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Sull’assegnazione di mansioni superiori in assenza del consenso del dipendente2 min read

Sulla base della disciplina dell’art. 52 del D.Lgs. n. 165/2001, l’assegnazione del lavoratore a mansioni superiori si configura come manifestazione di un potere esercitabile in via unilaterale del datore di lavoro pubblico.

Con orientamento RAL 1495 del 26 settembre 2017 [1], l’Aran precisa che sulla base della formulazione testuale, il comma 2 dell’art. 52 del D. Lgs. n. 165/2001 [2]si presta ad essere interpretato nel senso di riconoscere a ciascun datore di lavoro pubblico un vero e proprio diritto potestativo in materia di attribuzione di mansioni superiori.

Si tratta di un potere che il legislatore assoggetta solo alla sussistenza delle specifiche condizioni espressamente previste dalla richiamata norma e cioè: a) le obiettive esigenze di servizio; b)  l’esigenza di copertura di una vacanza di posto in organico (per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti) oppure quella di provvedere alla sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto.

In coerenza e nel rispetto di tale indicazione legislativa, l’art.3, comma 3, del CCNL del 31.3.1999, concernente il sistema di classificazione del personale del Comparto Regioni-Autonomie Locali, ha disposto che: l’assegnazione temporanea di mansioni proprie della categoria immediatamente superiore costituisce il solo atto lecito di esercizio del potere modificativo. Essa, fino a diversa disciplina contrattuale, è regolata dai commi 2-4 dell’art. 56 del D.Lgs. n. 29 del 1993 come modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998 (il riferimento deve essere inteso all’attuale art. 52 del D.lgs. n. 165/2001).

L’art. 8 del CCNL del 14.9.2000, poi, disciplina in modo specifico e dettagliato la materia delle mansioni superiori, dando attuazione diretta alle previsioni sia dell’art. 52 del D.lgs. n. 165/2001 che dell’art. 3, comma 3, del CCNL del 31.3.1999 e senza disporre, rispetto a quelli legali, alcun ulteriore limite o vincolo in materia al potere modificativo del datore di lavoro pubblico.

Ad ulteriore conferma dell’unilateralità del potere modificativo di cui si tratta, infine, si evidenzia che la complessiva regolamentazione dell’assegnazione a mansioni superiori del dipendente, di fonte sia legislativa che contrattuale, pure essendo articolata e particolareggiata, non richiede mai formalmente ed espressamente il preventivo consenso del dipendente stesso.

Per completezza informativa, si evidenzia anche che, con riferimento al mondo del lavoro privato, la Corte di Cassazione, in presenza di particolari fattispecie, si è pronunciata nel senso della ammissibilità del rifiuto del lavoratore di espletare mansioni superiori a quelle della qualifica di inquadramento (ad es. Cass. 12 febbraio 2008, n. 3304; Cass. 19 luglio 2013, n. 17713; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20222).