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La Corte costituzionale boccia il doppio incarico per i sindaci – parlamentari6 min read

L’articolo 63 del D.Lgs n. 267/2000 è incostituzionale nella parte in cui non prevede … l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di un Comune con oltre 20mila abitanti

Corte costituzionale, 5 giugno 2013, n. 120, Pres. Gallo, Est. Grossi

Sentenza n. 120/2013 [1]

Il caso

Il Tribunale ordinario di Napoli, prima sezione civile, è chiamato, nel 2011, a pronunciarsi su un’azione popolare, ex art. 70 T.U.E.L., promossa da alcuni cittadini elettori, nei confronti del sindaco di Afragola, al fine di accertare la sussistenza in capo a questi di un’incompatibilità tra la carica di primo cittadino e quella di senatore.

Il giudice partenopeo solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 63 del D.Lgs n. 267/2000, nella parte in cui, nel sancire le cause di incompatibilità, non prevede anche quella tra la carica di parlamentare e quella di Sindaco di un Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti.

Secondo il giudice a quo la norma in parola non consente l’esercizio dell’azione popolare (ex art. 70 T.U.E.L.) e lede gli articoli 3, 51, 67 e 97 della Costituzione, nonché il più generale principio di ragionevolezza, per via della già pronunciata dichiarazione di incostituzionalità degli artt. 1, 2, 3 e 4 della L. n. n. 60/1953 sulle incompatibilità parlamentari (cfr. sentenza della Consulta n. 277 del 2011).

La sentenza

Il caso riguarda un soggetto che, all’epoca, aveva contemporaneamente assunto, all’esito delle rispettive elezioni, tenutesi entrambe nel mese di aprile 2008, le cariche di parlamentare e di sindaco di un grosso Comune.

Il Tribunale di Napoli rileva che nel T.U.E.L., tra le disposizioni in tema di ineleggibilità e incompatibilità, non si rinviene alcuna previsione sull’ineleggibilità del parlamentare a sindaco e sull’incompatibilità tra le due cariche.

Il testo unico disciplina soltanto, all’art. 62, la decadenza dalle cariche di sindaco di Comune con più di 20mila abitanti e di presidente della provincia, per via dell’accettazione della candidatura a parlamentare.

Il giudice del rinvio osserva, tra l’altro, che questa lacuna normativa determina l’impossibilità di esercitare l’azione popolare, e causa una disarmonia del sistema, così da condurre ad una sperequazione tra il diritto di elettorato passivo rispetto al diritto di elettorato attivo, «atteso che la valutazione di una incompatibilità ricadente su due diverse cariche elettive (parlamentare e sindaco) si troverebbe ad essere parzialmente sottratta all’ordinario sistema di accertamento e contestazione previsto per una delle due (sindaco)».

Inoltre, collocandosi l’azione popolare su un piano di assoluta autonomia rispetto alla delibera consiliare di convalida dell’elezione, i pieni poteri di cognizione del giudice ordinario, comprendenti anche quello di correggere il risultato delle elezioni, non sono influenzati da eventuali provvedimenti del consiglio comunale, né il relativo procedimento amministrativo può incidere sulla proponibilità dell’azione giudiziaria.

Attesa, peraltro, la tassatività delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità, la lacuna normativa del T.U.E.L. non può essere colmata in via di applicazione estensiva o analogica o, ancora, di interpretazione costituzionalmente orientata.

Tra i ulteriori rilievi sollevati dal giudice rimettente, va opportunamente evidenziato come la mancanza della previsione della suddetta causa di incompatibilità si ponga in contrasto con le seguenti norme della carta costituzionale:

  • l’art. 3 Cost. «sotto il profilo della ragionevolezza, per la violazione del principio generale secondo cui un soggetto non può assumere e mantenere durante il proprio mandato la carica di parlamentare e di sindaco, tra le quali è stata sancita una incompatibilità ex lege ex artt. 2, 3 e 4 della legge n. 60/1953, come dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla sentenza n. 277 del 2011 della Corte Costituzionale, senza che sia consentito ai cittadini elettori di sottoporre questa situazione al vaglio della giurisdizione ordinaria ai sensi dell’art. 70 del D.Lgs. n. 267/2000, come previsto per tutte le altre ipotesi di incompatibilità dettate ex lege per il sindaco»;
  • col «principio di eguaglianza specificamente sancito in materia elettorale dall’art. 51 Cost.»;
  • con l’art. 67 Cost., «nella parte in cui viene in evidenza una possibile contrapposizione d’interessi tra enti locali, e segnatamente tra Comuni aventi una rilevante popolazione, ed organizzazione statuale nazionale, con conseguente vulnus del principio di libertà di mandato» e di imparzialità nell’esercizio delle funzioni;
  • con l’art. 97 Cost., atteso che il cumulo degli uffici di sindaco di un Comune popoloso e di parlamentare nazionale può ripercuotersi negativamente sull’efficienza e l’imparzialità delle funzioni cumulativamente esercitate, come ripetutamente affermato dalla stessa Corte (cfr. sentenze n. 143 del 2010, n. 44 del 1997 e n. 235 del 1988).

Per contro, l’Avvocatura dello Stato osserva che la lacuna normativa in discussione non preclude la possibilità per i cittadini di far valere la specifica decadenza, prevista da un’ulteriore e apposita norma del T.U.E.L., ovvero dall’art. 62, parimenti, mediante l’azione popolare.

Tuttavia, sul punto, la Consulta afferma che l’art. 62 regola gli effetti derivanti dall’accettazione di una candidatura al parlamento nazionale da parte di chi, all’atto della medesima candidatura, già riveste la carica di sindaco di Comune con più di 20mila abitanti. Questa norma, in altre parole, si riferisce ad una fattispecie differente e non è pertanto applicabile.

La Corte, chiamata ad esprimere un giudizio di legittimità costituzionale sull’art. 63 del T.U.E.L., osserva che si tratta non di ribadire l’incompatibilità tra l’ufficio di parlamentare e la carica di sindaco in un grande Comune (già pronunciata con la sentenza n. 277/2011) ma, piuttosto, di estenderne la ratio, fondata sul carattere bilaterale della causa di incompatibilità, alle disposizioni sull’ordinamento degli enti locali.

Inoltre, nel caso in esame, la previsione della non compatibilità di un munus pubblico rispetto ad un altro preesistente, cui non si accompagni, nell’uno e nell’altro, una disciplina reciprocamente speculare, si pone in violazione della naturale corrispondenza biunivoca della cause di ineleggibilità e di incompatibilità, che vengono ad incidere necessariamente su entrambe le cariche coinvolte dalla relativa previsione, anche a prescindere dal dato temporale dello svolgimento dell’elezione.

Quindi, la sussistenza di una situazione di incompatibilità derivante dal cumulo tra la carica di parlamentare nazionale e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore a ventimila abitanti, a prescindere dal momento di assunzione delle cariche medesime, porta alla declaratoria di illegittimità costituzionale della mancata previsione nell’art. 63 T.U.E.L. di tale incompatibilità .

Valutazione della sentenza

Nel ribadire quanto già affermato nel 2011, con la sentenza n. 277, relativa alla L. n. 60/1953 sulle incompatibilità parlamentari, con questa nuova decisione, la Consulta impone l’adeguamento delle disposizioni del T.U.E.L. al principio di incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di un Comune con più di 20.000 abitanti.

Non ritenendo ammissibile, per un parlamentare, la candidatura a sindaco di un grosso Comune, e viceversa, la Corte riafferma come sia irragionevole non prevedere «una naturale corrispondenza biunivoca» delle cause di ineleggibilità e incompatibilità che, per forza di cose, devono incidere su entrambe le cariche coinvolte.

Se così non fosse e l’esclusione operasse solo in una direzione (nel senso di precludere l’elezione a parlamentare di un sindaco, ma non il viceversa), l’incompatibilità dipenderebbe «da una circostanza meramente casuale, connessa alla cadenza temporale delle relative tornate elettorali», con ciò conducendo ad «una lesione non soltanto del canone di uguaglianza e ragionevolezza, ma anche della stessa libertà di elettorato attivo e passivo».

Ne consegue la pronuncia  di illegittimità costituzionale dell’art. 63 del T.U.E.L., nella parte in cui non prevede la suddetta causa di incompatibilità; decisione, questa, che si ritiene di condividere in ossequio al rispetto dei principi della Carta costituzionale richiamati dal giudice del rinvio.

di Stefania Fabris*

* responsabile servizio affari generali di ente locale