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I piani commerciali non possono dettare vincoli3 min read

E’ illegittimo il piano commerciale comunale che impedisce o limita l’ apertura di nuove strutture di vendita.

Tar Lombardia – Milano, sez. I, 10 ottobre 2013, n. 2271, [1]  Pres. F. Mariuzzo, Est. R. Gisondi

Il fatto

Una società, che operava nel settore della distribuzione al dettaglio di prodotti, alimentari e non, ha chiesto al Comune l’ autorizzazione all’ ampliamento della superficie di vendita del proprio esercizio, senza modificare il volume e la sagoma.

Il dirigente comunale dello Sviluppo economico ha negato l’autorizzazione, sostenendo che tale ampliamento non era consentito dalle vigenti disposizioni di urbanistica commerciale recepite nel Piano generale territoriale, che vietavano l’ insediamento di medie strutture di vendita con superficie superiore ai 600 metri quadrati.

La società ha impugnato questo diniego, sostenendo che esso era illegittimo, per contrasto con le Direttive europee, e con le misure di liberalizzazione dei mercati, ed in particolare quelle di cui al d.l. 138/2011.  Il Tar ha accolto il ricorso.

La sentenza

I giudici hanno così argomentato:

1)    Già dal 1998, con il dlgs. 114 [2] si era stabilita una prima liberalizzazione per il commercio, ed erano stati disciplinati gli esercizi di vicinato, ed era stato rimesso alle Regioni la regolamentazione delle aperture delle medie e grandi strutture di vendita. Con d.l. 223/2006 [3] si è vietato anche alle Regioni di stabilire limiti all’ apertura di nuovi esercizi commerciali. Con la direttiva europea n. 123 del 2006 (cd. Bolkestein) sono stati ridotti i vincoli procedimentali e sostanziali, per favorire la liberalizzazione (Direttiva europea_123_2006 [4]);

2)  Tali vincoli comprendono anche i piani commerciali che pongono questi limiti alla concorrenza;

3)  Le disposizioni di questi piani commerciali, che impediscono, o condizionano o ritardano l’ avvìo di nuove attività commerciali devono considerarsi abrogati, in base all’ articolo 1 del d.l. 1/2012;

4)   I vincoli che – nel caso di specie – sono stabiliti nei Piano del Comune,  sono quindi anticoncorrenziali ed illegittime, e devono essere annullati.

La valutazione della sentenza

La sentenza è esatta, puntualmente motivata e merita di essere condivisa.

Infatti, le disposizioni delle Direttive comunitarie e delle leggi che ne hanno dato attuazione prevalgono sulle norme locali statutarie, regolamentari e pianificatorie, e queste ultime devono essere adattate e rese conformi alle prescrizioni comunitarie e nazionali, e non possono porsi in contraddizione ed in deroga con essi.

In contrario a quanto esposto si potrebbe sostenere che le norme comunitarie e statali sono sopravvenute rispetto alla disciplinino urbanistica, quest’ ultima non è stata tempestivamente impugnata, e non potrebbe quindi essere rimessa in discussione nell’ ambito di ricorsi riguardanti gli atti applicativi.

Ma l’ obiezione – che è stata sollevata dall’ amministrazione resistente – non sarebbe persuasiva.

Infatti, tali provvedimenti, comunitari e legislativi nazionali, non dispongono soltanto per il futuro, ma contengono clausole di abrogazione con le quali il legislatore statale ha manifestato la volontà di incidere sulle norme regolamentari e sugli atti amministrativi generali, imponendo alle Regioni ed agli enti locali una revisione dei propri ordinamenti per la salvaguardia degli interessi primari che possono essere ricompresi tra i motivi imperativi di interesse generale.

In conseguenza, le disposizioni del Piano commerciale comunale devono ritenersi non più operanti, e l’ amministrazione comunale ha l’ onere di provvedere all’ elaborazione di nuove disposizioni, coerenti con il principio della libertà di concorrenza.

Vittorio Italia