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Sul risarcimento del danno per ritardata assunzione in servizio7 min read

Nelle ipotesi di omessa o ritardata assunzione, la quantificazione per equivalente del danno non si deve fondare sulla mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione, ma va individuata caso per caso, considerando l’entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale derivanti dalla condotta del datore di lavoro.

Consiglio di Stato, sede giurisdizionale, sez. III, 30 luglio 2013, Presidente Cirillo, estensore Capuzzi.

Sentenza 4020-2013 [1]

Il caso

Il Consiglio di Stato giudica sull’esecuzione di una sua precedente sentenza grazie alla quale un concorrente, inizialmente escluso dalla graduatoria finale di un concorso pubblico per vigili del fuoco per inidoneità fisica, è riammesso tra i vincitori del concorso medesimo, dopo un’ulteriore accertamento clinico. L’assunzione del soggetto avviene in ritardo rispetto alla pronuncia, assegnando al servizio dello stesso una decorrenza “giuridica” analoga a quella dei vincitori, ma successiva dal punto di vista economico.

Con il ricorso di ottemperanza l’interessato chiede quindi il risarcimento del danno da ritardata assunzione per un ammontare pari alle mancate retribuzioni e ai contributi previdenziali non versati.

La sentenza

Nel 2010, il ricorrente, supera tutte le prove di un concorso per la copertura di 814 posti di vigile del fuoco, collocandosi al 50° posto della graduatoria finale di merito, in posizione utile per l’eventuale nomina tra i vincitori. A seguito delle visite mediche di rito, tra cui l’esame audiometrico, il soggetto viene successivamente escluso a causa di un rilevato “deficit della capacità uditiva consistente in ipoacusia bilaterale percettiva (neurosensoriale), più accentuata a sinistra per le alte frequenze”.

L’interessato propone quindi ricorso al Tribunale Amministrativo per il Lazio che lo respinge.

Con ordinanza cautelare n. 2724-2011 [2], il Consiglio di Stato, dispone un nuovo accertamento audiometrico presso il Policlinico Militare di Roma, al cui esito il soggetto risulta “idoneo secondo quanto previsto dall’art. 1, comma g) del Decreto Ministero dell’Interno 11.3.2008 n.78 [3]“. Conseguentemente, con sentenza n. 6145-2011 [4], il Collegio sancisce l’illegittimità dell’esclusione del candidato a seguito della prima valutazione di inidoneità e, accogliendo l’appello, riforma la sentenza di primo grado.

Durante il giudizio di ottemperanza per l’esecuzione della predetta sentenza, il ricorrente comunica, con motivi aggiunti, l’avvenuta assunzione con decorrenza giuridica dal 27.4.2011 ma economica solo dall’8.4.2013. Esso lamenta di non avere potuto partecipare al corso di formazione del 2011 e beneficiare della decorrenza economica dei candidati assunti in servizio dal 27.4.2011, per l’illegittimo provvedimento di esclusione, avendo quindi subito un danno da ritardata assunzione. In particolare la colpa dell’amministrazione sarebbe rinvenibile sia nella negligenza ed imperizia dell’originario accertamento di inidoneità all’impiego, sia nel ritardo nell’esecuzione della prima sentenza del Consiglio di Stato.

La III Sezione, investita della questione, accoglie il ricorso volto ad ottenere il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno in conseguenza alla tardiva assunzione, e precisa alcuni punti. Anzitutto il Collegio chiarisce che il nesso di causalità è rinvenibile nell’illegittimità dell’atto annullato, riconducibile all’amministrazione, la quale non ha indicato alcun argomento volto a giustificare il contrasto tra il primo accertamento di inidoneità e quello successivo di idoneità, disposto a seguito dell’ordinanza del giudice di appello.

Il Consiglio di Stato ricorda poi che l’art. 30, co. 2, c.p.a., [5] introducendo l’azione di condanna al risarcimento del danno ingiusto, ha individuato, come presupposto alla base dell’azione risarcitoria per danni da attività provvedimentale, l’illegittimità dell’atto stesso o il mancato esercizio dell’attività obbligatoria, senza fare esplicito riferimento al dolo o alla colpa quali elementi soggettivi dell’illecito, in realtà necessari e discriminanti per la quantificazione del danno, ai sensi del successivo comma 3. Per definirli il Tribunale di secondo grado richiama l’orientamento della giurisprudenza precedente al c.p.a. la quale ha chiarito che la sola illegittimità di un atto fornisce elementi rilevanti nel senso di una presunzione relativa di colpa per i danni ad esso conseguenti o, comunque, derivanti da una violazione delle regole dell’agere amministrativo.

In tali fattispecie la colpa della pubblica amministrazione è stata più volte individuata nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, non scusabili, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione. In particolare, nel caso in esame, l’illogica esclusione del ricorrente dal concorso a causa dell’accertamento di un’inidoneità fisica, successivamente rilevata inesistente, viola i principi di imparzialità e buon andamento, senza che nel giudizio siano emersi degli esimenti per l’amministrazione, quali la presenza di un errore scusabile.

Il ritardo nell’assunzione, avvenuta solo nel 2013, dopo la presentazione del ricorso per l’ottemperanza del giudicato, mostra inoltre un aggravamento della colpa della pubblica amministrazione, la quale ha provveduto assegnando al servizio dell’interessato una decorrenza giuridica a partire dal 27.4.2011, ma economica solo dall’8.4.2013.

In riferimento alla quantificazione del danno, il Consiglio di Stato non accoglie la richiesta di commisurare lo stesso all’intero ammontare delle retribuzioni non percepite dalla data di mancata assunzione a quella dell’effettivo collocamento in servizio. Richiamando una giurisprudenza consolidata si precisa che nelle ipotesi di omessa o ritardata assunzione, la quantificazione per equivalente del danno non si deve fondare sulla mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione, ma va individuata caso per caso, considerando l’entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale derivanti dalla condotta del datore di lavoro (Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2009, n. 4325 [6]; Cass. civ., sez. un., 14 dicembre 2007, n. 62282; id., 21 dicembre 2000, n. 1324).

In definitiva, alla luce del grave pregiudizio materiale arrecato al ricorrente, e della colpa dell’amministrazione, il danno risarcibile è quantificato equitativamente, in applicazione del combinato disposto degli atti artt. 2056, co. 1 e 2, e 1226 c.c., in una somma pari all’50 % delle retribuzioni che sarebbero state corrisposte nel periodo decorrente dalla data della mancata assunzione a quella dell’effettivo collocamento in servizio, comprensiva della parte contributiva e previdenziale, con esclusione delle indennità di funzione proprie dei VV.FF. e di quanto, a qualsiasi titolo, percepito dall’interessato nel medesimo periodo per altre attività lavorative, da accertarsi ad opera dell’amministrazione. Le somme così definite andranno incrementate per rivalutazione monetaria e interessi compensativi al tasso legale, nella misura eccedente il danno da svalutazione, da calcolarsi a partire dalla data di pubblicazione della sentenza.

La valutazione della sentenza

Con la sentenza in esame il Consiglio di Stato si uniforma alla costante giurisprudenza, anche della Corte di Cassazione, in tema di riconoscimento e valutazione degli strumenti risarcitori.

In particolare, il Collegio chiarisce nuovamente che il risarcimento del danno da tardiva assunzione, conseguente a provvedimento illegittimo della P.A., non ha come presupposto un’astratta ipotesi di mancata erogazione degli elementi retributivi e contributivi che si sarebbero potuti percepire in ipotesi di tempestiva assunzione. Le richieste retributive e contributive presuppongono, infatti, l’avvenuto perfezionamento del rapporto di lavoro e rilevano sotto il profilo della responsabilità contrattuale. Nel caso in esame, al contrario, il ricorrente deve dimostrare i pregiudizi di tipo patrimoniale e/o non patrimoniale direttamente riconducibili alla condotta omissiva o ritardataria del datore di lavoro, qualificata come illecita in più occasioni anche dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (sentenze e n. 1324 del 21.12.2000 e n. 26282 del 14.12.2007).

In riferimento alla giurisdizione, poi, si deve ricordare quanto disposto dall’art. 63, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001 [7], secondo cui “sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro”. In sostanza, i danni subiti dal pubblico dipendente a causa della condotta dilatoria dell’amministrazione nella costituzione del rapporto di lavoro sarebbero collocabili, da un punto di vista cronologico e logico-giuridico, all’esterno del perimetro concettuale della procedura concorsuale, quali oggetto di una “controversia concernente l’assunzione”.

Nella fattispecie in trattazione, tuttavia, la causa in merito ai danni da ritardata assunzione rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto gli effetti pregiudizievoli di cui viene chiesto il risarcimento rinvengono la loro fonte nell’illegittima modalità di svolgimento del procedimento concorsuale, configurando il risarcimento del danno come mezzo di tutela ulteriore (rispetto a quella caducatoria) della situazione giuridica del partecipante alla procedura concorsuale (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I bis, n. 2987-2005 [8]; T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. I, n. 4701-2005 [9], T.A.R. Campania, Sentenza, Sez. I, 24.04.2012, n. 766 [10]).

di Simonetta Fabris