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La conferibilità di incarichi a soggetti in quiescenza nelle società a controllo pubblico6 min read

Col fine di agevolare comportamenti omogenei e coerenti da parte delle Amministrazioni pubbliche dopo l’entrata in vigore del Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica [1], il 24 maggio u.s. il Ministero dell’Interno ha diffuso, ai sensi dell’art. 154, co. 2, del Tuel [2], apposito atto di indirizzo [3], concernente la conferibilità di cariche nelle società a controllo pubblico a soggetti collocati in quiescenza.

Come noto, l’art. 11, comma 1, del TUSP [1] prevede che per “i componenti degli organi amministrativi e di controllo di società a controllo pubblico […] Resta fermo quanto disposto […] dall’articolo 5 comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 [4], convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135”.

A mente del d.l. n. 95/2012 [4], “è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 [5], nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è altresì fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all’articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125. Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni di cui ai periodi precedenti sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati eventuali rimborsi spese, corrisposti nei limiti fissati dall’organo competente dell’amministrazione interessata. Gli organi costituzionali si adeguano alle disposizioni del presente comma nell’ambito della propria autonomia”.

Da quanto sopra deriva che, anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 175/2016 [1], permane il divieto, imposto alle amministrazioni pubbliche, di conferire “cariche in organi di governo delle […] società da esse controllat[e]” a “soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza”, se non “a titolo gratuito”.

I dubbi interpretativi

Ciò nondimeno, il Ministero rappresenta i seguenti profili di incertezza interpretativa delle disposizioni del TUSP [1]:

1) se il divieto si applichi anche alle società a controllo pubblico “quotate”, come definite all’art. 2, co. 1, lett. p), del d.lgs. n. 175/2016 [1], ovvero a quelle “che emettono azioni quotate in mercati regolamentati” nonché quelle “che hanno emesso, alla data del 31 dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati”;

Il dubbio deriva dall’apparente contrasto tra quanto previsto dall’art. 11, co. 1, del TUSP [1], secondo cui “Resta fermo quanto disposto … dall’articolo 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 [4]…” e quanto stabilito dall’art. 1, co. 5, dello stesso testo unico, a mente del quale, “Le disposizioni del presente decreto si applicano, solo se espressamente previsto, alle società quotate, come definite dall’articolo 2, comma 1, lettera p), nonché alle società da esse controllate”.

2) se tra i “soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza”, quali soggetti passivi/destinatari della previsione di legge, debbano o meno essere inclusi anche i lavoratori autonomi.

L’indirizzo del Ministero

Il Viminale ricorda che il Testo Unico [1] ha tratto origine dall’esigenza di avere un unico quadro normativo organico, volto ad assicurare la chiarezza delle regole, la semplificazione normativa e a precisare l’ambito di applicazione della disciplina sulle società a partecipazione pubblica.

Le regole applicabili a tali società, al cui genus appartengono le società a controllo pubblico, con i loro caratteri di specialità, si rinvengono pertanto esclusivamente nel d.lgs. n. 175/2016 [1], operando per il resto “le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato”.

Questo comporta che la normativa contenuta nel Testo unico [1] prevale sulle normative precedenti, anche speciali, quindi, anche sull’articolo 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 [4], il quale può trovare applicazione alle società a partecipazione pubblica solo in quanto, e nei limiti in cui, è richiamato dallo stesso Testo unico.

Sulla base di tale premessa, il Ministero risolve i dubbi interpretativi oggetto dell’atto di indirizzo come segue:

1) fermo restando quanto previsto dagli art. 11, co. 1, e 1, co. 5, del TUSP [1], lo stesso articolo 11, contenente disposizioni sugli “Organi amministrativi e di controllo delle società a controllo pubblico”, non reca un’espressa previsione di applicabilità del d.l. n. 95/2012 [4] alle società quotate e alle società da queste controllate, non potendo, pertanto, trovare applicazione nei loro confronti.

Tale interpretazione è confermata:

a) dalla collocazione della norma che non trova spazio nell’ambito delle disposizioni generali che segnano il raggio di applicazione oggettiva e soggettiva del Testo unico [1] (articolo 1), o il suo coordinamento con la legislazione vigente (articolo 27) o il regime transitorio (articolo 26).

b) dalle peculiarità che connotano da sempre il genus delle società quotate, le quali sono sottoposte a un sistema di obblighi, controlli e sanzioni autonomo, in considerazione dell’esigenza di contemperare, da un lato, gli interessi pubblici sottesi alla normativa dettata in ragione della partecipazione pubblica, e, dall’altro, la tutela degli investitori e dei mercati finanziari.

2) in conformità a quanto evidenziato dalla Corte dei conti (1) e dalla Corte costituzionale (2), posto che l’art. 5, co. 9, del d.l. n. 95/2012 [4] fa genericamente riferimento alla figura del “lavoratore”, senza distinzioni di sorta, la disposizione va applicata anche ai lavoratori autonomi in quiescenza, in caso di conferimento di incarichi in seno agli organi amministrativi o di controllo delle società in controllo pubblico.

Stefania Fabris

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(1) Cfr. Corte dei conti, sez. di controllo per il Piemonte (del. 60/2018/SRCPIE/PAR), secondo cui la norma “utilizza il termine “lavoratore” e non dipendente, proprio al fine di comprendere tutti i lavoratori, sia dipendenti che autonomi, a prescindere dall’attività lavorativa svolta prima di essere collocati in quiescenza, in coerenza, peraltro, con la ratio della disposizione di conseguire risparmi di spesa” e Corte dei conti, sez. di controllo per la Puglia (del. 193/2014/PAR [6]), per la quale “il divieto abbraccia non solo gli ex dipendenti dell’ente, ma tutti i lavoratori (dipendenti, lavoratori autonomi) privati o pubblici (quindi, a prescindere dalla natura dell’ex datore di lavoro) in quiescenza”.

(2) Secondo la Corte costituzionale la ratio della disposizione è imperniata sulla constatazione del carattere limitato delle risorse pubbliche e sulla connessa esigenza di una predeterminazione complessiva delle risorse che l’amministrazione può corrispondere a titolo di retribuzioni e pensioni; tale esigenza prevale sull’interesse pubblico al ricorrere a professionalità particolarmente qualificate che già fruiscono di un trattamento pensionistico e sussiste indipendentemente dalla natura del pregresso rapporto lavorativo (dipendente o autonomo) del soggetto collocato in quiescenza (sentenza n. 124/2017 [7]).