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Sul collocamento in aspettativa per dottorato di ricerca di un militare4 min read

Anche un’attività connotata da discrezionalità come la decisione di concedere o meno l’aspettativa per dottorato di ricerca può risultare, a seguito di più ordinanze propulsive del giudice rimaste inevase dall’amministrazione, oramai “segnata” nel suo sviluppo.

Tar Campania, Napoli, sez. VII, sentenza 7 marzo 2017, n. 1307 [1], Presidente FF ed Estensore Perrelli

A margine

Nella vicenda, il Ministero della Difesa rigetta più volte la richiesta di un dipendente di collocamento in aspettativa retribuita, per 3 anni, per lo svolgimento di un dottorato di ricerca il quale ricorre pertanto al Tar per l’annullamento della decisione e la condanna dell’Amministrazione al rilascio dell’autorizzazione.

Il Ministero, costituito in giudizio, ribadisce le esigenze di servizio poste a fondamento del diniego.

Il Tar ritiene il ricorso fondato.

In particolare il giudice ricorda che l’istituto dell’aspettativa del pubblico dipendente ammesso ad un corso di dottorato di ricerca è stato introdotto nell’ordinamento dall’art. 2 della legge n. 476 del 1984 [2], allo scopo di favorire la partecipazione ai suddetti corsi dei pubblici dipendenti.

In questo quadro normativo si inserisce la modifica dell’art. 2 della predetta legge ad opera dell’art. 19, comma 3, della legge n. 240 del 2010 [3]che ha subordinato la concessione dell’aspettativa ad una valutazione di compatibilità con le esigenze dell’Amministrazione di appartenenza del dipendente.

In base alla normativa citata, il collocamento in aspettativa, così come un suo eventuale diniego, è dunque subordinato ad un’attenta valutazione da parte dell’Amministrazione che ben motivare la propria decisione.

Nel caso di specie, le ragioni addotte dall’Amministrazione a fondamento del diniego non appaiono in linea con il precetto legislativo in quanto il primo diniego dimostra un’istruttoria carente poiché attribuisce al ricorrente la qualifica di “medico competente”, dallo stesso mai rivestita, e ne fa conseguire l’impossibilità di sostituzione con altro soggetto; gli ulteriori rigetti, adottati a seguito delle due ordinanze cautelari di remand della Sezione, discendono invece da un’attività amministrativa che, seppur connotata da discrezionalità, risulta contraddittoria, illogica e tale da inficiare la legittimità degli atti di volta in volta adottati.

In tal senso, le decisioni assunte dalla P.A. si limitano a ripetere in modo acritico l’esistenza di cause ostative consistenti in esigenze organico – funzionali, nonostante nel corso del periodo considerato sia intervenuto il trasferimento dell’interessato ad altro Comando e la sua sostituzione presso il Quartiere Generale di originaria assegnazione.

Per contro, alla luce delle ordinanze remand, esisteva un onere di motivazione rafforzato in capo al Ministero.

Pertanto i provvedimenti impugnati sono annullati.

Circa la domanda di condanna dell’Amministrazione al rilascio dell’aspettativa, il Collegio osserva che l’art. 34, comma 1, lett. c), c.p.a. [4] prevede l’ “azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto”, ma solo “contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di diniego o all’azione avverso il silenzio” e sempre che – come previsto dall’art. 31, comma 3, c.p.a. [4] – si tratti di “attività vincolata o quando risulta che non residuano margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbono essere compiuti dall’amministrazione”.

Tale regola può quindi essere applicata solo in presenza di attività vincolata o quando risulti che non residuino ulteriori margini di esercizio della discrezionalità.

Tuttavia, come evidenziato dalla giurisprudenza, “anche un’attività connotata da discrezionalità può, a seguito della progressiva concentrazione in giudizio delle questioni rilevanti (ad esempio, mediante il combinato operare di ordinanza propulsiva e motivi aggiunti), risultare, all’esito dello scrutinio del giudice, oramai “segnata” nel suo sviluppo” (cfr. in termini Tar Lombardia, Milano, III, 10.4.2012, n. 1045 [5]).

Nella caso in esame, ad avviso del Tar, deve, pertanto, ritenersi vincolata l’attività amministrativa successiva al terzo diniego sulla medesima istanza pretensiva.

Infatti, secondo il condivisibile orientamento della giurisprudenza amministrativa, il punto di equilibrio fra gli opposti interessi va determinato imponendo all’amministrazione (dopo un giudicato da cui derivi il dovere o la facoltà di provvedere di nuovo) di esaminare l’affare nella sua interezza, sollevando, una volta per tutte, le questioni che ritenga rilevanti, dopo di ciò non potendo tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione ai profili non ancora esaminati.

Tale principio trova applicazione anche nell’analoga ipotesi in cui l’amministrazione venga reinvestita della questione a seguito di remand (tecnica cautelare che si caratterizza proprio per rimettere in gioco l’assetto di interessi definiti con l’atto gravato, restituendo quindi all’amministrazione l’intero potere decisionale iniziale).

Pertanto, accertata l’illegittimità dei dinieghi opposti dall’Amministrazione, due dei quali a seguito delle citate ordinanze cautelari di remand, il Collegio ritiene ammissibile la condanna dell’amministrazione all’adozione del provvedimento favorevole al ricorrente sulla scorta della portata generale dell’art. 34 c.p.a. [4] e della circostanza che nei tre rigetti susseguitisi nel corso della vicenda il Ministero abbia esaurito le possibili ragioni ostative all’istanza del dipendente.