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La parità di genere non deve tradursi in “formule matematiche”3 min read

L’assegnazione di uffici e di incarichi collegiali di governo degli enti locali non può pretermettere un genere, ma neppure determinare in modo assoluto la partecipazione paritetica con l’altro genere, dovendosi in concreto valutare ruoli e funzioni, oltre che specifiche attitudini.

 La presenza di un solo assessore donna in una giunta comunale di un comune di medie dimensioni non costituisce violazione delle norme che impongono parità di genere, pur essendo esse immediatamente precettive, se vengono assegnate funzioni di particolare rilievo e se non risultano immotivate preclusioni a candidature femminili.

Tribunale Amministrativo per la Lombardia – Milano, Sezione I, sentenza 14 febbraio 2014, n. 482 [1]Pres. Mariuzzo, Est. Gisondi.

Il caso

In un Comune di media grandezza il sindaco ha nominato un solo assessore di genere femminile. Contro questa scelta è insorta una cittadina elettrice, e con essa un’associazione rappresentativa degli interessi femminili, per violazione delle norme sulla parità non essendo risultata le Giunta composta in numero pari di genere.

 La sentenza

Il TAR ha respinto il ricorso avendo ritenuto, con la sentenza in esame, che se il genere femminile non è immotivatamente pretermesso, non necessariamente deve essere assicurata la parità nella misura del 50% dei posti da coprire, quando particolari condizioni lo consentano.

 Il commento

I giudici lombardi consolidano, con questa sentenza, il loro indirizzo in materia di pari opportunità, affermato con quella precedente della medesima Prima Sezione 4 febbraio 2011, n. 354, e della sede di Brescia 5 gennaio 2012, n. 1.

In esse si afferma che la parità non deve derivare da operazioni aritmetiche, ma che la partecipazione del genere femminile non sia oggetto di discriminazione, traendo fonte nel principio di uguaglianza.

Con questa sentenza, risolte preliminarmente le questioni riguardanti la legittimazione della ricorrente e dell’ associazione, e premessa una analisi della normativa comunitaria, di rango costituzionale, e di quella nazionale, si giunge a sostenere che il carattere precettivo di essa non deve giungere alla parità assoluta di genere nella composizione degli organi collegiali, dovendosi solo osservare la regola secondo la quale la composizione di tali organi non deve derivare da criteri discriminanti.

La composizione dell’organo collegiale, secondo questo orientamento, deve dunque derivare da scelte che muovono da valutazioni di capacità personali e di idoneità a ricoprire il ruolo da assegnare, ma neppure giungere a pretermettere il genere maschile solo per riservare posti a quello femminile.

I giudici aggiungono che il valore e la rilevanza della presenza del genere femminile è dato anche dal peso e della rilevanza dell’incarico che viene assegnato, cosicché la partecipazione alla giunta comunale anche di un solo assessore di genere femminile può essere assai più significativa di un numero di posti.

Nel caso preso in esame, le deleghe assegnate all’assessore in questione attengono ai servizi  sociali, lavoro, e sport. Un peso dunque di rilievo nella composizione di una giunta anche se a maggioranza maschile.

Secondo il principio affermato dalla sentenza, che è da condividere, conta la personalità e l’autorevolezza e non il genere, non essendo questo di per sé attestazione di qualità e di valore delle persone.

 avv. Mario Bassani

 

Sull’argomento in questa Rivista, confronta anche la decisione del TAR Lazio [2]  del 2013  e  il monitoraggio ministeriale  [3]