IN POCHE PAROLE…
E’ costituzionalmente illegittimo il tetto di sei mensilità al risarcimento per i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese.
Rientra nella discrezionalità del datore di lavoro stabilire le garanzie contro i licenziamenti illegittimi.
Tuttavia un sistema normativo di tutela esclusivamente monetario è compatibile con la Costituzione, ma solo a condizione che sia effettivo e adeguato e che rispetti il principio di ragionevolezza.
Corte costituzionale, sentenza 23 giugno – 21 luglio 2025, n. 118, Pres. Amoroso – Red. Sciarrone Alibrandi
La sentenza
Con la sentenza n. 118/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 9, comma 1, del D.lgs. n. 23 del 2015 [1], nella parte in cui prevedeva un limite massimo fisso all’indennità risarcitoria spettante ai lavoratori licenziati illegittimamente da datori di lavoro di piccole dimensioni.
La norma censurata dalla sentenza annotata, in particolare, stabiliva che, nei casi in cui il datore di lavoro non superi le soglie dimensionali di 15 dipendenti per unità produttiva e comunque non oltre i 60 dipendenti complessivi (art. 18, commi 8 e 9, dello Statuto dei lavoratori), l’indennità non può superare le sei mensilità per ogni anno di servizio.
Secondo la Corte, questa previsione — applicabile indipendentemente dalla gravità dell’illegittimità del licenziamento — sommata al dimezzamento degli importi rispetto a quelli previsti per le imprese più grandi, restringe eccessivamente la discrezionalità del giudice. e impedisce così una valutazione individualizzata, compromettendo i criteri di personalizzazione, adeguatezza e congruità del risarcimento, oltre a svuotare la funzione deterrente della sanzione nei confronti del datore di lavoro per licenziamenti illegittimi.
I precedenti della Consulta
Nella sentenza è ricordato che la Corte ha ricondotto “la tutela contro i licenziamenti illegittimi agli artt. 4 e 35 Cost. e alla configurazione ivi tratteggiata del diritto al lavoro quale «fondamentale diritto di libertà della persona umana» (sentenza n. 45 del 1965), tale da imporre al legislatore di circondare di «doverose garanzie» per il lavoratore e «di opportuni temperamenti» (ancora sentenza n. 45 del 1965) il recesso del datore di lavoro, garantendo così il diritto del lavoratore «a non essere estromesso dal lavoro ingiustamente o irragionevolmente» (sentenza n. 60 del 1991)”. Inoltre, è confermato che “il raggio applicativo della tutela in discorso è stato progressivamente ridotto. Il ridimensionamento di quest’ultima è avvenuto per effetto dapprima dell’art. 1, comma 42, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita) e poi del d.lgs. n. 23 del 2015, che l’ha circoscritta a ipotesi tassative per tutti i datori di lavoro, facendo invece assumere portata generale alla tutela indennitario-monetaria.
La pronuncia, quindi, conferma che il mutamento nei modelli garanzie contro i licenziamenti illegittimi rientra nella discrezionalità del legislatore, da esercitarsi tenendo conto del contesto economico generale (sent. n. 194/1970) e del fatto che la tutela reale non è l’unico paradigma possibile (sent. n. 46/2000 e sent. n. 7/2024). E che la legge ha escluso l’obbligo di reintegrazione nei confronti dei datori di lavoro sotto soglia dimensionale, senza violare la Costituzione, in ragione della struttura fiduciaria del rapporto di lavoro in tali realtà e per evitare tensioni o oneri eccessivi (sent. n. 2/1986, n. 152 e sent. n. 189/1975).
Con riferimento proprio al d.lgs. n. 23/2015, la Corte ha ritenuto compatibile con la Costituzione un sistema di tutela esclusivamente monetario, purché effettivo e adeguato, ribadendo che il legislatore può scegliere il regime più opportuno, nel rispetto del principio di ragionevolezza e riconoscendo che il licenziamento illegittimo è comunque un atto illecito (sent. n. 303/2011 e sent. n. 194/2018).
Conclusioni
La pronuncia 118/2025 arriva a poca distanza [3] dal mancato raggiungimento del quorum nel referendum abrogativo dell’8 e 9 luglio scorso, con il quale i promotori richiedevano agli elettori di pronunciarsi sull’’eliminazione proprio del tetto delle sei mensilità al risarcimento per i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese. La Consulta, dunque, è intervenuta là dove il referendum non ha potuto produrre effetti per insufficiente partecipazione degli elettori [2].
La decisione riguarda potenzialmente oltre il 92 per cento del tessuto produttivo nazionale e una quota significativa della forza lavoro.
La redazione
[1] Art. 9 ( Piccole imprese e organizzazioni di tendenza) “1. Ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970, non si applica l’articolo 3, comma 2, e l’ammontare delle indennità e dell’importo previsti dall’articolo 3, comma 1, dall’articolo 4, comma 1 e dall’articolo 6, comma 1, è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità. 2. Ai datori di lavoro non imprenditori, che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto, si applica la disciplina di cui al presente decreto.
[2] Solo il 29,89 % degli elettori aventi diritto si è recato ai seggi, rendendo di fatto invalidi tutti i quesiti, incluso quello sulle piccole imprese.
[3] La decisione della Consulta è stata adottata nella Camera di Consiglio del 23.6.2025.
