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La riorganizzazione delle società in house non giustifica l’assunzione del personale dipendente da parte dell’ente pubblico partecipante7 min read

La natura puramente privata del lavoro alle dipendenze delle società partecipate rende inoperante, nel caso di trasferimento di funzioni da una società partecipata ad un ente pubblico, la garanzia del posto di lavoro che l’art. 2112 cod. civ. riconosce, in ambito privato, ai lavoratori subordinati in caso di trasferimento di azienda.

Corte Costituzionale, 1 luglio 2013, n. 167 , Pres. Gallo, est. Mazzella

Sentenza 167-2013 [1]

Il caso

La Presidenza del Consiglio dei Ministri solleva questione di legittimità costituzionale dell’art.12, commi 2 e 4, della Legge regionale della Lombardia n. 12 del 16 luglio 2012, in materia di bilancio.

La disposizione censurata prevede la riorganizzazione di alcune società partecipate dalla Regione, disponendo il trasferimento delle funzioni delle stesse e del relativo personale, in servizio a tempo indeterminato, presso le strutture regionali.

La sentenza

Ai fini di una razionalizzazione delle società partecipate della Regione Lombardia, la Legge regionale n. 12/2012 stabilisce, all’art. 12, commi 2 e 4, il passaggio delle funzioni e del personale delle società per azioni Lombardia Informatica e Cestec presso strutture afferenti alla Regione, ovvero l’Agenzia regionale centrale acquisti e l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Lombardia – ARPA.

Secondo il Presidente del Consiglio dei Ministri, la norma viola i principi di uguaglianza, buon andamento e imparzialità nonché il principio del pubblico concorso, di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

In particolare, la disposizione non prevede alcuna procedura selettiva aperta al pubblico e consente l’assunzione a tempo indeterminato da parte della regione Lombardia di tutto il personale in servizio presso le società citate, senza fornire alcun elemento esplicativo in ordine alle ragioni di interesse pubblico che giustificano tale scelta.

La Regione Lombardia ritiene il ricorso infondato ed evidenzia l’esigenza di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni censurate.

A suo avviso, la deroga è giustificata dall’interesse pubblico ad assicurare la continuità delle attività svolte dalle società ed ora devolute alla Regione, garantendo le professionalità già sviluppate e selezionate, in conformità ai criteri e alle modalità dettati dall’art. 35 del decreto legislativo n. 165/2001.

Inoltre, il personale delle società verrebbe inquadrato in ruoli speciali transitori, ad esaurimento, istituiti ad hoc presso le strutture regionali interessate, non in ruoli ordinari per cui è richiesto il pubblico concorso.

Nelle more del giudizio, la Corte costituzionale rileva che la Regione, con l’art. 1 della Legge regionale 24 dicembre 2012, n. 21, ha modificato la norma censurata abrogando il c. 2 e prevedendo, all’art. 4, che i dipendenti a tempo indeterminato di Lombardia Informatica s.p.a. e di Cestec s.p.a. siano inquadrati  «a seguito del superamento di una procedura selettiva espletata nei limiti e a valere sulle facoltà assunzionali dell’ente, nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge».

Secondo la Consulta, la nuova disposizione, sebbene preveda un regime dei contratti di lavoro parzialmente diverso da quello originario, ripropone una disciplina sostanzialmente omogenea alla precedente, autorizzando il trasferimento di personale, in assenza di concorso aperto al pubblico, esclusivamente sulla base di una prova attitudinale riservata a dipendenti già assunti presso le società in house.

Di conseguenza il giudizio va trasferito sulla nuova norma.

Nell’esaminare il caso la Corte ammette che un interesse pubblico che consente la deroga al principio del pubblico concorso, al fine di valorizzare le esperienze professionali dei lavoratori assunti, può ricorrere solo in determinate circostanze.

Anzitutto, la legge deve stabilire preventivamente le condizioni per l’esercizio del potere di assunzione e subordinare la costituzione del rapporto a tempo indeterminato all’accertamento di specifiche necessità funzionali dell’amministrazione, prevedendo procedure di verifica dell’attività svolta.

Questo impone che i soggetti da assumere abbiano maturato la propria esperienza lavorativa all’interno della pubblica amministrazione e non alle dipendenze di datori di lavoro esterni (sentenza n. 215 del 2009).

Inoltre, la deroga al principio del pubblico concorso deve essere contenuta entro determinati limiti percentuali, per non precludere in modo assoluto la possibilità di accesso di ulteriori soggetti ai posti banditi (sentenza n. 108 del 2011).

Per la Corte la norma regionale in esame non risponde a detti principi poiché si limita a definire in modo generico le ragioni giustificatrici, sulla base della funzionalità, senza prevedere meccanismi di verifica dell’attività professionale svolta, né limiti percentuali all’assunzione senza concorso. 

La giurisprudenza costituzionale ha già statuito che il passaggio di personale da una persona giuridica di diritto privato nell’organico di un soggetto pubblico regionale, senza il previo espletamento di una procedura concorsuale, non trova alcuna ragione giustificatrice e si risolve in un privilegio indebito per i soggetti che ne possono beneficiare, in violazione dell’art. 97 Cost. (sent. n. 62 del 2012).

In particolare la modalità privatistica scelta dall’ente pubblico controllante per realizzare le proprie finalità, rende non assimilabile il rapporto di lavoro con tali società ad un rapporto di lavoro pubblico.

Inoltre, il fatto che il personale delle società in house sia stato reclutato sulla base di criteri rispettosi dei principi di pubblicità, trasparenza, pari opportunità e di decentramento, di cui al comma 3 dell’articolo 35 del d. lgs. n. 165 del 2001, non assicura che la selezione sia avvenuta mediante procedure selettive aperte al pubblico, come richiesto dall’art. 97 Cost., a garanzia dell’imparzialità del reclutamento.

In conclusione, la natura puramente privata del lavoro alle dipendenze delle società partecipate rende inoperante, nel caso di trasferimento di funzioni da una società partecipata ad un ente pubblico, la garanzia del posto di lavoro, che l’art. 2112 cod. civ. riconosce, in ambito privato, ai lavoratori subordinati, in caso di trasferimento di azienda.

Tale garanzia si applica, ai sensi dell’art. 31 del d.lgs. n. 165 del 2001, anche al settore del lavoro pubblico, ma solo con riferimento al passaggio di funzioni e dipendenti da enti pubblici ad altri soggetti (pubblici o privati).

Le ipotesi in cui il passaggio di funzioni avvenga da soggetti privati ad enti pubblici non è contemplata, poiché l’automatico trasferimento dei lavoratori presuppone un passaggio di status (da dipendenti privati a dipendenti pubblici) che non può avvenire in assenza di una prova concorsuale aperta al pubblico (sent. n. 226 del 2012).

Ancora, la previsione di una selezione a carattere “chiuso”, volta all’individuazione degli aspiranti tra i lavoratori delle società in house, viola parimenti i principi costituzionali, poiché la partecipazione alle prove selettive è chiaramente riservata ai soli dipendenti delle società partecipate.

Da ultimo, nemmeno la limitazione del predetto trasferimento nell’ambito delle capacità di assunzione dell’ente è in grado di ovviare al vulnus costituzionale determinato dall’assenza della pubblicità del concorso e della tutela della necessaria professionalità dei dipendenti della pubblica amministrazione.

La Corte costituzionale dichiara quindi l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4, della Legge regionale della Lombardia, 16 luglio 2012, n. 12, come sostituito dall’art. 1 della Legge regionale 24 dicembre 2012, n. 21.

La valutazione della sentenza

In un’epoca di costante attenzione alla spesa pubblica, la sentenza in esame traccia un solco importante in tema di personale di società partecipate, mettendo in evidenza i vuoti normativi tutt’oggi esistenti e l’esigenza di un’attività di dismissione “programmata”, che induca a considerare tutte le variabili in gioco, compresa la collocazione del personale delle società da chiudere.

Se, da un lato, l’ordinamento incentiva la dismissione delle quote azionarie di tali società, dall’altro, non definisce adeguate misure di tutela dei loro dipendenti, misure che vengono invece assicurate ai lavoratori subordinati (pubblici e privati) attraverso l’art. 2112 del codice civile.

Nel caso in esame è ipotizzabile un’eventuale assunzione di questi soggetti da parte delle “altre” società in house della Regione.

Da ultimo, la sentenza precisa le differenziazioni esistenti tra il regime assunzionale a cui sono sottoposti i dipendenti pubblici e quello proprio del personale degli enti in house.

In proposito appare di estrema importanza l’assunto della Corte costituzionale secondo cui, anche se il reclutamento del personale da parte delle società pubbliche avviene sulla base di meccanismi oggettivi e trasparenti, in conformità al comma 3 dell’articolo 35 del d. lgs. n. 165/ 2001, ciò non assicura l’ imparzialità della procedura.

E’ infatti evidente che le società in house, pur dovendo allinearsi a principi pubblicistici di reclutamento, conservano uno spazio di manovra maggiore rispetto all’ente pubblico.

Queste infatti possono ancora oggi utilizzare elenchi di esperti, formati con procedure comparative esclusivamente curricurali e non adeguatamente pubblicizzate.

La presa di posizione della Corte Costituzionale su questo tema eviterà, per il futuro, di assimilare il personale delle in house ai dipendenti pubblici.

di Simonetta Fabris *

*referente del Programma di cooperazione transfrontaliera IPA Adriatico 2007-2013 per una Regione