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Il ruolo degli enti locali nell’accoglienza e nell’integrazione sociale7 min read

I movimenti migratori costituiscono, nella storia dell’umanità, una vera e propria costante,determinata dall’esigenza – e, più in generale, dal desiderio, connaturato nell’essere umano[1] [1] – di spostarsi verso luoghi che offrano migliori condizioni di vita e verso territori ritenuti più attrattivi rispetto a quello d’origine. Lungi dal poter essere arrestati, pertanto, i predetti movimenti possono essere, tuttavia, governati sotto il profilo giuridico.

La disciplina

Nell’ordinamento del nostro Paese, il fenomeno dell’immigrazione è disciplinato dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 [2] e s.m.i. (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), il cui art. 3, comma 5, statuisce che, “Nell’ambito delle rispettive attribuzioni e dotazioni di bilancio, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti locali adottano i provvedimenti concorrenti al perseguimento dell’obiettivo di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e degli interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio dello Stato, con particolare riguardo a quelli inerenti all’alloggio, alla lingua, all’integrazione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana”.

La riforma del Titolo V della Costituzione, operata con L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3 [3], ha attribuito le materie concernenti il diritto di asilo, la condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea e l’immigrazione alla potestà legislativa esclusiva dello Stato (art. 117 [4], comma 2, lett. a) e b)). Ad ogni modo, la Corte Costituzionale (cfr. sentenze 22 luglio 2005, n. 300 e 14 aprile 2006, n. 156) ha chiarito che la suddetta potestà non può ritenersi messa in discussione da disposizioni di leggi regionali che si limitino a prendere in considerazione ambiti delle stesse materie di specifica pertinenza delle Regioni: “ciò secondo criteri che tengono ragionevolmente conto del fatto che l’intervento pubblico non si limita al doveroso controllo dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale [politiche dell’immigrazione, n.d.a.], ma riguarda necessariamente altri ambiti, dall’assistenza all’istruzione, dalla salute all’abitazione, materie che intersecano, ex Costituzione [politiche per l’immigrazione, n.d.a.], competenze dello Stato con altre regionali, in forma esclusiva o concorrente” (sent. n. 300/2005 cit.)[2] [5]. Ciò premesso, ad avviso della stessa Corte, le Regioni possono affidare agli Enti Locali attività di assistenza sostanziantisi “nel mero affidamento […] di quegli adempimenti che, nell’ambito dei procedimenti di richiesta e rinnovo di permesso di soggiorno e di carta di soggiorno, ovvero di richiesta di nulla-osta al ricongiungimento familiare, diversamente sarebbero stati svolti direttamente dagli stessi richiedenti” (sent. n. 156/2006 cit.).

Per quel che concerne, in particolare, il sistema integrato di interventi e servizi sociali, ai sensi dell’art. 2, comma 1, L. 8 novembre 2000, n. 328 [6] (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) hanno diritto di usufruire delle prestazioni e dei servizi del sistema integrato di interventi e servizi sociali anche gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno; ai profughi, agli stranieri ed agli apolidi sono garantite le misure di prima assistenza. Ai sensi dell’art. 6, comma 1, dello stesso articolato normativo, i Comuni “sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale e concorrono alla programmazione regionale. Tali funzioni sono esercitate dai comuni adottando sul piano territoriale gli assetti più funzionali alla gestione, alla spesa ed al rapporto con i cittadini”. Secondo quanto statuito dall’art. 7, comma 1, le Province “concorrono alla programmazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”.

L’art. 40, comma 1, del T.U. sull’immigrazione prevede che le Regioni, in collaborazione con le Province, con i Comuni e con le associazioni e le organizzazioni di volontariato, “predispongono centri di accoglienza destinati ad ospitare, anche in strutture ospitanti cittadini italiani o cittadini di altri Paesi dell’Unione europea, stranieri regolarmente soggiornanti per motivi diversi dal turismo, che siano temporaneamente impossibilitati a provvedere autonomamente alle proprie esigenze alloggiative e di sussistenza”. Il successivo comma 2 dello stesso articolo precisa che i suddetti centri hanno la finalità “di rendere autosufficienti gli stranieri ivi ospitati nel più breve tempo possibile”. Ai sensi del comma 3, per centri di accoglienza si tendono “strutture alloggiative che, anche gratuitamente, provvedono alle immediate esigenze alloggiative ed alimentari, nonché, ove possibile, all’offerta di occasioni di apprendimento della lingua italiana, di formazione professionale, di scambi culturali con la popolazione italiana, e all’assistenza socio-sanitaria degli stranieri impossibilitati a provvedervi autonomamente per il tempo strettamente necessario al raggiungimento dell’autonomia personale per le esigenze di vitto e alloggio nel territorio in cui vive lo straniero”.

Il procedimento di accoglienza

Assume un rilievo particolare, al riguardo, il procedimento di accoglienza e di trattamento dei minori stranieri non accompagnati, i quali, non avendo comprovati legami parentali sul territorio nazionale e trovandosi, pertanto, privi di assistenza, sono oggetto di attenzione da parte delle istituzioni pubbliche, al pari dei minori italiani in condizioni di abbandono.

Secondo quanto disposto di cui all’art. 346 cod. civ., il giudice tutelare provvede all’apertura delle tutele in favore dei minori. Tale norma risulta direttamente applicabile anche ai minori stranieri ai sensi dell’art. 2 della Convenzione internazionale sui diritti del Fanciullo (Trattato internazionale adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20/11/1989 e ratificato in Italia con L. n. 176/1991), che impone il principio di non discriminazione nei confronti dei minori per ragioni di razza, etnia, religione, et c.

L’art. 37 bis della L. 4 maggio 1983, n. 184 [7] (Diritto del minore ad una famiglia) estende, espressamente, al minore straniero i provvedimenti di affidamento preadottivo e di adozione, oltre che i provvedimenti che si rivelino necessari in caso di urgenza. Proprio l’affidamento del minore temporaneamente privo di un idoneo ambiente familiare, di cui all’art. 2 L. n. 183/1984, può costituire uno dei presupposti per l’apertura della tutela nel caso in cui l’esercizio della potestà sia impedito.

I minori stranieri, sia nell’ipotesi in cui siano entrati clandestinamente che nell’ipotesi in cui siano stati rintracciati sul territorio nazionale in posizione di irregolarità, vengono ricoverati dagli Organi di Polizia presso Comunità-alloggio ex art. 403 cod. civ. (Intervento della pubblica autorità a favore dei minori). Dal momento dell’affidamento alla Comunità-alloggio, la responsabilità dei controlli e della vigilanza sui minori è attribuita, nell’ordine: agli operatori ed ai responsabili della stessa Comunità-alloggio; ai servizi sociali del Comune; al giudice dei minori che può avvalersi delle Forze dell’Ordine. Le rette spettanti alle Comunità-alloggio gravano sul bilancio dello Stato nella prima fase del ricovero attraverso il Ministero dell’Interno e successivamente all’eventuale formulazione della richiesta di asilo politico attraverso lo SPRAR (Servizio di Protezione per i Richiedenti Asilo). Per coloro che non formulino la richiesta di asilo, invece, sono a carico dello Stato (ossia del Ministero dell’Interno) gli oneri assistenziali relativi alla prima assistenza fino al momento in cui al minore viene assegnata la tutela da parte della competente Autorità Giudiziaria. In seguito all’apertura della tutela, che solitamente individua il tutore nei Servizi sociali del Comune ove è ubicata la Comunità che accoglie il minore, spetta proprio al Comune farsi carico del pagamento delle rette in questione fino al raggiungimento della maggiore età (cfr. Circolari Ministero Interno 20/8/2005; 25/10/2006; 14/2/2007).

I progetti d’integrazione

In ossequio al disposto di cui all’art. 42 del T.U. sull’immigrazione, agli Enti Locali è riservato un ruolo centrale nella realizzazione di progetti di integrazione a favore degli immigrati. In tale contesto, i Comuni “hanno uno spazio (…) nella programmazione regionale in materia di immigrazione, che rinviene il suo fondamento nel piano triennale degli interventi per l’integrazione dei cittadini stranieri, attraverso il quale la Regione definisce gli indirizzi e le azioni idonei a perseguire i suoi obiettivi strategici in questo settore[3] [8].

Riguardo ai concreti interventi sul territorio, i Comuni possono costituire appositi sportelli a favore degli stranieri per informare questi ultimi sulle normative, sui servizi disponibili sul territorio, sulle procedure concernenti il rilascio di visti, permessi di soggiorno, rinnovi, ricongiungimenti familiari, assistenza sanitaria, residenza, cittadinanza, domanda di casa popolare, et c., mettendo eventualmente a disposizione degli stessi anche servizi di interpretariato per la traduzione di documenti e durante i colloqui. I Comuni hanno la possibilità di prevedere, inoltre, servizi di consulenza per gli immigrati che desiderano frequentare corsi di studio o di formazione professionale, avviare un’attività in proprio o cercare un lavoro adeguato alle proprie attitudini.

Ulteriori misure gli Enti Locali possono, infine, prevedere al fine di promuovere la partecipazione attiva dello straniero alla vita della comunità locale mediante la costituzione di organismi come le “consulte” e le “rappresentanze” di stranieri nell’ambito dei Consigli Comunali.

Attilio Carnabuci, viceprefetto



[1] [9] Cfr. CESTIM – MLAL, Migrazioni: una realtà di sempre, in http://www.cestim.it/sezioni/materiali_didattici/md_cestim-mlal/schede/02.pdf [10].

[2] [11] Sulla distinzione tra politiche dell’immigrazione e politiche per l’immigrazione cfr. CASTELLI, Il ruolo degli enti locali nell’integrazione e partecipazione dei migranti, in http://www.issirfa.cnr.it/download/QUADERNO_Castelli.pdf [12].

[3] [13] CASTELLI, op. cit..