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Prima sanzione pecuniaria dell’ANAC per ritorsioni al whistleblower5 min read

La situazione di evidente conflitto di interessi tra il segnalante e i membri dell’UPD, i quali, nonostante fossero a conoscenza del fatto di essere stati denunciati dal segnalante prima delle contestazioni disciplinari a quest’ultimo, non si sono astenuti e gli errori giuridici grossolani commessi dallo stesso ufficio fanno ritenere pretestuosi e ritorsivi i provvedimenti adottati nei confronti del segnalante.

La ratio dell’art. 54 bis d.lgs. 165/2001 presuppone che la responsabilità per l’adozione della misura ritorsiva sia personale e che la sanzione amministrativa pecuniaria sia irrogata esclusivamente alla persona fisica responsabile, firmataria dei provvedimenti ritorsivi e non alla p.a. di appartenenza.

ANAC, delibera del 04 settembre 2019, n. 782 [1]

A margine

La vicenda nasce da un conflitto verbale tra il segnalante, membro di un UPD, e altro soggetto che porta il segnalante a deferire all’Autorità Giudiziaria i membri dell’UPD di appartenenza per i reati di abuso d’ufficio e omissione di atti d’ufficio, commessi, secondo la sua ricostruzione, nell’ambito della gestione complessiva dei procedimenti disciplinari condotti in quegli anni.

L’UPD, venuto a conoscenza, tramite il RPCT, delle denunce del segnalante, avvia nei suoi confronti un procedimento disciplinare contestandogli:

  • la violazione dell’art. 6 comma 4 del Codice di comportamento secondo cui “il dipendente segnala in via riservata al Responsabile della prevenzione della corruzione le situazioni di illecito o irregolarità di cui venga a conoscenza nel luogo di lavoro e durante lo svolgimento delle proprie mansioni. Sono oggetto di segnalazione i comportamenti, i rischi, i reati ed altre irregolarità che possono risultare a danno dell’interesse pubblico” ritenendo che il segnalante avrebbe violato tale norma per non aver informato il Segretario Generale-RPCT della denuncia penale contro (omissis), già sottoposto a procedimento disciplinare, dando di fatto luogo ad un conflitto d’interessi dovuto alla circostanza di rivestire contestualmente, rispetto a fatti ritenuti penalmente rilevanti, la posizione di denunciante e quella di parte offesa;
  • la violazione dell’art. 10 comma 6 del Codice di comportamento a mente del quale “ai dipendenti ed ai Responsabili di servizio è vietato rilasciare dichiarazioni agli organi di informazione inerenti l’attività lavorativa e quella dell’ente nel suo complesso, in assenza di una specifica autorizzazione da parte del sindaco”, per aver rilasciato una dichiarazione ad una televisione e un’intervista ad un quotidiano.

All’esito del procedimento disciplinare si stabilisce la sospensione dal servizio e la privazione della retribuzione per 10 gg. nonché il congelamento della progressione verticale del segnalante.

L’istruttoria

All’esito del contraddittorio avviato con l’UPD del Comune (ufficio dal quale il segnalante si era nel frattempo dimesso) l’ANAC ritiene che l’Amministrazione non abbia fornito la prova della natura non ritorsiva dei provvedimenti adottati nei confronti del segnalante, ai sensi dell’art 54 bis co. 7 d.lgs. 165/2001 [2] e che la stessa abbia errato nel non riconoscere la natura di whistleblower allo stesso per il solo fatto che questo avrebbe denunciato non in modo anonimo.

Si ribadisce infatti che la tutela prevista da detto articolo non può che riguardare il dipendente pubblico che si identifica (diversamente, la tutela non può essere assicurata). Ne deriva che il segnalante, proprio perché si è identificato “con nome e cognome” in sede di denuncia all’A.G., poteva astrattamente beneficiare delle tutele di cui all’art. 54 bis d.lgs. 165/01 [2], le quali, al contrario, non avrebbero potuto essere accordate se la segnalazione fosse stata anonima.

Né può accogliersi quanto affermato dall’UPD secondo cui il segnalante non potrebbe comunque qualificarsi come whistleblower in quanto egli è un soggetto che ha l’obbligo giuridico di denunciare la commissione di fatti di reato ai sensi del codice penale e di procedura penale. Sul punto, si ribadisce che la circostanza per cui un soggetto abbia l’obbligo giuridico di denunciare fatti di reato ai sensi del codice penale e del codice di procedura penale non esclude che egli possa essere un whistleblower laddove sia anche un dipendente pubblico. La norma contenuta nell’art. 54 bis d.lgs. 165/2001 [2] infatti, presenta un ambito soggettivo e oggettivo più ampio rispetto a quelli del codice penale e del codice di procedura penale ed è rivolta a definire il particolare regime di tutela dei segnalanti dipendenti pubblici. La ratio delle due previsioni è dunque diversa. Pertanto, se è vero che la segnalazione all’A.N.AC., come affermato dalla Linee Guida 6/2015, non sostituisce quella all’Autorità Giudiziaria, ben può essere che la medesima denuncia all’autorità giudiziaria sia, al tempo stesso, adempimento dell’obbligo di denuncia e presupposto per ottenere la tutela di cui all’art. 54 bis d.lgs. 165/2001. [2]

Infine, non merita accoglimento nemmeno quanto sostenuto dall’UPD circa l’asserita natura strumentale delle denunce presentate dal segnalante, che escluderebbe in capo a quest’ultimo la qualifica di whistleblower. Vi sono, infatti, diversi importanti elementi che consentono di ritenere che il segnalante abbia denunciato all’A.G. i fatti illeciti commessi dall’UPD anche nell’interesse all’integrità della p.a. e non solo nel proprio esclusivo interesse.

Il provvedimento sanzionatorio

Ai sensi dell’art 54 bis co. 6, primo periodo d.lgs. 165/2001 [2], secondo cui “qualora venga accertata, nell’ambito dell’istruttoria condotta dall’ANAC, l’adozione di misure discriminatorie da parte di una delle amministrazioni pubbliche o di uno degli enti di cui al comma 2, fermi restando gli altri profili di responsabilità, l’ANAC applica al responsabile che ha adottato tale misura una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro”, l’Autorità determina la sanzione amministrativa pecuniaria minima di euro 5.000 precisando che l’art. 54 bis del d.lgs. 165/2001 [2] presuppone che la responsabilità per l’adozione della misura ritorsiva sia personale e che la sanzione amministrativa pecuniaria sia irrogata esclusivamente alla persona fisica responsabile, firmataria dei provvedimenti ritorsivi e non alla p.a. di appartenenza.

Quanto sopra, alla luce dell’evidente situazione di conflitto di interessi creatasi tra il segnalante e i membri dell’UPD, i quali, nonostante fossero a conoscenza del fatto di essere stati denunciati dal segnalante prima delle contestazioni disciplinari, non si sono astenuti e degli errori giuridici commessi dallo stesso ufficio, talmente grossolani da far ritenere pretestuosi e ritorsivi i provvedimenti adottati nei confronti del segnalante.

di Simonetta Fabris