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Compensi dei commissari di concorso, una deroga non applicabile a tutti i dipendenti pubblici5 min read

IN POCHE PAROLE….

Deroga al principio di onnicomprensività della retribuzioni per i commissari di concorso – dipendenti pubblici, ma  solo limitatamente alle amministrazioni statali e agli enti pubblici (non economici) nazionali.


Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 3 novembre 2021, 253-2021-PAR [1], Presidente Martelli, Relatore Degni


A seguito dell’entrata in vigore del decreto legge n. 162/2019, la deroga al principio di onnicomprensività di cui all’art. 24, comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001, introdotta dall’art. 3, comma 14, della legge n. 56/2019, trova applicazione solo nei confronti delle amministrazioni statali e degli enti pubblici (non economici) nazionali.

Un’interpretazione estensiva di tale norma che ne consentisse l’applicabilità anche agli enti locali, non può essere ammissibile in quanto solo la legge può derogare al principio cardine di onnicomprensività della retribuzione dei dipendenti della PA sancito dagli artt. 2, comma 3 e 24, comma 3 del Dlgs. 165/2001.


A margine

Il sindaco di un Comune chiede alla Corte dei conti un parere teso a conoscere se i compensi spettanti ai componenti delle commissioni di concorso possano essere erogati anche a favore dei dipendenti della Pubblica Amministrazione che bandisce il concorso.

Il parere – Per rispondere al quesito, il collegio richiama le modifiche apportate all’art. 3 della legge n. 56/2019 [2] dall’art. 18, comma 1-ter lettere b) e c), del decreto legge 30 dicembre 2019, n. 162 [3].

In particolare, la lett. b) del richiamato art. 18, comma 1-ter, ha abrogato l’art. 3, comma 12, della legge n. 56/2019 [2] che recitava “Gli incarichi di presidente, di membro o di segretario di una commissione esaminatrice di un concorso pubblico per l’accesso a un pubblico impiego, anche laddove si tratti di concorsi banditi da un’amministrazione diversa da quella di appartenenza e ferma restando in questo caso la necessità dell’autorizzazione di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 [4], si considerano ad ogni effetto di legge conferiti in ragione dell’ufficio ricoperto dal dipendente pubblico o comunque conferiti dall’amministrazione presso cui presta servizio o su designazione della stessa”.

La lettera c) ha, invece, disposto l’aggiunta di un periodo alla fine del comma 13, il cui testo – al netto delle ulteriori modifiche apportate dall’art. 247, comma 10, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, [5] risulta essere il seguente:

“con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della predetta legge, si provvede all’aggiornamento, anche in deroga all’art. 6, comma 3, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 [6], dei compensi da corrispondere al presidente, ai membri e al segretario delle commissioni esaminatrici dei concorsi pubblici per l’accesso a un pubblico impiego indetti dalle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e dagli enti pubblici non economici nazionali, nonché al personale addetto alla vigilanza delle medesime prove concorsuali, secondo i criteri stabiliti con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 1995, [7] pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 134 del 10 giugno 1995. Tali incarichi si considerano attività di servizio a tutti gli effetti di legge, qualunque sia l’amministrazione che li ha conferiti”.

Dalla lettura comparata delle disposizioni previgenti e di quelle attuali emerge chiaramente come il legislatore abbia inteso restringere il campo dei destinatari delle norme in parola, limitandolo alle sole amministrazioni nazionali.

Tale voluntas legis trova conferma negli atti parlamentari e, in particolare nel “Dossier 21 febbraio 2020 – schede di lettura D.L. 162/2019 – A.S. 1729)” dove si legge che: “Le novelle di cui alle lettere b) e c) dello stesso comma 1-ter concernono la natura dell’attività degli incarichi di presidente, di membro e di segretario delle commissioni esaminatrici dei concorsi per il reclutamento di personale nelle pubbliche amministrazioni. Si prevede che tali incarichi, qualora riguardino concorsi indetti dalle amministrazioni dello Stato (anche ad ordinamento autonomo) e dagli enti pubblici (non economici) nazionali, siano considerati a tutti gli effetti di legge attività di servizio, qualunque sia l’amministrazione che li abbia conferiti, e si abroga la disposizione vigente, che pone il medesimo principio in via generale – mentre la nuova norma fa esclusivo riferimento ai concorsi indetti dalle suddette amministrazioni nazionali”.

Sulla scorta di quanto evidenziato, ne consegue che a seguito dell’entrata in vigore del decreto legge 30 dicembre 2019, n. 162 [3], la deroga al principio di onnicomprensività di cui all’art. 24, comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001 [4], introdotta dall’art. 3, comma 14, della legge n. 56/2019 [2], trova applicazione solo nei confronti delle amministrazioni statali e degli enti pubblici (non economici) nazionali.

Tale interpretazione appare funzionale anche all’obiettivo del legislatore, emergente da una lettura sistematica di tutto l’articolo 3 della legge n. 56/2019 [2], di accelerare le procedure assunzionali gestite a livello centrale. Ciò posto, la Sezione ritiene che un’interpretazione estensiva del citato comma 14, che ne consentisse l’applicabilità anche agli enti locali, non può essere ammissibile in quanto solo la legge può derogare al principio cardine di onnicomprensività della retribuzione dei dipendenti della PA sancito dagli artt. 2, comma 3 e 24, comma 3 del decreto legislativo n. 165/2001 [4].

Come ben chiarito dalla Sezione regionale per il Veneto (cfr. parere n. 1/2018) “In virtù di tale principio, nulla è dovuto, oltre al trattamento economico fondamentale ed accessorio stabilito dai contratti collettivi, al dipendente che ha svolto una prestazione che rientra nei suoi doveri d’ufficio (cfr. Corte dei Conti Puglia, Sezione giurisdizionale, sentenze nn. 464, 475 e 487 del 2010). Il principio si coniuga con quello, previsto parimenti dalle norme citate, della riserva alla contrattazione collettiva in tema di determinazione del corrispettivo delle prestazioni dei dipendenti: ne consegue, da un lato, che solo il contratto collettivo nazionale, può fissare onnicomprensivamente il trattamento economico, mentre quello decentrato assume rilevanza nei limiti di quanto disposto dalle fonti nazionali.

In ambo i casi, solo la legge può derogare a tale sistema, prevedendo talora ulteriori specifici compensi (Sez. Autonomie n. 7/2014 e Corte dei conti SS.RR.QM 51/CONTR/11 del 4 ottobre 2011) o addirittura la possibilità di una diversa strutturazione del trattamento economico (cfr., ad esempio, gli artt. 24 e 45 del decreto legislativo n. 165/2001 [4]), sia sul piano qualitativo che su quello quantitativo: con la conseguenza che, in quanto tale, esso costituisce un’eccezione di stretta interpretazione, con divieto di analogia (art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile: Sezione Campania, parere 07.05.2008 n. 7/2008), essendo regola generale quella secondo cui il contratto individuale o una determinazione unilaterale dell’ente (ad esempio un regolamento) non possono determinare il corrispettivo e, dall’altro, che tale corrispettivo retribuisce ogni attività che ricade nei doveri d’ufficio (principio di onnicomprensività)”.