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Incompatibilità dei dirigenti e degli amministratori e “governance” delle società pubbliche5 min read

L’entrata in vigore, lo scorso 4 maggio del decreto legislativo … 8 aprile 2013, n. 39, [1] sui nuovi divieti per vertice amministrativo, dirigenza e organi d’indirizzo politico, sta creando diversi problemi interpretativi agli amministratori e agli operatori degli enti locali, tanto da costringere l’ANCI [2] a richiedere chiarimenti puntuali alla Funzione pubblica.

Il D.Lgs n. 39, emanato in attuazione della delega contenuta nella legge anticorruzione n. 190 del 2012 (art. 1, commi 49 e 59), ha l’evidente finalità di elevare, con l’eliminazione di potenziali conflitti d’interesse, l’asticella della garanzia d’imparzialità dei dirigenti (di ruolo e a contratto), dei titolari di cariche amministrative di vertice (segretario generale, direttore generale, ecc) e dei componenti degli organi di governo di regioni, province e comuni e degli organi di indirizzo di enti pubblici e di enti privati in controllo pubblico.

In questa prima fase, sono emerse le seguenti tre tematiche.

1. Un primo problema riguarda la compatibilità della suddetta normativa con le disposizioni della spending  review del 2012 sulla governance di alcune società in controllo pubblico. La “spending review” del 2012, com’è noto, prevede che debbano fare parte dei consigli di amministrazione di determinate società pubbliche, i dirigenti dell’ente partecipante, in misura variabile da due a tre, a seconda che il consiglio di amministrazione sia composto, rispettivamente, da tre o cinque membri. In alternativa, l’ente può nominare un amministratore unico (art. 4, commi 4 e 5, del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge L. 7 agosto 2012, n. 135).

La ricordata disposizione non riguarda tutte le società partecipate, ma solo le strumentali con fatturato da prestazioni di servizi a carico della p.a. superiore al 90 per cento dell’intero fatturato (comma 4), e quelle a totale partecipazione pubblica, diretta e indiretta (comma 5). La norma ha finalità di risparmio.

Il D.Lgs n. 39 introduce, fra l’altro, l’incompatibilità dei dirigenti con incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dall’amministrazione o ente pubblico nel quale si svolge l’incarico (art. 9). E l’incompatibilità, per il livello regionale, con la carica di presidente o amministratore delegato di enti in diritto privato in controllo pubblico da parte della regione, e, per il livello provinciale o comunale, con la carica di componente di organi di indirizzo negli stessi enti in controllo pubblico da parte della regione, della provincia o dei comuni con oltre 15.000 abitanti o loro forme associative di almeno la stessa dimensione demografica (art. 12).

Le due disposizioni, ossia quella sull’obbligo della partecipazione dei dirigenti alla gestione delle partecipate, e quella sulle incompatibilità, sembrerebbero, a prima lettura, in palese conflitto fra loro, con la conseguenza che, essendo i dirigenti incompatibili, l’unica soluzione per sanare la contraddittorietà sarebbe di chiamare a gestire le società pubbliche l’amministratore unico (esterno).

Due precisazioni possono portare, però, a conclusioni parzialmente diverse.

Primo. Le incompatibilità previste dal D.Lgs n. 39 non colpiscono tutti gli incarichi e le cariche, ma solo quelle che comportano rapporti particolarmente qualificati (art. 12, commi 3 e 4), ossia, per il livello regionale, quella di presidente con deleghe gestionali dirette e di amministratore delegato degli enti di diritto privato in controllo pubblico e, per il livello provinciale e comunale, quella di componente degli organi di indirizzo di tali enti (ad esempio, componente del comitato di sorveglianza nelle società a governance “dualistica”).

Secondo. L’incompatibilità, poi, non riguarda tutti i dirigenti, ma solo quelli che ricoprono incarichi che comportano poteri di vigilanza o controllo sugli stessi enti di diritto privato regolati o finanziati dall’amministrazione o dall’ente pubblico che conferisce l’incarico, oltre , ovviamente ai titolari di incarichi amministrativi di vertice (art. 9, comma 1).

In altri termini, i dirigenti possono essere chiamati a far parte dei CdA delle società strumentali o a totale capitale pubblico, a condizione che non svolgano nell’ente di appartenenza incarichi di vigilanza e controllo sulle stesse società (art. 9), e che non siano investiti nelle società di deleghe gestionali dirette (art. 12).

2. Il secondo problema riguarda la possibilità di rinnovare, alla scadenza, gli incarichi di presidente o amministratore delegato in enti di diritto privato in controllo pubblico. Tale possibilità è esclusa dall’art. 7, comma 2, del D.Lgs n. 39, a mente del quale non può essere riconfermato chi è stato presidente o amministratore delegato nell’ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni con oltre 15.000 abitanti e loro forme associative, della stessa regione, provincia, comuni.

Il periodo di “raffreddamento”, che colpisce anche i componenti degli organi di indirizzo politico regionale o locale, è differenziato: (a) due anni, per gli incarichi nelle stesse amministrazioni o enti da queste controllati; (b) un anno, per gli incarichi in altre amministrazioni o enti da queste controllati.

Non regge, in considerazione del tenore letterale della norma, l’interpretazione secondo la quale il divieto opererebbe solo per gli incarichi di presidente e amministratore delegato in enti diversi da quello in cui nel periodo precedente si è svolto l’incarico.

Il divieto posto dalla norma è la conseguenza dell’equiparazione del presidente e dell’amministratore delegato degli enti di diritto privato in controllo pubblico ai componenti degli organi di indirizzo politico delle amministrazioni (sindaci, assessori, ecc). E trova una possibile giustificazione nella volontà del legislatore di evitare che incarichi condizionati dall’appartenenza politica, siano svolti senza soluzione di continuità. Che questo divieto serva a ridurre l’ingerenza della politica in misura da giustificare il sacrificio della necessaria continuità della gestione societaria è molto opinabile, ma, a legislazione vigente, il divieto non è eludibile con interpretazioni forzate; come dire, dura lex, sed lex.

3. Un’altra problematica riguarda la decorrenza dei nuovi divieti. E, in particolare, se essi riguardano anche gli incarichi conferiti prima dell’entrata in vigore del D.Lgs n. 39. Sul punto si concorda con quanto sostenuto dall’Anci nella richiamata nota e cioè che, in mancanza di una disciplina transitoria, i nuovi divieti riguardano, in base al principio del tempus regit actum, le situazioni successive al 4 maggio scorso, mentre per quelle precedenti continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti al momento del conferimento dell’incarico.  Una precisazione interpretativa sul punto della Funzione pubblica sarebbe comunque auspicabile.

4. In conclusione:
– i dirigenti possono gestire le società partecipate, ma con i limiti previsti dal D.Lgs n. 39;
– il presidente o amministratore delegato in enti di diritto privato in controllo pubblico, alla scadenza, non può essere riconfermato;
– le inconferibilità e le incompatibilità trovano applicazione per gli incarichi da conferire dopo il 4 maggio, data di entrata in vigore del D.Lgs n. 39.

Giuseppe Panassidi – Marco Rossi