicare i dati riguardanti la loro situazione patrimoniale e reddituale”, evidenziando che gli stessi non sarebbero stati pubblicati, salvo che per i direttori di area e per il direttore generale. La pronuncia dei giudici di appello conferma in modo integrale la decisione assunta nel giudizio di primo grado.

La normativa

L’articolo 14, comma 1 ter, del d.lgs. n. 33/2013 stabilisce che “ciascun dirigente comunica all’amministrazione presso la quale presta servizio gli emolumenti complessivi percepiti a carico della finanza pubblica, anche in relazione a quanto previsto dall’articolo 13, comma 1, del d.l. n. 66/2014 (nda tetto al trattamento economico percepito dai dipendenti pubblici)”.

L’articolo 13, comma 3, ultimo periodo, del d.P.R. n. 62/2013 stabilisce che “il dirigente fornisce le informazioni sulla propria situazione patrimoniale e le dichiarazioni annuali dei redditi soggetti all’imposta sui redditi delle persone fisiche previste dalla legge”.

Le indicazioni della Corte costituzionale

Leggiamo che “la sentenza della Corte costituzionale n. 20 del 2019 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni), nella parte in cui prevedeva che le pubbliche amministrazioni dovessero pubblicare i dati di cui all’art. 14, comma 1, lettera f), dello stesso decreto legislativo «anche per tutti i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione, anziché solo per i titolari degli incarichi dirigenziali previsti dall’art. 19, commi 3 e 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. La Corte, pertanto, non ha ritenuto illegittima la previsione dell’obbligo di comunicare la situazione patrimoniale del dirigente (anche se non sia stato nominato per uno degli incarichi di cui all’art. 19, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 165 del 2001), limitandosi a colpire l’imposizione dell’obbligo di pubblicazione indiscriminata dei dati reddituali e patrimoniali per tutti i titolari di incarichi dirigenziali, ritenuto non conforme al principio di ragionevolezza e di proporzionalità. Mentre, con riguardo agli obblighi di comunicazione dei dati in questione mediante dichiarazioni personali dei dirigenti, da rinnovare annualmente (e quindi in tutti gli anni di servizio), la Corte ha espressamente valutato l’obbligo di fornire alle amministrazioni di appartenenza, con onere di aggiornamento annuale, le informazioni sulla propria situazione reddituale e patrimoniale”.

La persistenza del vincolo

Leggiamo infine che è da considerare “ancora vigente l’obbligo di comunicazione dei dati reddituali e patrimoniali quale si ricava dall’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 33 del 2013, in via del tutto autonoma dall’art. 14, comma 1-bis del medesimo decreto legislativo (dichiarato costituzionalmente illegittimo), e dall’articolo 13, comma 3, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62 (richiamato dall’art. 1, comma 7, lett. a), del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162, come convertito dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8, il quale ha stabilito che resta fermo per tutti i titolari di incarichi dirigenziali l’obbligo di comunicazione dei dati patrimoniali e reddituali di cui al citato art. 13, comma 3, del codice di comportamento dei dipendenti pubblici). Dichiarazione da presentare non solo all’atto della assunzione ma da rinnovare di anno in anno. Così come non può ritenersi una estensione eccessiva (e quindi contraria al principio di proporzionalità) la previsione secondo cui l’oggetto della suddetta dichiarazione del dirigente pubblico deve racchiudere anche i redditi percepiti da altre amministrazioni o da privati, posto che la conoscenza della provenienza dei redditi, e in specie di quelli provenienti da soggetti diversi dall’amministrazione presso il quale presta servizio il dirigente (lettera d) e lettera e) dell’art. 14, comma 1 cit.), è pienamente funzionale allo scopo principale perseguito dalla norma che impone gli obblighi dichiarativi e di pubblicazione, ossia (come precisato nella citata sentenza della Corte costituzionale) il contrasto alla corruzione nell’ambito della pubblica amministrazione. Non sussiste nemmeno il rischio, paventato dall’appellante, circa la possibilità che la mera detenzione dei dati comunicati dai dirigenti possa sostanzialmente equivalere alla pubblicazione, quando venga utilizzato lo strumento dell’accesso civico”. Occorre al riguardo ricordare, con la stessa sentenza, che questa forma di accesso non si estende alle informazioni ed ai documenti che contengono dati personali, con particolare rilievo a quelli sensibili e cd super sensibili.

Le considerazioni finali

La sentenza della quinta sezione del Consiglio di Stato appare  ineccepibile. In particolare, essa coglie in modo molto preciso le logiche assai diverse che sono alla base del vincolo della comunicazione dei dati reddituali dei dirigenti e di quello della loro pubblicazione sul sito internet dell’ente. Alla base di questa seconda disposizione vi sono le esigenze di trasparenza delle amministrazioni, esigenze che devono trovare un punto di intesa con la tutela della privacy e, in particolare, dei dati sensibili e super sensibili. Alla base della scelta di imporre il vincolo della comunicazione all’ente vi sono le previsioni dettate, in attuazione dei principi dettati dalla legge n. 190/2012, cd anticorruzione, dal dpr n. 62/2013, cd codice di comportamento dei dipendenti pubblici. Siamo quindi in presenza di vincoli che sono assai differenziati tra loro. Il vincolo della trasmissione all’ente delle informazioni sul reddito dei dirigenti è finalizzato a mettere il datore di lavoro pubblico nelle condizioni di sapere se vi sono anomalie tra la situazione reddituale ed il tenore di vita, nonché se vi sono forme di condizionamento, nonché di anomalia che possono nascondere delle illegittimità che vengono commesse dai dipendenti. Sicuramente una scelta che può essere definita, per molti aspetti, come ingenua, visto che non tiene conto degli elevati tassi di evasione fiscale. Ma la scelta legislativa deve essere rispettata, per cui la eventuale irrogazione di sanzioni disciplinari in capo ai dirigenti inadempienti appare come pienamente coerente con il dettato legislativo e, sostanzialmente, come doverosa.

Dott. Arturo Bianco


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