- Moltocomuni - https://www.moltocomuni.it -

La “rottamazione” parziale dei pensionati4 min read

Con new del 5 dicembre scorso, questa Rivista ha pubblicato  la circolare n. 6 del 4 dicembre 2014  [1]del Ministero per la funzione e la semplificazione, sull’applicazione dell’art. 5, comma 9, del decreto legge 95/2012 [2], modificato dall’art. 6 del decreto legge 90/2014 [3].

Contenuto della disposizione – Com’è noto, la disposizione, in sintesi, vieta alle pubbliche amministrazioni di conferire a soggetti in quiescenza incarichi, a titolo oneroso, di studio, consulenza, dirigenziali, direttivi. La norma  vieta anche di conferire a questi soggetti incarichi in organi di governo delle stesse amministrazioni e di società da esse contollate . Il divieto colpisce tutti i lavoratori in quiescenza, pubblici e privati, anche se collocati in pensione per vecchiaia. Gli unici incarichi e collaborazioni consentiti, secondo la lettera della suddetta disposizione, sono quelli a titolo gratuito per una durata non eccedente l’anno, non rinnovabili nè prorogabili, da parte della stessa amministrazione, e quelli di componente delle giunte degli enti terriotriali e degli organismi elettivi degli ordini professionali.

Ambito applicativo – Il divieto colpisce tutti i lavoratori già in quiescenza, pubblici e privati, anche se collocati a riposo per vecchiaia. Sono interessate dal divieto, oltre le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2 del D.Lgs n. 165 del 2001 (amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, istituti e scuole,  aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, enti pubblici non economici, regioni, province, comuni, ecc),  anche quelle inserite nell’elenco delle unità istituzionali che fanno parte del Settore delle “Amministrazioni Pubbliche” compilato dall’ISTAT , le autorità indipendenti e la Consob. Anche gli organi costituzionali sono tenti ad adeguarsi alle nuova disciplina.

Circolare esplicativa – Per consentire un’applicazione omogenea della nuova disciplina e chiarire alcuni aspetti controversi della norma, il Ministro Madia ha emanto in data 4 dicembre scorso la richiamata circolare n. 6. La circolare precisa  finalità e decorrenza del divieto e definisce una casistica di incarichi tutt’ora consentiti ai lavoratori in quiescienza.

Secondo il Ministro la finalità del divieto è di agevolare il ricambio generazionale evitando che il conferimento di alcuni tipi di incarico sia utilizzato dalle pubbliche amministrazioni per avvalersi ancora del personale collocato in quiescenza o per attribuire agli stessi soggetti rilevanti responsabilità nelle amministrazioni. Giova ricordare però che l’art. 5, comma 9, del decreto – legge n. 95 del 2012 è rubricato “Riduzione di spese delle pubbliche amministrazioni” e che semmai  le finalità ricordate dalla circolare sono quelle del decreto – legge n. 90 del 2014 di modifica dello stesso decreto n. 95.

Decorrenza – Il Ministero precisa che la nuova disciplina prevale su quelle precedenti anche speciali e che le nuove regole si applicano per gli incarichi conferiti dal 25 giugno 2014, data di entrata in vigore del decreto n. 90/2014. Ultimo giorno utile per la nomina o il conferimento secondo le precedenti regole è il 24 giugno 2014: fa fede la data del provvedimento, a nulla rilevando il mancato completamento della fase integrativa dell’efficacia dell’atto (ad esempio, del controllo). Al contrario, la nuova disciplina in vigore dal 25 giugno scorso è applicabile agli incarichi non ancora conferiti, anche se a tale data era già stato avviato il procedimento, ad esempio con  l’intervenuta  designazione da parte dell’ autorità diversa da quella competente alla nomina o al conferimento dell’incarico.

Il divieto, invece, relativo alla nomina in organi degli enti e delle società controllate trova applicazione dal 19 agosto 2014, ossia dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto n. 114 dell’11 agosto 2014 che lo ha introdotto.

Incarichi vietati –  Come precisato dalla circolare n. 6/2014, i divieti non sono applicabili in via analogica o estensiva. Di conseguenza, gli unici incarichi vietati a  prescindere dalle modalità di conferimento dell’incarico, sono i seguenti:

a) gli incarichi dirigenziali anche a contratto;

b) gli incarichi direttivi, che comportano la direzione di uffici e la gestione di risorse umane;

c) gli incarichi di studio e consulenza, come definiti dalla Corte dei conti, Sez. Riunite, con deliberazione n. 6 del 15 febbraio 2005 [4];

d) le cariche in organi di governo di ammninistrazioni, di enti e società controllate, quali presidente, amministratore o componente di consiglio di amministrazione.

Incarichi consentiti – Secondo l’interpretazione ministeriale,  le pubbliche amministrazioni possono continuare a conferire ai “pensionati” i seguenti incarichi:

a) di ricerca, considerato che la norma riguarda solo gli icarichi di studio e consulenza;

b) di componente di commissione di concorso o di gara;

c) di partecipazione ad organi collegiali consultivi;

c) di docenza;

e)  di componete dei collegi sindacali e degli organismi di revisione;

Al lavoratore in quiescenza non è precluso prestare attività lavorativa in relazione ai rispettivi limiti di età.

Ciascuna amministrazione può conferire al lavoratore in quiescenza uno degli incarichi o cariche vietate se  a titolo gratuito e per una durata non superiore all’anno. L’incarico alla scadenza non è non rinnovabile né prorogabile e può dar luogo solo al rimborso delle spese documentate nei limiti stabiliti dall’amministrazione conferente.

Il problema –Resta aperta la questione – non affrontata dalla circolare – del pensionato che intraprende un’attività professionale con iscrizione al relativo ordine o collegio  professionale. Ad esempio, il pensionato divenuto avvocato può essere destinatario di un incarico di consulenza legale da parte di una pubblica amministrazione all’esito di procedura comparativa? E al pensionato divenuto architetto o ingegnere libero professionista la PA può conferire un incarico di studio o di consulenza nelle materie di competenza professionale? La risposta non può che essere positiva. Una diversa e più rigida interpretazione finirebbe per costituire un limite irragionevole all’esercizio della libera professione e un’ingiustificata disparità di trattamento nei confronti di una platea vasta di soggetti.

Giuseppe Panassidi