IN POCHE PAROLE…

Il dipendente pubblico, che svolge presso altro soggetto l’incarico di addetto stampa, necessita dell’autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza. In mancanza è tenuto al risarcimento del danno

Corte dei conti, sezione giurisdizionale per l’Umbria, sentenza 28 dicembre 2022, n. 105, Pres. Floreani, Rel. Scognamiglio


E’ tenuto al risarcimento del danno il dipendente pubblico che svolge, senza autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza, l’incarico di addetto stampa presso una società titolare del servizio idrico integrato .

L’ incarico di addetto stampa non rientra fra le attività di collaborazione a favore di un’azienda editoriale dedita alla pubblicazione di giornali, riviste, enciclopedie e simili, che possono essere svolte senza autorizzazione dell’amministrazione pubblica di appartenenza.  

Ai sensi del art. 1, secondo comma, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, «il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta». La regola che individua il dies a quo nella data in cui si è verificato il fatto dannoso è dunque derogata nel caso di occultamento doloso.

Quest’ultimo va inteso come fattispecie rilevante non tanto soggettivamente, in relazione ad una condotta occultatrice da parte del debitore, ma obiettivamente, ossia in relazione all’impossibilità dell’amministrazione di conoscere il danno e quindi, di azionarlo in giudizio ex art. 2935 c.c.

L’occultamento doloso può realizzarsi anche attraverso un comportamento semplicemente omissivo, con ad oggetto un atto dovuto, cioè un atto che il debitore è tenuto ad adottare per legge.


A margine

Il caso – La procura della Corte dei conti contesta l’incarico di addetto stampa svolto da un dipendente provinciale presso una società titolare del servizio idrico integrato in assenza dell’autorizzazione prescritta dall’art. 53 del d.lgs. 165/2001 da parte dell’amministrazione di appartenenza, chiedendo pertanto il risarcimento del danno per € 119.067,34 pari all’importo percepito e non riversato all’Ente di appartenenza.

Nel dettaglio risulta provato che per il solo anno 2007 il dipendente ha svolto l’attività extra ufficio previo rilascio dell’autorizzazione e che, per gli anni seguenti, lo stesso ha proseguito l’attività in assenza della stessa.

Il dipendente eccepisce che l’incarico non avrebbe richiesto autorizzazione in quanto rientrante n’attività a favore di un’azienda editoriale dedita alla pubblicazione di giornali, riviste, enciclopedie e simili a giornali, riviste, enciclopedie e simili, per il quale l’art. 53 sesto comma, esclude l’obbligo di previa autorizzazione. Sostiene inoltre che presso l’Amministrazione, avrebbe costituito un fatto noto lo svolgimento di tale attività e che pertanto la condotta non sarebbe stata caratterizzata né da dolo né da malafede.

La sentenza

La Corte ricorda che l’art. 53, c. 7 del D.Lgs. 165/2001 prevede che:

“7. I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. (…) In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.”

La norma è espressione del dovere di esclusività dei pubblici impiegati che discende dall’art. 98 della Cost. il quale comporta che la prestazione della propria attività lavorativa debba essere svolta per l’amministrazione di appartenenza.

Il collegio rileva che per il primo anno i compensi non possono essere oggetto della pretesa risarcitoria essendo presente la relativa autorizzazione. Viene poi dichiarata la prescrizione dei compensi ricevuti per l’anno 2008 per cui il convenuto aveva richiesto l’autorizzazione, seppur non rilasciata.

Per i restanti compensi il collegio ritiene invece che la mancata richiesta di autorizzazione e di qualsivoglia formale comunicazione in ordine allo svolgimento dell’incarico integri la fattispecie di occultamento doloso.

Il dies a quo della prescrizione va, quindi, individuato nel momento in cui Amministrazione è stata posta in condizioni di conoscere lo svolgimento dell’attività extra-istituzionale da parte del convenuto, ossia il 31 dicembre 2020, allorquando la società consortile del SII ha comunicato alla Provincia di Terni la cessazione del rapporto di collaborazione.

Pertanto il danno risarcibile e non prescritto ammonta a 100.701,91 euro, ottenuti sottraendo dall’importo complessivamente percepito (119.067,34 euro) quanto riferibile alle prime due annualità di collaborazione.

Nel merito si esclude che le attività extra-istituzionali svolte dal convenuto siano riconducibili a quelle che non soggiacciono ad autorizzazione. Infatti nel caso in esame, non ricorrono le caratteristiche previste dall’art. 53, sesto comma perché non si è trattato di un’attività a favore di un’azienda editoriale dedita alla pubblicazione di giornali, riviste, enciclopedie e simili e, soprattutto, le prestazioni di cui trattasi non si sono concretizzate nella manifestazione del pensiero.

Quanto alla circostanza per cui l’amministrazione era a conoscenza dell’incarico svolto, il collegio ritiene irrilevante il fatto che i colleghi di lavoro più stretti o anche gli organi politici potessero conoscere, come la difesa ha sostenuto, il ruolo del convenuto presso la società committente, non risultando gli stessi titolari di alcuna posizione di controllo o garanzia sulla regolarità formale e sostanziale dell’operato del dipendente.

La giurisprudenza, infatti, ha già evidenziato che gli incarichi devono essere comunicati all’amministrazione per porre in condizione la stessa di valutarne o meno l’autorizzabilità. (cfr. Sez. Lombardia, 14 febbraio 2022, n. 38). Ci deve perciò essere una richiesta scritta e una risposta scritta ovvero la previsione di un silenzio significativo.

Il collegio ritiene, altresì, sussistente l’elemento psicologico del dolo in quanto l’intera condotta del dipendente è stata caratterizzata da piena consapevolezza e volontarietà, in piena consapevolezza della necessità dell’autorizzazione, richiesta per i primi 2 anni.

Pertanto il convenuto è condannato al risarcimento del danno in favore dell’Amministrazione provinciale, quantificato in 100.701,91 euro, oltre agli interessi legali.

La condotta dolosa –  L’ occultamento doloso dei compensi percepiti in carenza di autorizzazione va inteso come fattispecie rilevante non tanto soggettivamente, in relazione ad una condotta occultatrice da parte del debitore, ma obiettivamente, ossia in relazione all’impossibilità dell’amministrazione di conoscere il danno e quindi, di azionarlo in giudizio ex art. 2935 c.c.

L’occultamento doloso può realizzarsi anche attraverso un comportamento semplicemente omissivo, avente a oggetto un atto dovuto, cioè un atto che il debitore sia tenuto ad adottare per legge.

 

 


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