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Sui titoli di servizio valutabili ai fini dei concorsi pubblici3 min read

In tema di titoli valutabili nell’ambito di un concorso pubblico, la collaborazione esterna si caratterizza per autonomia ed indipendenza che rendono ontologicamente impossibile considerarla alla stregua di un rapporto dipendente con naturale esclusione della stessa dal novero dei titoli valutabili come “di servizio”.

Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, sentenza 26 maggio 2017, n. 818 [1], Pres. Durante, Est. Sidoti

A margine

Nella vicenda, l’interessata partecipa ad un concorso pubblico per la copertura di un posto di istruttore presso un Comune, classificandosi terza.

La candidata chiede quindi al Tar l’annullamento della graduatoria finale nella sola parte in cui non le attribuisce un ulteriore punteggio sui titoli di servizio rispetto a quello assegnato che la collocherebbe, a suo dire, al primo posto.

In particolare, la commissione non avrebbe considerato il servizio prestato presso il Comune in forza di un contratto d’opera professionale, che al di là del nomen iuris, sarebbe stato svolto alle dirette dipendenze dell’ente con vincolo di subordinazione mentre, in altro concorso, lo stesso Comune avrebbe considerato il servizio prestato da altro soggetto con analoghi contratti d’opera.

A sostegno delle proprie ragioni, è prodotta in giudizio una sentenza del giudice del lavoro che riconosce che la ricorrente ha di fatto lavorato alle dipendenze dell’ente svolgendo mansioni proprie di un dipendente della categoria C del CCNL.

Tale sentenza “passata in giudicato riguardo all’aspetto della qualificazione del rapporto” confermerebbe, secondo la ricorrente, la fondatezza della censura evidenziando l’errore della commissione di non prendere in considerazione il servizio pregresso svolto col contratto d’opera.

In via subordinata si contesta infine l’illegittima composizione della commissione esaminatrice alla luce della mancanza di un commissario di sesso femminile, chiedendo l’annullamento dell’intera procedura concorsuale.

Il Comune, costituito in giudizio, sostiene la legittimità del concorso affermando che, anche a volere considerare i periodi contestati quali “servizio”, in considerazione del profilo diverso da quello del bando, del periodo di riferimento e della durata dello stesso, la ricorrente potrebbe beneficiare, al più, di alcuni pochi punti, che non le consentirebbero, comunque, di arrivare al primo posto in graduatoria.

Il Tar ritiene la censura in ordine ai titoli di servizio infondata.

In particolare, il giudice ricorda che il bando, ricalcando il regolamento comunale, ha previsto che i complessivi punti 4 per titoli di servizio fossero attribuiti solo a contratti di lavoro subordinato presso il Comune.

Inoltre, ad avviso del collegio, in tema di titoli valutabili nell’ambito di un concorso pubblico, la collaborazione esterna si caratterizza per autonomia ed indipendenza che rendono ontologicamente impossibile considerarla alla stregua di un rapporto di lavoro dipendente con naturale esclusione della stessa dal novero dei titoli valutabili come “di servizio” (Consiglio di Stato, sez. V, 17 febbraio 2010 n. 927 [2]).

Pertanto, il Tar ritiene che la Commissione abbia correttamente non valutato l’attività prestata dalla ricorrente presso l’ente con il contratto d’opera.

La sentenza del giudice del lavoro prodotta in giudizio è successiva al provvedimento impugnato e sebbene abbia riconosciuto che la ricorrente abbia lavorato presso il Comune non poteva comportare che tale attività accertativa fosse rimessa alla commissione al momento della valutazione dei titoli. Inoltre l’indicazione generica ed incompleta fornita dalla ricorrente circa i titoli in esame non poteva consentire alla Commissione l’attribuzione di un diverso punteggio, comunque liberamente valutabile in base ai dati forniti e non parametrato ai punti previsti dal bando.

Infine circa la mancanza di un membro di sesso femminile nella commissione il Tar ricorda che, per pacifica giurisprudenza, la mancanza di tale componente è censura non viziante “ex se” le operazioni concorsuali, potendo rilevare la violazione dell’art. 9, comma 2, d.P.R. 9 maggio 1994 n. 487 [3]solo in presenza di una condotta discriminatoria del collegio in danno dei concorrenti di sesso femminile, il che non è dato ravvisare nel caso di specie (Consiglio di Stato, sez. V, 20 agosto 2015, n. 3959 [4]).

Pertanto il giudice rigetta il ricorso.

di Simonetta Fabris