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La Consulta torna ad esprimersi sull’attuazione della riforma Delrio6 min read

La disciplina del personale recata dalla legge n. 190/2014 costituisce uno dei passaggi fondamentali della riforma degli enti di area di cui alla legge n. 56/2014, dovendosi pertanto farsi rientrare nella medesima competenza esclusiva dello Stato.

Corte costituzione, sentenza n. 159 del 7 luglio 2016 [1] Pres. Grossi, Red. Coraggio

A margine

La Corte costituzionale giudica sui ricorsi di lgittimità costituzionale promossi dale regioni Campania, Lombardia, Puglia e Veneto avverso le norme recate dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190 [2] (legge di stabilità per il 2015) nella parte in cui dispone:

1) che la dotazione organica delle Città metropolitane e delle Province delle Regioni a statuto ordinario, a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge, è ridotta del 30 e del 50 per cento della spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56 [3], tenuto conto delle funzioni attribuite ai predetti enti (art. 1, comma 421);

2) l’iter operativo per l’individuazione del personale che rimane assegnato agli enti di area vasta e di quello da destinare alle procedure di mobilità tenuto conto del processo di riordino delle funzioni di cui alla legge n. 56 [3] del 2014 (art. 1, comma 422);

3) che, nel contesto delle procedure e degli osservatori previsti dall’accordo tra stato, regioni, comuni e province del 11 settembre 2014, vengano determinati i piani di riassetto organizzativo, economico, finanziario e patrimoniale delle Città metropolitane e delle Province e definite le procedure di mobilità del personale interessato, disponendo lo stesso venga prioritariamente ricollocato presso le Regioni e gli enti locali e in via subordinata, presso le amministrazioni dello Stato (art. 1, comma 423);

4) che, nelle more della conclusione delle procedure di mobilità, il relativo personale rimanga in servizio presso le Città metropolitane e le Province, con possibilità di avvalimento da parte delle Regioni e degli enti locali attraverso apposite convenzioni che tengano conto del riordino delle funzioni con oneri a carico dell’ente utilizzatore e che, a conclusione del processo di ricollocazione, le Regioni e i Comuni, in caso di delega o di altre forme, anche convenzionali, di affidamento di funzioni alle Città metropolitane e alle Province o ad altri enti locali, dispongano contestualmente l’assegnazione del relativo personale con oneri a carico dell’ente delegante o affidante, previa convenzione con gli enti destinatari (art. 1, comma 427).

Le regioni ricorrenti sostengono che tali disposizioni violino gli artt. 3, 5, 35, 81, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione [4], nonché dell’art. 5, comma 1, lettera e), della legge costituzionale n. 1/2012 [5], relativa all’introduzione del principio del pareggio, e l’art. 9, comma 5, della legge n. 243/2012 [6], per l’attuazione del medesimo principio.

Esaminate le censure sollevate, la Corte dichiara le inammissibili o infondate smontando punto per punto le argomentazioni delle regioni.

Ad esempio, infondato è il rilievo secondo cui la normativa in discussione rientrerebbe nella materia «organizzazione amministrativa degli enti locali», affidata alla competenza legislativa residuale delle Regioni … anche nel caso la si volesse ricondurre alla materia del «coordinamento della finanza pubblica».

Ad avviso della Consulta, infatti, la legge n. 56 del 2014 [3] ha disegnato il nuovo assetto degli enti territoriali di area vasta nei loro aspetti funzionali e organizzativi, traducendosi in una riforma organica, come riconosciuto nella sentenza n. 50 del 2015, riservabile al solo livello normativo statale o meglio alla competenza esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. e, con specifico riferimento alle Città metropolitane, a quella di cui all’art. 114 Cost.

Non v’è dubbio quindi che la disciplina recata dalla l. n. 190/2014 [2] sul personale delle province e delle città metropolitane costituisca uno dei passaggi fondamentali della riforma della legge n. 56 del 2014 [3] da farsi rientrare nella medesima competenza esclusiva dello Stato.

E’ altrettanto vero che la normativa in esame non è estranea al coordinamento della finanza pubblica ma da ciò non può desumersi che una riforma di tale portata possa essere ricondotta a questa materia e non a quella di gran lunga prevalente degli «organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane».

Quanto alla violazione dei principi di funzionalità ed efficienza che imponevano che lo spostamento delle risorse umane avvenisse solo a seguito della riallocazione delle funzioni, la Corte sottolinea come l’accordo istituzionale del settembre 2014 [7] non effettuasse direttamente gli adempimenti previsti, limitandosi solo a rilevare che essi andassero differenziati da regione a regione.

E’ dunque alle regioni che è stata demandata l’adozione di provvedimenti ad hoc, in seguito emanati, seppur in ritardo rispetto alle scadenze annunciate.

Alla data di emanazione della l. n. 190 [2], considerata la molteplicità delle soluzioni previste, il nuovo assetto funzionale era quindi ben lungi dall’essere realizzato, sì da costringere il legislatore statale ad intervenire, sia per imprimere una spinta acceleratoria, sia per assicurare l’uniformità dei nuovi assetti istituzionali.

Senza avvalersi del potere sostitutivo ammesso dalla legge n. 56 del 2014 [3], il legislatore ha posto dunque dei “paletti” per la nuova aggregazione delle funzioni, attraverso la distribuzione del personale e della relativa spesa, così riducendo la sfera decisionale delle Regioni rispetto alle previsioni della legge Delrio [3] e del d.P.C.m. 26 settembre 2014 [8].

Ciò nondimeno, il potere di intervento delle Regioni sull’individuazione delle funzioni non fondamentali e sulla loro allocazione non è stato scalfito dalla l. n. 190 [2], la quale ha previsto espressamente che, a conclusione del processo di ridistribuzione del personale, le stesse Regioni potessero affidare le funzioni non fondamentali agli enti dei rispettivi territori, disponendo contestualmente l’assegnazione del relativo personale, sia pure assumendosene l’onere finanziario.

In merito alla dedotta non corrispondenza tra funzioni e risorse, la Consulta ricorda che la legge n. 56 [3] del 2014 aveva già direttamente effettuato l’individuazione delle funzioni fondamentali delle Province e delle Città metropolitane, potendosi escludere che vi sia stata una riduzione del personale aprioristica e irragionevole in quanto slegata dalla valutazione delle funzioni.

Circa la censura della violazione dell’art. 118 Cost. [4], la Corte rileva come l’intervento statale sia stato finalizzato ad evitare che l’utilizzo “ampio” dei principi di sussidiarietà e adeguatezza portasse a conservare in capo agli enti intermedi gran parte delle funzioni non fondamentali: ciò, infatti, contradirebbe la prospettiva riformista, che, come è noto, è quella della soppressione delle Province o quantomeno del loro ridimensionamento.

Non a caso, quindi, la l. n. 190 [2] ha previsto un apposito meccanismo, che permette l’allocazione in capo alle Province e alle Città metropolitane delle funzioni non fondamentali in attuazione dei predetti principi, sia pure imponendo l’assunzione da parte delle Regioni dei relativi oneri finanziari, a garanzia di un utilizzo del potere nei casi di stretta ed effettiva necessità.

Relativamente alla lamentata discriminazione nella riduzione indifferenziata della dotazione organica per tutti gli enti coinvolti, ad avviso della Corte, la portata della riforma e la necessità di una disciplina uniforme giustificano l’impossibilità, per il legislatore statale, di tener conto delle specificità territoriali in una logica premiale.

Da ultimo, sotto il profilo del rischio di assorbimento di personale non qualificato con conseguente violazione del principio di buon andamento della PA, non va dimenticato che il d.P.C.M. 26 settembre 2014 [8] ha stabilito che l’individuazione del personale si basasse sul criterio dello svolgimento, in via prevalente, di compiti correlati alle funzioni oggetto di trasferimento, permanendo la possibilità che, ad un così rilevante riassetto organizzativo-funzionale, segua un’adeguata riqualificazione del personale.

Stefania Fabris