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Sulle quote rosa per la composizione della giunta non previste dallo Statuto6 min read

La composizione della giunta comunale non può essere sindacata per violazione del principio della rappresentanza delle c.d. “quote rosa” in mancanza di una disposizione statutaria vincolante.

Consiglio di Stato, sede giurisdizionale, sez. V, 23 giugno 2014, Presidente Volpe, Estensore Lotti

Sentenza n. 3144-2014 [1]

Il caso

Nell’anno 2012, in esito alle elezioni amministrative, il sindaco di un comune definisce la propria giunta senza prevedere al suo interno alcun membro di sesso femminile. Conseguentemente, un’associazione di promozione delle pari opportunità impugna i decreti di nomina davanti al G.A. lamentando la lesione del principio delle c.d. “quote rosa”.

Il Tar Lazio, Roma, sez. II bis, con sentenza n. 8206-2013 [2] accoglie il ricorso affermando che il principio della parità di accesso di entrambi i sessi alle cariche elettive opera direttamente, quale limite conformativo all’esercizio del potere amministrativo in quanto espressione di principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale ex artt. 3, 49, 51 e 97 Cost [3].. Ciò anche in mancanza di specifiche disposizioni statutarie attuative.

Il Tar precisa poi che, la concreta applicazione dei principi di non discriminazione, proporzionalità e adeguatezza, come discendenti dal diritto europeo e dalla Carta di Strasburgo [4], deve essere individuata nella “garanzia del rispetto di una soglia quanto più approssimata alla pari rappresentanza dei generi, da indicarsi nel 40% di persone del sesso sotto-rappresentato”, diversamente vanificando la portata precettiva delle norme richiamate e l’effettività dei principi in esse affermati.

Il comune appella quindi la sentenza davanti al Consiglio di Stato eccependo l’inapplicabilità della soglia del 40% nella composizione della giunta comunale nonché della legge n. 215 del 2012 [5] [1] e delle altre norme nazionali e sovranazionali richiamate.

L’associazione si costituisce in appello.

La sentenza

Il giudice di secondo grado ritiene il ricorso fondato e lo accoglie, riformando la sentenza di primo grado.

Per risolvere la controversia il collegio ricorda alcune sue precedenti pronunce con cui lo stesso ha dichiarato l’illegittimità della nomina di due giunte regionali per violazione del principio delle c.d. “quote rosa” stabilito nei rispettivi statuti regionali (sezione V, 27 luglio 2011, n. 4502 [6] e sezione V, 21 giugno 2012, n. 3670 [7]).

Per contro è richiamata anche la sentenza n. 6228-2012 [8] dove invece, il predetto principio è stato ritenuto non applicabile in mancanza di una disposizione statutaria specificamente vincolante (soluzioni ribadite anche nel parere n. 1306-2012 [9] e confermate dalla Corte costituzionale con sentenza n. 81-2012 [10]).

Nel caso in esame, il collegio evidenzia che lo statuto comunale non prevede alcuna disposizione di carattere precettivo di stampo promozionale in ordine alla composizione degli organi di governo dell’ente.

Peraltro, il contenuto dello statuto non sarebbe nemmeno integrabile in via interpretativa con il richiamo alle norme internazionali e costituzionali rilevanti in materia.

Più precisamente, l’art. 51 della Costituzione [3], secondo cui “la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini” va ritenuto norma meramente programmatica e, vista l’assenza di appositi provvedimenti attuativi, non può trovare concreta ed immediata applicazione nel caso di specie.

Ancora, la violazione del c.d. divieto di discriminazione tra i sessi (derivante dall’accezione negativa della medesima norma), sebbene di contenuto immediatamente precettivo, nel caso in esame, non  sussiste.

Infine, neppure le norme internazionali richiamate impongono alcun vincolo positivo, trattandosi di norme di principio non direttamente invocabili quali parametri di legittimità degli atti amministrativi nazionali se non nel significato di vietare ogni condotta discriminatoria.

Piuttosto, tali principi possono costituire parametri di legittimità per lo statuto del comune, carente delle disposizioni a garanzia della rappresentanza di entrambi i sessi negli organi di governo, da far valere tramite gli ordinari ricorsi impugnatori.

Per tale ragione la soglia di rappresentatività femminile del 40 % definita dal Tar non appare condivisibile, non potendo l’interprete sostituirsi al legislatore nel determinare egli stesso, estemporaneamente ed arbitrariamente, il numero minimo delle c.d. “quote rosa”.

Tale quadro non può infine ritenersi mutato dalla sopravvenienza della legge n. 215-2012 [5], che, modificando l’art. 6, comma 3, del TUEL (d.lgs. n. 267-2000 [11]) prescrive ora che gli statuti debbano “garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte”, trattandosi di norme che dispongono per il futuro,  inapplicabili al caso di specie (diversamente da quanto affermato dallo stesso Consiglio di Stato, nella sentenza, sez. V, 18 dicembre 2013, n. 6073 [12]).

La valutazione della sentenza

In materia di parità di genere nella composizione delle giunte comunali va ricordata la copiosa giurisprudenza in materia.

Tra tutte, si richiama il Tar Puglia, Lecce, sez. I, nell’ordinanza n. 792-2009 [13] con cui è stato stabilito che “il fatto che le due donne presenti in consiglio comunale abbiano declinato l’offerta di entrare a far parte della giunta, comporta il ricorso alla possibilità di nominare soggetti esterni al consiglio. Tale adempimento costituisce una tipica obbligazione di risultato e non di diligenza che viene ad integrare un vincolo nella scelta degli assessori e che non può essere derogato da accordi politici”.

Ancora, secondo il medesimo Tar, Bari, sez. III, ordinanza n. 474-2008 [14], “la previsione dello statuto comunale che preclude al sindaco di scegliere tutti gli assessori tra persone del medesimo sesso, anche in una lettura costituzionalmente orientata, non limita la discrezionalità del sindaco nella nomina degli assessori ma fa carico allo stesso di adoperarsi al fine di favorire la rappresentanza di entrambi i sessi nella giunta. Nell’ipotesi in cui non si pervenga a tale risultato, nella motivazione dei provvedimenti di nomina dei vari assessori vanno illustrate le ragioni che impediscono l’attuazione del principio di pari opportunità”.

In tal senso anche la sentenza del Tar Marche, sez. I, n. 81-2012 [15] secondo cui “è legittima la nomina di assessori tutti appartenenti al genere maschile se ricorrono le seguenti condizioni: nel consiglio comunale non è rappresentata alcuna componente femminile e non risulta che vi siano soggetti di tale sesso che, nei partiti e nei movimenti che sostengono il sindaco, ricoprono ruoli di preminenza; non risultano candidature spontanee e il sindaco, con apposita deliberazione, abbia spiegato le ragioni che impediscono l’attuazione dello statuto nella parte in cui consente il ricorso ad assessori esterni”.

Infine si ricorda che la parità di genere nella composizione delle giunte è assicurata, oltre che dalle norme sopra citate, anche dalla recente legge Delrio, n. 56-2014 [16] il cui articolo 1, c. 137 dispone che “nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico.”

Il Ministero dell’Interno, con nota del 24 aprile 2014 [17], ha precisato che, nel computo di tale percentuale si deve tener conto anche del sindaco in quanto componente della giunta. Infine, seppur la disposizione non si applichi alle giunte in carica, imponendone l’automatico riequilibrio, la stessa trova applicazione in riferimento agli atti di nomina dei singoli assessori sopravvenuti.

di Simonetta Fabris

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[1] “Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni” in vigore dal 26 dicembre 2012.