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Sul danno da demansionamento del dirigente in caso di valutazione negativa3 min read

Nel lavoro pubblico alle dipendenze di un ente locale, alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo e non è consentito, perciò, anche in difetto della espressa previsione di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, stabilita per le Amministrazioni statali, di ritenere applicabile l’art. 2103 cod. civ., risultando la regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite non compatibile con lo statuto di dirigente pubblico.

Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, ordinanza 20 luglio 2018, n. 19442 [1], Presidente Napoletano, Relatore De Felice

Il fatto

Una Corte d’Appello, a conferma della pronuncia di un Tribunale, rigetta la domanda di un dirigente di una Provincia, con cui lo stesso chiede di accertare l’illegittimità della valutazione negativa attribuita dal Nucleo di valutazione con riferimento all’attività dallo stesso svolta nell’anno 2002 e la conseguente illegittimità del decreto del Presidente della Provincia che lo assegna ad altra struttura di staff, domandando il risarcimento del danno da demansionamento nella misura di Euro 50.000.

In particolare la Corte d’Appello ritiene non provato il demansionamento e, sul presupposto che non sussiste un diritto al mantenimento dell’incarico dirigenziale, attribuisce il mancato conferimento di esso alla valutazione “non del tutto positiva” ottenuta per l’anno 2002, le cui ragioni sono rimaste incontestate da parte dello stesso appellante.

Pertanto il dirigente ricorre per la cassazione di tale sentenza lamentando:

  • che la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare in relazione al provvedimento relativo all’assegnazione in staff e avrebbe motivato in modo contraddittorio in ordine al mancato conferimento di un incarico dirigenziale, comportante la gestione di risorse umane, di pari dignità di quello rivestito in precedenza;
  • l’insufficiente motivazione della sentenza nella parte in cui, avendo il ricorso ad oggetto la verifica del rispetto della procedura prevista per il conferimento degli incarichi dirigenziali, avrebbe affermato in modo lacunoso ed insufficiente che il dirigente non sarebbe titolare di un diritto al rinnovo del contratto o alla conservazione dell’incarico precedentemente conferito;
  • la violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 cod. civ., [2] affermando che tale norma civilistica secondo cui “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte” troverebbe applicazione nei confronti della cd. dirigenza tecnica, cui lo stesso apparteneva in base a una professionalità mai oggetto di contestazione.

La sentenza

Secondo la Cassazione la prima e la seconda censura sono inammissibili dal momento che la difesa del ricorrente non ha allegato il decreto dirigenziale relativo all’assegnazione presso l’ufficio di staff, che si suppone non avesse pari dignità rispetto a quello precedentemente ricoperto.

La terza censura è infine infondata. La Corte, in fattispecie sovrapponibile, ha infatti già espresso il principio di diritto, secondo cui: “Nel lavoro pubblico alle dipendenze di un ente locale, alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo e ciò non consente, anche in difetto della espressa previsione di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 [3] stabilita per le Amministrazioni statali, di ritenere applicabile l’art. 2103 cod. civ., [2] risultando la regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite non compatibile con lo statuto di dirigente pubblico” (Cass. n. 4621/2017).

Conclusioni

Nel caso in esame, la Cassazione ritiene che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del predetto principio e pertanto il ricorso è rigettato.

di Simonetta Fabris