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La riduzione dei costi della politica locale secondo il piano Cottarelli9 min read

Il Governo ha diffuso all’inizio mese di aprile, sul sito web “revisione della spesa [1]”, il lavoro svolto dal Commissario per la spending review, Carlo Cottarelli, come noto oggi dimessosi e sostituito, per ora senza ufficialità, dal consigliere economico del premier, Itzhak Yoram Gutgeld.

Relativamente alla riduzione dei costi della politica, dal relativo dossier [2] si apprende che l’analisi di Cottarelli e del suo staff si è concentrata sulle remunerazioni dei politici eletti, sul costo di funzionamento degli organi legislativi ed esecutivi delle regioni e dei comuni, e sul sistema di finanziamento dei partiti.

Per quanto riguarda le province, poi, la presenza del disegno di legge costituzionale e dell’allora disegno di legge ordinario (oggi diventato la legge n. 56/2014 [3]) sul congelamento degli organi elettivi provinciali, ha indotto il Commissario a non svolgere lo stesso tipo di studio per i nuovi enti di area vasta, per i quali sono state formulate soltanto alcune raccomandazioni al fine di evitare che il processo in atto conducesse a perdite di efficienza e ad eccessi di spesa in futuro.

Per questi enti, in particolare, il dossier prende atto della loro mancata cancellazione e rileva che l’unico risparmio concretamente conseguibile deriva dalla sola eliminazione del finanziamento degli organi istituzionali  e delle spese per le relative consultazioni (per un totale di circa 150 milioni di euro su base annua).

Parimenti, anche per il sistema di sovvenzionamento dei partiti, data la presentazione di un apposito decreto legge di riforma, il gruppo di lavoro si è limitato a suggerire emendamenti (e a presentare stime di ulteriori risparmi) sul testo del provvedimento, solo in parte accolti nella successiva conversione in legge.

Passando alle proposte concrete, il Commissario, dopo aver chiarito che gli interventi sui costi della politica locale possono essere distinti sia in termini della maggiore o minore certezza con cui producono risultati sulla riduzione della spesa, sia in termini del tempo necessario perché questi risparmi si realizzino, relativamente alle aministrazioni comunali suggerisce quanto segue:

a) Fusione di comuni al di sotto di una certa soglia di popolazione

Sul punto, il gruppo di lavoro evidenzia l’eccessiva frammentazione dei comuni italiani e sottolinea la sproporzione esistente tra la percentuale di popolazione italiana residente nei piccoli comuni e la rispettiva percentuale di amministratori locali.

Da qui fa presente l’esigenza di ridurre in maniera sostanziale il numero di comuni, introducendo l’obbligo di fusione per tutti quelli al di sotto di una certa soglia di popolazione.

Un simile intervento inciderebbe, infatti, in modo significativo sui costi della politica, sia direttamente, attraverso la riduzione dei rappresentanti eletti, sia indirettamente, per i processi di fusione degli apparati amministrativi.

Diversamente, la previsione che i comuni al di sotto di una certa dimensione offrano servizi in comune tramite le unioni, se da un lato può condurre ad aumenti di efficienza nell’erogazione dei servizi attraverso lo sfruttamento delle economie di scala, dall’altro non potrà influenzare più di tanto i costi della politica, posto che rimarrebbe immutato sia il numero dei municipi che quello dei loro rappresentanti.

All’obiezione, poi, secondo cui una fusione condurrebbe a ridurre la rappresentanza dei comuni originali, così diminuendo la loro capacità di garantire benefici ai rispettivi cittadini, il Commissario risponde suggerendo l’introduzione di meccanismi che garantiscano una presenza adeguata di amministratori dei comuni d’origine nei consigli dei nuovi enti generati dalla fusione … per conseguire tali risultati sarebbero, infatti, sufficienti, delle modifiche alla legge elettorale per l’elezione dei sindaci.

Venendo ai dati: la fusione dei comuni sotto i 10,000 abitanti generebbe un risparmio stimabile tra i 59 e i 98 milioni di euro per ciò che concerne gli emolumenti degli amministratori e i costi “accessori”, mentre quella dei comuni al di sotto dei 5.000 o dei 3.000 abitanti porterebbe ad un risparmio molto più contenuto, tra i 34 ed 58 milioni di euro.

b) Riduzione del numero di assessori e consiglieri comunali

L’analisi del Commissario ha rilevato come il numero di consiglieri e assessori aumenti al crescere della popolazione in modo tuttavia graduale.

Benché non esista una regola generale che identifichi il numero ottimale di rappresentanti per popolazione, la consistenza attuale di consiglieri comunali sembra comunque cospicua, soprattutto nei comuni di piccola dimensione.

Nel nostro Paese, poi, come osserva il Commissario, esiste un rapporto funzionale tra il numero dei consiglieri e quello degli assessori.

Constatato ciò, data l’attività di controllo che i consiglieri devono esercitare e ferma restando la necessità per il consiglio di rappresentare sia la maggioranza che l’opposizione, il gruppo di lavoro sottolinea la forte leva maggioritaria del sistema elettorale comunale unitamente al fatto che gli assessori sono spesso anche consiglieri (di maggioranza).

Ne consegue che una possibile misura di spending review potrebbe essere quella di prevedere, per ogni assessore, soltanto tre o quattro consiglieri.

Se, ad esempio, fosse ipotizzata una riduzione generalizzata del 20% del numero di assessori e consiglieri (che porterebbe a 10 il numero di assessori per i comuni di maggiori dimensioni e, ad una cifra compresa tra 5, per i comuni fino a 1000 abitanti, e 38, per i comuni con più di un milione di abitanti, il numero dei consiglieri), la consistenza numerica degli amministratori locali rimarrebbe comunque rilevante.

In questo caso, peraltro, il risparmio di spesa oscillerebbe tra i 44 e i 60 milioni di euro annui, conseguibili sia dalle minori spese per emolumenti, sia dalla riduzione dei rimborsi per oneri ai datori di lavoro e contributi connessi alle assenze dal lavoro.

c) Eliminazione dell’ indennità di fine mandato dei sindaci

La legislazione attuale prevede per i sindaci un doppio benefit in termini di contributi previdenziali.

Da un lato, infatti, l’amministrazione locale provvede a rimborsare al datore di lavoro la quota annuale di accantonamento per indennità di fine rapporto al fine di tenere indenni i datori di lavoro dai pesi economici delle assenze da lavoro dei propri dipendenti in ragione del loro mandato elettorale, dall’altro, l’articolo 82 del T.U.E.L. [4] prevede per i sindaci e i presidenti delle province l’indennità di fine mandato.

L’ammontare dell’indennità di fine mandato risulta attualmente pari a una mensilità dell’indennità di carica moltiplicata per ogni anno di esercizio del mandato.

Sul punto, secondo il Commissario, questa sorta di “doppio-TFR” rappresenta un vero e proprio benefit, tra l’altro privo di alcuna giustificazione sostanziale.

L’eliminazione di questa ulteriore indennità permetterebbe quindi di ottenere un risparmio annuale pari ad una mensilità dell’indennità di carica del sindaco per ogni comune; in cinque anni, il risparmio conseguibile ammonterebbe invece ad una cifra tra i 39 e i 67 milioni.

d) Riduzione degli emolumenti degli amministratori locali per i comuni al di sotto di 15.000 o 30.000 abitanti (del 10% dell’indennità di funzione del sindaco, del vice-sindaco e degli assessori; del 20% di quella del presidente del consiglio comunale e dei gettoni di presenza degli consiglieri comunali)

Su questo tema, l’analisi condotta mostra come, per ciascuna figura di amministratore comunale, le retribuzioni crescano all’aumentare della popolazione, verosimilmente per tener conto dei maggiori oneri e delle maggiori responsabilità derivanti dal governo di entità vieppiù complesse.

Detto ciò, a parere del gruppo di lavoro, sembra discutibile che la scala dell’indennità rifletta esattamente il carico crescente di compiti e responsabilità collegati alle cariche di governo.

Considerata, poi, la probabilità che nei municipi di minor dimensioni l’attività di sindaco e di assessore sia maggiormente compatibile con lo svolgimento di una normale attività di lavoro, secondo il Commissario appare ragionevole una riduzione nelle remunerazioni degli amministratori locali per i comuni sotto una certa dimensione.

Per gli assessori, tuttavia, data la loro maggiore responsabilità e accountability, può essere suggerita una minore penalizzazione in termini di incentivi economici.

In siffatta ipotesi, i risparmi oscillerebbero tra i 19 e i 36 milioni di euro all’anno per i comuni al di sotto dei 15.000 abitanti; tra i 26 ed i 44 milioni di euro annui per tutti quelli al di sotto di 30.000 abitanti.

In materia, poi, il Commissario raccomanda di ridurre, tra il 10% e il 20%, anche le remunerazioni del personale politico dei comuni al di sotto dei 15.000 abitanti valutando la possibile estensione di tale misura anche ai comuni appartenenti alle regioni a statuto speciale dotati di autonomia sulla finanza locale.

Per quel che riguarda la regioni, il dossier ricostruisce i risultati conseguiti dalle precedenti riforme (ben 12 provvedimenti emanati dal Governo Monti) e fornisce, in sintesi, le seguenti raccomandazioni:

a) ridurre il numero dei consiglieri per regione, ad esempio attribuendo un numero minimo di 12 consiglieri alle piccole regioni, fissando un benchmark di 120.000 abitanti per consigliere per le regioni di dimensione intermedie, e riportando a 150.000 il numero di abitanti per consigliere della Lombardia, regione che per le dimensioni della sua popolazione è un ovvio outlier rispetto alle altre;

b) ricalcolare i vitalizi in essere sulla base del sistema contributivo;

c) eliminare la diaria per consiglieri e assessori e presidente della giunta, trasformandola in una parte tassabile della retribuzione del personale politico;

d) eliminare le varie indennità di funzione (eccetto che per presidente e assessori);

e) riportare la remunerazione di consiglieri e presidenti a un livello massimo lordo più basso di quello attuale, per esempio, uguagliando l’indennità di un consigliere a quella del sindaco di una città capoluogo di regione;

f) introdurre un costo standard per la spesa di funzionamento del consiglio, riportando, con tempistiche appropriate, verso lo standard, la spesa delle regioni che maggiormente si discostano da esso;

g) migliorare il monitoraggio degli atti delle regioni e dei risparmi ottenuti, superando la mera verifica formale dell’adesione della legislazione regionale alle norme previste;

h) contrattare ex-ante con le regioni  la destinazione dei risparmi ottenuti, monitorandone attentamente la destinazione;

i) gestire in modo appropriato le sanzioni (ad es. il blocco dei trasferimenti), rendendole implementabili e commisurate allo scostamento rispetto all’obiettivo pattuito in termini di riduzioni di spesa e di impiego alternativo delle risorse;

l) migliorare il grado di trasparenza della contabilità regionale anche per quanto riguarda i consigli, armonizzando la classificazione delle diverse poste di spesa tra le regioni;

m) in caso di riforma costituzionale, intervenire sugli articoli della carta fondamentale [5] che definiscono l’autonomia relativa di regioni e Stato per la determinazione del numero dei consiglieri e della relativa remunerazione e considerare la possibilità di accorpamenti tra le regioni più piccole, rivedendo le norme che rendono questo passaggio impossibile.

In ultima analisi il lavoro svolto dal Commissario Cottarelli può dirsi adeguatamente approfondito e ben argomentato: non mancano, infatti, proposte e suggerimenti per ridurre i tanto osteggiati costi della politica.

Lo studio è inoltre ricco di stime sui risparmi conseguibili nel breve come nel lungo periodo.

Solo il legislatore nazionale potrà ora tradurre questi consigli in provvedimenti concreti o, in alternativa, metterli nel cassetto rinviandoli a data da destinarsi.

Stefania Fabris