IN POCHE PAROLE….

Compete alla Azienda sanitaria locale la decisione finale in ordine alla necessità di derogare all’obbligo vaccinale in considerazione di quanto dichiarato dal medico di medicina generale nel proprio certificato.


Consiglio di Stato, sez. III, ordinanza 22 dicembre 2021, n. 6790 – Pres. Corradino, Est. Ferrari


La verifica dell’ASL non costituisce inutile “duplicazione” dell’operatore del medico di medicina generale con il paziente.

A margine

Un medico appella al Consiglio di Stato contro la sentenza Tar Piemonte che respinge la sua istanza cautelare per la sospensione del provvedimento di sospensione obbligatoria temporanea dall’attività professionale sanitaria a seguito dell’accertamento dell’inosservanza all’obbligo vaccinale.

L’ordinanza

La Sezione respinge l’appello ricordando che il comma 2 dell’art. 4, d.l. n. 44 del 2021, non modificato, in parte qua, dall’art. 1, comma 1, d.l. 26 novembre 2021, n. 172, ha previsto l’esenzione dall’obbligo vaccinale, con differimento o, addirittura, omissione del trattamento sanitario in prevenzione, per il solo caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale (in tema anche ordd. 24 dicembre 2021, n. 6791 e 6796).

La Sezione richiama quindi i principi espressi con sentenza 20 dicembre 2021, n. 8454, secondo cui la finalità semplificatrice delle modalità di accertamento della sussistenza delle condizioni di esonero dell’obbligo vaccinale, e la connessa realizzazione di un punto di equilibrio con la primaria responsabilità attribuita alla Azienda sanitaria locale in ordine alla efficacia del piano vaccinale (il quale sarebbe compromesso, laddove la tutela anti-pandemica, affidata allo strumento vaccinale, fosse indebolita proprio laddove l’agente infettivo ha dimostrato maggiore virulenza e capacità mortifera, ovvero nei riguardi dei soggetti “fragili” perché affetti da patologie preesistenti e/o concomitanti), è stata realizzata dal legislatore mediante l’attribuzione al medico di medicina generale di un compito di “filtro” delle “istanze” di esonero.

Resta comunque ferma la responsabilità della stessa Azienda sanitaria di verificare l’idoneità della certificazione all’uopo rilasciata, con il corollario che non si tratta di inutile “duplicazione” atteso il contatto “diretto” del medico di medicina generale con il paziente, e quello secondario ed indiretto (ovvero mediato dalla certificazione del medico di medicina generale) della Azienda sanitaria locale.

La Sezione ha quindi concluso ricordando che il giudizio reso dalla Azienda sanitaria locale è insindacabile da parte del giudice, che non ha la competenza tecnica per verificare, nel merito, la correttezza delle conclusioni alle quali è pervenuto l’organo sanitario ope legis deputato a decidere.

Rileva inoltre che nel procedimento de quo non può applicarsi il rimedio del cd. soccorso istruttorio, avendo il legislatore scandito i passaggi procedimentali e la relativa tempistica, al fine di adottare celermente il provvedimento conclusivo o indurre il sanitario alla celere vaccinazione.

Con riguardo alla ragionevolezza della misura della sospensione dall’esercizio della professione e al sotteso bilanciamento tra gli interessi coinvolti dalla vicenda – tutti costituzionalmente rilevanti e legati a diritti fondamentali – meritano conferma le considerazioni già espresse dalla Sezione (ord. caut., 3 dicembre 2021, n. 6477), dovendosi ritenere assolutamente prevalente la tutela della salute pubblica e, in particolare, la salvaguardia delle categorie più fragili e dei soggetti più vulnerabili bisognosi di cura ed assistenza, spesso urgenti, e proprio per questo posti di frequente a contatto con il personale sanitario o sociosanitario.

Anzi, proprio verso costoro sussiste uno stringente vincolo di solidarietà, cardine del sistema costituzionale (art. 2 Cost.) ed immanente alla stessa relazione di cura e di fiducia che si instaura tra paziente e personale sanitario, che impone di scongiurare l’esito paradossale di un contagio veicolato dagli stessi soggetti chiamati alle funzioni di cura ed assistenza.

Quanto alla possibilità di collocare l’appellante in smart working anziché sospenderla, sul rilievo che  l’attività svolta (di direttore sanitario) ben può essere esercitata da remoto, la sezione evidenzia che le responsabilità connesse a tale ruolo – che non sono quelle proprie di un impiegato – richiedono una presenza pressoché costante sul luogo di lavoro e la possibilità di recarsi di persona al verificarsi di determinate problematiche, cosa che il sanitario privo di vaccinazione non potrebbe fare.

Infine, circa il periculum connesso al danno economico dell’appellante (conseguenza di un comportamento omissivo attinente alla mancata vaccinazione), il collegio ritiene prevalente il danno per la collettività dei pazienti e per la salute generale.


Stampa articolo