L’esistenza di un’indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.

Tar Sicilia, Catania, sez. I, sentenza 23 agosto 2018, n. 1737, Pres. ed Est. Savasta

Il fatto

Un soggetto, già sottoposto a misure di protezione personale per le funzioni ricoperte, viene munito di scorta a seguito di alcune gravi minacce “intercettate”, nei suoi confronti, da parte di detenuti.

Il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza revoca tali misure. E l’interessato presenta istanza di accesso agli atti di “riesame della scorta” in possesso della Prefettura vedendosi negata l’ostensione a motivo del carattere riservato di tali documenti ai sensi del D.P.C.M. del 6 novembre 2015 n. 5 “Disposizioni per la tutela amministrativa del segreto di Stato e delle informazioni classificate a diffusione esclusiva” .

Avverso in diniego il ricorrente adisce  la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi la quale evidenzia che “il diniego opposto dall’amministrazione resistente, si fonda sulla disposizione regolamentare di cui al D.P.C.M. del 6 novembre 2015 n. 5. Tra i poteri che la legge assegna alla Commissione non figura quello concernente la disapplicazione di norme regolamentari; potere, viceversa, espressamente attribuito al giudice amministrativo”.

Il ricorrente si rivolge dunque al Tar affermando che l’equivoco in cui sarebbe incorsa la Prefettura consisterebbe nell’aver ritenuto che nel caso di specie si versi nell’ambito di un procedimento giudiziario, piuttosto che in uno amministrativo volto a valutare o meno se sottoporre un soggetto a misure di tutela.

Conseguentemente, non potrebbero certamente essere qualificati come “secretate” le relazioni tecniche delle Forze di Polizia nonché del Procuratore generale della Repubblica nell’ambito di un tale procedimento non trattandosi di venire a conoscenza di atti di indagine in merito a giudizi più o meno pendenti in capo ai soggetti intercettati in carcere, ma più semplicemente di quegli atti in cui è stato espresso un parere sul diritto o meno dell’interessato ad essere sottoposto a scorta.

Altrettanto errata sarebbe la motivazione espressa dalla Commissione per l’accesso la quale non avrebbe dovuto disapplicare il D.P.C.M. del 6 novembre 2015 n. 5, ma semplicemente affermare la non applicabilità, al caso in esame, della disciplina sul segreto di stato e delle informazioni classificate e a diffusione esclusiva.

La sentenza

Il Tar ricorda che l’art. 19 D.P.C.M. del 6 novembre 2015 n. 5 stabilisce che “1. Le classifiche di segretezza SEGRETISSIMO (SS), SEGRETO (S), RISERVATISSIMO (RR) e RISERVATO (R), di cui all’art. 42 della legge 124/2007, assicurano la tutela prevista dall’ordinamento di informazioni la cui diffusione sia idonea a recare un pregiudizio agli interessi della Repubblica e sono attribuite per le finalità e secondo i criteri stabiliti dall’art. 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 7 del 12 giugno 2009”.

Le finalità vanno rinvenute, nel caso di specie, all’all. D di tale decreto il quale precisa anche che l’Autorità che forma il documento (la Prefettura) classifica il documento e/o le parti dello stesso da ritenere “Riservati”, attenendosi a tali direttive. Ciò implica una motivazione puntuale, che faccia comprendere le concrete ragioni per le quali i documenti richiesti siano stati classificati come “riservati”.

Nel caso in esame, la Prefettura ha solo indicato che l’istanza di accesso riguarda “atti di natura giudiziaria in ambito processuale non ancora definito”.

La Sezione ritiene tuttavia, conformemente alla giurisprudenza citata dal ricorrente (TAR Catania, III, 1.2.2017, n. 229) che l’esistenza di un’indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso.

In tal senso soltanto gli atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria sono coperti dall’obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell’art. 329 c.p.p., di talché gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione nell’ambito della sua attività istituzionale sono atti amministrativi, anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti e rimangono tali pur dopo l’inoltro di una denunzia all’autorità giudiziaria.

Tali atti restano pertanto nella disponibilità dell’amministrazione fintanto che non intervenga uno specifico provvedimento di sequestro da parte dell’A.G., cosicché non può legittimamente impedirsi, nei loro confronti, l’accesso garantito all’interessato dall’art. 22, legge 7 agosto 1990 n. 241, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all’art. 24 della stessa legge.

Conclusioni

Nel caso in esame, oltre a riferimenti a fasi istruttorie di natura penale non chiuse e, quindi, sottratte all’accesso, la Prefettura non ha indicato nessuna ulteriore motivazione concreta per la quale quanto richiesto sia classificabile come riservato.

Pertanto i provvedimenti impugnati sono affetti da difetto di motivazione, poiché, le ragioni concrete emergono (in parte) nella fase successiva alla loro adozione e dagli stessi non sono richiamate espressamente.

La censura è contenuta nella doglianza del ricorrente secondo cui “l’amministrazione ha errato anche perché nell’eccepire la rilevanza del tema della riservatezza si è disfatta dell’istanza di accesso senza alcuna valutazione comparativa con le esigenze anteposte dal richiedente, affermando (implicitamente) la prevalenza di queste ultime acriticamente ed immotivatamente”.

Conseguentemente il ricorso è accolto, con obbligo all’Amministrazione di rideterminarsi, consentendo l’accesso o negandolo mediante motivazione coerente con i principi sopra indicati.


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