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Sul risarcimento del danno per eccessiva durata della procedura concorsuale4 min read

IN POCHE PAROLE…

I candidati che partecipano ad un concorso pubblico non possono pretendere il risarcimento del danno che ritengano di subire dalla eccessiva durata del procedimento e neppure un indennizzo.


Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 24 dicembre 2020, n. 8306 [1], Pres. Est. Maruotti


Il risarcimento del danno ai candidai che hanno partecipato ad un pubblico concorso non spetta, poiché i candidati non hanno titolo  a vincere il concorso, ma a parteciparvi

Ai candidati non spetta neppure l’indennizzo per il ritardo, per una ragionevole scelta del legislatore, effettuata  in considerazione delle molteplici vicende che possono rallentare il procedimento e del numero più o meno elevato dei candidati che altrimenti potrebbero avanzare pretese seriali.


A margine

Il fatto – Una candidata ad un concorso pubblico per un profilo di “applicato – cat. B1”, assunta dopo circa un anno dalla conclusione del concorso in seguito ad una pronuncia del giudice del lavoro, si rivolge al Tar onde ottenere il risarcimento del danno (quantificato in 500.000 euro), conseguente al ritardo dell’espletamento della procedura concorsuale (indetta in data 7 marzo 1980 e conclusa con atto dirigenziale del 6 marzo 2002).

Il Tar Puglia, Lecce, con sentenza n. 1934/2013 [2], respinge il ricorso evidenziando che la ricorrente non ha posto in essere alcun atto per sollecitare lo svolgimento del procedimento concorsuale e che non si può ravvisare un nesso causale tra il danno prospettato e la lamentata inerzia dell’Amministrazione.

La ricorrente si appella quindi al Consiglio di Stato affermando la sussistenza del nesso di causalità tra l’inerzia dell’amministrazione e il danno cagionato, perché la stessa non ha potuto maturare anzianità nella qualifica anche ai fini previdenziali, ha avuto un peggioramento della qualità della vita, e comunque non è stata inerte nel frattempo, essendosi iscritta al collocamento, senza ricevere proposte di lavoro.

La sentenzaIl Consiglio di Stato respinge il ricorso qualificando la posizione giuridica di cui si richiede tutela come interesse legittimo pretensivo.

Ad avviso del collegio, per l’esame della domanda risarcitoria, rileva l’art. 35 del decreto legislativo n. 80 del 1998 [3] il quale ha ammesso le domande risarcitorie per la lesione degli interessi legittimi pretensivi per le tre materie dei servizi pubblici, dell’urbanistica e dell’edilizia e poi l’art. 7 della legge n. 205 del 2000 [4] per tutte le altre figure degli interessi pretensivi.

Rileva inoltre l’art. 2 bis, comma 1 bis, della legge n. 142 del 1990 [5] (introdotto dalla legge n. 69 del 2009 [6] e poi modificato con il decreto legge n. 69 del 2013 [7], come convertito nella legge n. 98 del 2013) il quale – nel disporre nei casi ivi previsti la spettanza di un indennizzo per il ritardo della conclusione del procedimento – ha escluso che l’indennizzo spetti per il caso di ritardo della conclusione ‘dei concorsi pubblici’.

Tale disposizione va inquadrata in un sistema nel quale i candidati che partecipano ad un concorso pubblico non possono fondatamente chiedere il risarcimento del danno che ritengano di subire dalla eccessiva durata del procedimento, in base ai principi generali, e neppure chiedere un indennizzo.

Il risarcimento del danno non spetta, poiché i candidati hanno titolo non ‘a vincere’ il concorso, ma a parteciparvi, e non spetta neppure l’indennizzo, per una scelta del legislatore, che risulta ragionevole, in considerazione delle molteplici vicende che possono rallentare il procedimento e del numero più o meno elevato dei candidati che altrimenti potrebbero avanzare pretese seriali.

I candidati sono invece senz’altro titolari dell’interesse legittimo che li legittima a porre in essere atti di impulso del procedimento e a ricorrere al giudice amministrativo, che così potrà valutare i fatti e, se del caso, ordinare all’Amministrazione di dare prosecuzione al procedimento.

Pertanto il Collegio ritiene infondata la domanda risarcitoria in quanto:

  • non può essere ravvisata una rilevanza giuridica dell’inerzia dell’amministrazione sino all’entrata in vigore della legge n. 205 del 2000 [4],
  • l’interesse legittimo pretensivo dei candidati ad un concorso non può giustificare pretese risarcitorie per il solo fatto che il procedimento si prolunghi nel tempo (e neppure può giustificare pretese di indennizzo, ai sensi dell’ art. 2 bis della legge n. 241 del 1990 [8], che ovviamente non ha neppure giustificato a contrario pretese di indennizzo nel periodo precedente alla sua entrata in vigore).

Peraltro, l’appellante, dopo la presentazione della domanda, non ha proposto alcun ricorso volto ad ottenere una sentenza che ordinasse all’Amministrazione di emanare gli atti ulteriori per la prosecuzione del procedimento concorsuale.

Il TAR ha correttamente richiamato l’art. 1227 del codice civile per rilevare come vi sia stata anche l’inerzia dell’interessata, che non giustifica alcuna azione risarcitoria: il richiamo alla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 2011 [9] si deve considerare pertinente, perché anche tale sentenza ha esaminato un caso in cui la prospettata inerzia era antecedente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo.

Non può essere condivisa l’osservazione dell’appellante secondo cui la sua ‘attesa’ è stata dovuta al timore di ‘possibili ritorsioni da parte della commissione esaminatrice’, poiché si tratta di una mera illazione, comunque di per sé non attendibile quando si partecipi ad un procedimento e si sia in attesa del suo esito.

Inoltre, va anche confermata la statuizione del TAR sulla assenza del nesso di causalità tra la prospettata inerzia e il pregiudizio prospettato, poiché chi partecipa ad un concorso ha titolo alla sua conclusione, e può attivarsi perché questa vi sia, ma non può dedurre di avere titolo a retribuzioni o a inquadramenti retroattivi, con riferimento al periodo in cui la procedura era ancora in corso.

di Simonetta Fabris