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Le disposizioni in materia di sicurezza e di contrasto alla violenza di genere49 min read

Le “disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province” contenute nel decreto legge 14 agosto 2013 n.93 (convertito con legge 15 ottobre 2013 n.119 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.242 del 15 ottobre 2013), muovono dal riscontrato susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne e dal conseguente allarme sociale che ne è derivato, rendendo “necessari interventi urgenti volti a inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali fatti” e ad introdurre, in determinati casi, “misure di prevenzione finalizzate alla anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica”.

Disposizioni per il contrasto della violenza di genere [1]

Per garantire una maggiore tutela alle vittime, il provvedimento governativo tende ad abbinare ai predetti interventi, che incidono sul codice penale e sul codice di procedura penale, misure di carattere preventivo un piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, che contenga azioni strutturate e condivise, in ambito sociale, educativo, formativo e informativo.

Il decreto contiene anche misure urgenti per alimentare il circuito virtuoso tra sicurezza, legalità e sviluppo a sostegno del tessuto economico-produttivo, nonché per sostenere adeguati livelli di efficienza del comparto sicurezza e difesa.

Vengono introdotte disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica a tutela di attività di particolare rilievo strategico, nonché per garantire soggetti deboli, quali anziani e minori, e in particolare questi ultimi per quanto attiene all’accesso agli strumenti informatici e telematici, in modo che ne possano usufruire in condizione di maggiore sicurezza e senza pregiudizio della loro integrità psico-fisica.
Altri interventi riguardano l’operatività del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco.

Di fatto, come si legge nella relazione che accompagna il disegno di legge, il provvedimento si compone di tredici articoli, suddivisi in quattro capi, e reca misure che si muovono lungo quattro direttrici d’azione. La prima riguarda l’aggiornamento e la rimodulazione degli strumenti di prevenzione e di repressione di alcuni fenomeni criminosi che hanno destato particolare allarme sociale, primo tra tutti la violenza di genere e in ambito domestico, che hanno conosciuto una recrudescenza in questi ultimi tempi.

La seconda direttrice d’azione riguarda misure, altrettanto urgenti, volte a innalzare il livello della sicurezza, sia attraverso l’accelerazione delle procedure di realizzazione di alcune progettualità, sia attraverso il rafforzamento della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, con particolare riferimento alla prevenzione e al contrasto di fenomeni di particolare allarme sociale.

La terza direttrice d’azione riguarda l’integrazione delle norme dell’ordinamento della protezione civile, alla luce delle esperienze emerse nel primo anno di applicazione della riforma introdotta dal decreto-legge n.59 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.100 del 2012, nonché l’introduzione di disposizioni per accrescere la funzionalità del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, potenziandone l’operatività.

La quarta direttrice d’azione si occupa delle misure da adottarsi in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n.220 del 3 luglio 2013, che ha dichiarato l’illegittimità di alcune disposizioni normative in materia di riordino delle province.

Modifiche al codice penale
Nell’ambito delle disposizioni per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere contenute nel capo I (articoli da 1 a 5 bis) spicca l’adozione di nuovi strumenti della repressione penale dei fenomeni di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e atti persecutori (stalking), disposta anche sulla base delle indicazioni provenienti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, la cui ratifica è stata recentemente autorizzata dal Parlamento con la legge n.77 del 27 giugno 2013.

In questo senso, vengono previste specifiche circostanze aggravanti destinate a inasprire le pene quando delitto di violenza sessuale è consumato ai danni di donne in stato di gravidanza (articolo 609-ter c.p.), nonché quando il fatto è consumato ai danni del coniuge, anche divorziato o separato, o del partner pure se non convivente.

Relativamente alla c.d. “violenza assistita”, viene introdotta una nuova aggravante comune con la previsione all’art.61 c.p. di un aggiuntivo n.11- quinquies (“l’avere, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale nonché nel delitto di cui all’articolo 572, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza”).

In tema di violenza sessuale l’art.609 ter c.p. co.1 n.5 subisce modifiche ed integrazioni per effetto delle quali la pena della reclusione da 6 a 12 anni si applica anche nell’ipotesi in cui il fatto sia commesso in danno di un minore degli anni 18 (non più degli anni 16) da parte dell’ascendente, del genitore anche adottivo o del tutore.

In virtù dell’introduzione di specifiche previsioni, il medesimo trattamento sanzionatorio è previsto anche nel caso in cui la violenza sessuale sia commessa nei confronti di donna in stato di gravidanza (nuovo n.5 ter) o dal coniuge (anche separato o divorziato) o da persona che sia stata legata alla vittima da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto di aver con la medesima convissuto (nuovo n.5 quater).

La relazione affettiva, indipendentemente dalla convivenza o dal vincolo matrimoniale (attuale o pregresso), rileva ai fini dell’applicazione di circostanze aggravanti (come per l’art.609 ter n.5 quater c.p.) o di misure di prevenzione (l’ammonimento da parte del Questore).

Un secondo gruppo di interventi riguarda il delitto di stalking di cui all’articolo 612-bis c.p..

In particolare, viene rimodulata l’aggravante specifica per il caso in cui il fatto sia commesso dal coniuge – anche separato o divorziato – o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici. Si prevede, inoltre, analogamente a quanto accade per i delitti di violenza sessuale, che la querela possa essere rimessa solo in sede processuale e quindi davanti a un giudice.

In ogni caso, la querela è irrevocabile se il fatto è stato commesso con minacce reiterate nelle forme di cui all’art.612 co.2 c.p..
Il reato di stalking è ora a tutti gli effetti incluso tra quelli soggetti ad arresto obbligatorio.
L’importo della multa prevista ex art.612 c.p. nei confronti di chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno (reato perseguibile a querela della persona offesa) viene sensibilmente incrementato, passando da fino a euro 51 a euro 1.032.

Modifiche al codice di procedura penale
L’articolo 2 del decreto legge n.93 del 2013 introduce una serie di adeguamenti al codice di procedura penale volti a garantire una maggiore tutela a favore delle vittime dei delitti di maltrattamento in famiglia e di stalking.

Un gruppo di disposizioni incide sugli articoli 101, 266, 282-bis, 282-quater, 299, 398, 406 e 415-bis c.p.p. nell’intento di assicurare una costante informazione alle parti offese da reati di maltrattamenti in famiglia in ordine allo svolgimento dei relativi procedimenti penali.

L’estensione di tali obblighi di comunicazione viene prevista in materia di:
a) revoca e sostituzione delle misure coercitive di cui agli articoli 282-bis e 282-ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, prevedendo che tali provvedimenti siano comunicati a cura della polizia giudiziaria anche al difensore della persona offesa (o, in mancanza di questo, alla persona offesa) ai servizi socio-assistenziali del territorio, cioè ai servizi gestiti, anche in modo associato, dagli enti locali con l’obiettivo di aiutare le vittime (art.2 co-2 bis del d.l. n.93 del 2013, come modificato in sede di conversione);
b) provvedimenti del giudice sulle richieste di incidente probatorio e sulle richieste di archiviazione a carico dell’autore del reato;
c) avviso di conclusione delle indagini preliminari.

Al momento dell’acquisizione delle notizia di reato, la polizia giudiziaria ed il pubblico ministero devono informare la persona offesa della facoltà di nominare un difensore di fiducia e della possibilità di accedere al gratuito patrocinio, anche in deroga ai limiti di reddito per le vittime di stalking, maltrattamenti in famiglia, mutilazioni genitali femminili e violenza sessuale di gruppo. La persona offesa ed i servizi sociali dovranno essere informati in caso di adozione, richiesta di modifica e/o sostituzione delle misure cautelari di tipo coercitivo, disposte in relazione a delitti commessi con violenza alla persona. L’informazione è dovuta anche in caso di proroga delle indagini preliminari, avviso della richiesta di archiviazione (anche se la persona offesa non abbia presentato apposita istanza) per i delitti commessi con violenza alla persona, conclusione delle indagini preliminari.

In tal modo, con riguardo alle comunicazioni relative alle istanze di incidente probatorio e di conclusione delle indagini, si vuole superare, per i delitti di maltrattamenti ai danni di familiari e di conviventi e più in generale per i delitti commessi con violenza alla persona, l’attuale sistema che subordina l’effettuazione di tali comunicazioni a una specifica richiesta della parte offesa.

In questo contesto si inquadra anche la modifica all’art.408 c.p.p. che eleva a venti giorni (in luogo degli attuali dieci) il termine entro il quale la persona offesa può prendere visione degli atti del procedimento penale per i delitti commessi con violenza alla persona e presentare eventuale opposizione alla richiesta di archiviazione (nella sua prima formulazione e prima della conversione il decreto legge limitava tale ipotesi al solo reato di cui all’art.572 c.p.).

Un’ulteriore forma di tutela viene prevista con una modifica all’art.498 c.p.p., che estende anche al reato di maltrattamenti in famiglia la possibilità di acquisire testimonianze con modalità protette quando la vittima sia una persona minorenne o una persona maggiorenne che versa in uno stato di particolare vulnerabilità.

In un’ottica di accelerazione dei processi per reati di violenza domestica, viene previsto che, al pari di quanto già disposto per i delitti di omicidio e di lesioni colpose aggravate derivanti da incidente stradale, la proroga del termine delle indagini preliminari per il delitto di cui all’art.572 c.p. può essere concessa per una sola volta.

Per le stesse finalità è prevista una sorta di corsia preferenziale: l’inserimento della lettera a-bis) al co.1 dell’art.132 bis disp. att. c.p.p. (d.lgs. n. 271 del 1989 garantisce assoluta priorità nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi ai reati di maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, corruzione di minorenne e violenza sessuale di gruppo.

Come si è detto, al fine di dare compiuta attuazione alla Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011, che impegna gli Stati firmatari a garantire alle vittime della violenza domestica il diritto all’assistenza legale gratuita i reati di maltrattamenti ai danni di familiari o conviventi e di stalking sono inseriti tra i delitti per i quali la vittima è ammessa al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito.

La comunicazione da parte del Procuratore della Repubblica al tribunale per i minorenni, già prevista quando si procede per taluno dei delitti previsti dagli articoli 600, 600‐bis, 600‐ter, 600‐quinquies, 601, 602, 609‐bis, 609‐ter, 609‐quinquies, 609‐octies e 609‐undecies commessi in danno di minorenni, ovvero per il delitto previsto dall’articolo 609‐quater viene ora estesa anche ai delitti di cui agli articoli 572 e 612-bis, se commessi in danno di un minorenne o da uno dei genitori di un minorenne in danno dell’altro genitore.

Qualora riguardi taluno dei delitti previsti dagli articoli 572, 609-ter e 612-bis, commessi in danno di un minorenne o da uno dei genitori di un minorenne in danno dell’altro genitore, la comunicazione in argomento si considera effettuata anche ai fini dell’adozione dei provvedimenti di cui agli articoli 155 ss., nonché 330 e 333 c.c..

Viene espressamente prevista la possibilità di dare corso ad intercettazioni telefoniche anche in relazione al reato di atti persecutori.

Ove si proceda per i delitti di maltrattamenti in famiglia, adescamento di minori e atti persecutori, la polizia giudiziaria deve richiedere al pubblico ministero la nomina di un esperto in psicologia infantile, nel caso in cui sia necessario assumere sommarie informazioni da un minore (audizione assistita).

Un altro gruppo di interventi mira a calibrare le misure cautelari applicabili per i soggetti nei confronti dei quali si procede per i delitti in argomento.

In primo luogo, il ventaglio delle ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza di cui all’art.380 c.p.p. viene esteso anche ai delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi e di atti persecutori, previsti dagli articoli 572 e 612-bis del codice penale, in deroga ai limiti edittali di cui all’art.380 c.p.p.. Tale misura si aggancia alla previsione (introdotta dal d.l. 23 febbraio 2009 n.11) dell’arresto obbligatorio in flagranza con la possibilità di procedere con il rito per direttissima nei casi di violenza sessuale e di gruppo e per atti sessuali con minorenni.

Tenuto conto che la disposizione riguarda provvedimenti limitativi della libertà personale, viene previsto che essa diventi efficace alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Inoltre, in un’ottica di rafforzamento del contrasto delle condotte di violenza domestica, viene introdotta una nuova misura cautelare (non dissimile sul piano funzionale dal fermo di indiziato di delitto), con l’inserimento del nuovo articolo 384-bis nel codice di procedura penale. La norma consente agli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria di disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, scritta oppure resa oralmente e confermata per i scritto, o per via telematica, l’allontanamento urgente dalla casa familiare, con divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi è colto nella flagranza dei delitti elencati all’articolo 282-bis dello stesso codice, tra i quali sono compresi anche quelli di minaccia grave e di lesione personale. Presupposto per l’applicazione della misura in questione è che sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate, ponendo in grave e attuale pericolo la vita o l’integrità fisica della persona offesa.

L’allontanamento urgente dalla casa familiare
Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria – previa autorizzazione del pubblico ministero – possono procedere all’allontanamento in via di urgenza e al contestuale divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa di colui che viene colto nella flagranza dei delitti di cui all’art. 282 bis, co. 6 c.p.p. (ossia uno dei delitti di cui agli artt.570, 571, 582, 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 septies.1, 600 septies.2, 601, 602, 609 bis, 609 ter, 609 quinquies e 609 octies e 612, co. 2 c.p.), ove vi sia fondato pericolo di reiterazione dei reati con conseguente grave ed attuale pericolo per la vita o l’incolumità fisica della persona offesa. In caso di reato procedibile a querela di parte, la misura potrà essere disposta solo ove la querela venga proposta anche oralmente, dandone atto nel relativo verbale.

Quando una persona è stata allontanata d’urgenza dalla casa familiare ai sensi dell’articolo 384-bis c.p.p., la polizia giudiziaria può provvedere, su disposizione del pubblico ministero, alla sua citazione per il giudizio direttissimo e per la contestuale convalida dell’arresto entro le successive quarantotto ore, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini.

In tal caso la polizia giudiziaria provvede comunque, entro il medesimo termine, alla citazione per l’udienza di convalida indicata dal pubblico ministero (art.449 co.5 c.p.p., come integrato dal d.l. n.93 del 2013).

Nel caso di mancata convalida dell’arresto il giudice provvede a restituire gli atti al pubblico ministero, salvo procedere (qualora quest’ultimo e l’imputato vi consentano) al giudizio direttissimo.

Art.384-bis c.p.p. (Allontanamento d’urgenza dalla casa familiare)
1. Gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, o per via telematica, l’allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di cui all’articolo 282-bis, comma 6, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa. La polizia giudiziaria provvede senza ritardo all’adempimento degli obblighi di informazione previsti dall’articolo 11 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n.11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, e successive modificazioni.
2. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui agli articoli 385 e seguenti del presente titolo. Si osservano le disposizioni di cui all’articolo 381, comma
3. Della dichiarazione orale di querela si dà atto nel verbale delle operazioni di allontanamento.

L’allontanamento dalla casa familiare
Con la modifica dell’art.282 bis c.p.p. si è ampliato il novero delle ipotesi che consentono di disporre l’allontanamento dell’imputato dalla casa familiare.

Art.282-bis. Allontanamento dalla casa familiare.
1. Con il provvedimento che dispone l’allontanamento il giudice prescrive all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede. L’eventuale autorizzazione può prescrivere determinate modalità di visita.
2. Il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può inoltre prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale ultimo caso il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.
3. Il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può altresì ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prove di mezzi adeguati. Il giudice determina la misura dell’assegno tenendo conto delle circostanze e dei redditi dell’obbligato e stabilisce le modalità ed i termini del versamento. Può ordinare, se necessario, che l’assegno sia versato direttamente al beneficiario da parte del datore di lavoro dell’obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui spettante. L’ordine di pagamento ha efficacia di titolo esecutivo.
4. I provvedimenti di cui ai commi 2 e 3 possono essere assunti anche successivamente al provvedimento di cui al comma 1, sempre che questo non sia stato revocato o non abbia comunque perduto efficacia. Essi, anche se assunti successivamente, perdono efficacia se è revocato o perde comunque efficacia il provvedimento di cui al comma 1. Il provvedimento di cui al comma 3, se a favore del coniuge o dei figli, perde efficacia, inoltre, qualora sopravvenga l’ordinanza prevista dall’articolo 708 del codice di procedura civile ovvero altro provvedimento del giudice civile in ordine ai rapporti economico-patrimoniali tra i coniugi ovvero al mantenimento dei figli.
5. Il provvedimento di cui al comma 3 può essere modificato se mutano le condizioni dell’obbligato o del beneficiario, e viene revocato se la convivenza riprende.
6. Qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d’ufficio o comunque aggravate, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612, secondo comma del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 280, anche con le modalità di controllo previste all’articolo 275-bis.

Misure a sostegno delle vittime e nozione di “violenza domestica”
Gli importanti obblighi già rimessi dall’art.11 del d.l. n.11 del 2009 alle forze dell’ordine, ai presìdi sanitari ed alle istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia del reato di atti persecutori vengono ora estesi anche ad una serie più ampia di reati, come maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, riduzione in schiavitù, prostituzione minorile, riconducibili alla nozione di “violenza domestica”.
Detti obblighi si sostanziano nel:
 fornire alla vittima stessa tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio e, in particolare, nella zona di residenza della vittima;
 mettere in contatto la vittima con i centri antiviolenza, qualora ne faccia espressamente richiesta.

L’art.3 del d.l. n.93 del 2013 (così come modificato in sede di conversione) specifica che la “violenza domestica” è riferita “a uno o più atti gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica od economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o persone legate da relazione affettiva in corso o pregressa, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”.

L’ammonimento del Questore
L’art.3 del decreto legge 14 agosto 2013, n.93, modificato in sede di conversione con legge 15 ottobre 2013 n.119, estende la particolare misura di prevenzione di competenza del Questore, già prevista per lo stalking, anche casi di percosse e lesioni (consumate o tentate) commesse nell’ambito di violenza domestica, in quanto considerati “reati sentinella”.
I presupposti per l’ammonimento sono qui costituiti:
• dalla preventiva assunzione delle informazioni necessarie da parte degli organi investigativi;
• dall’aver sentito le persone informate sui fatti.

Si procede all’ammonimento pure in assenza di querela, purché sulla base di segnalazioni (presentate anche da soggetti diversi dalla vittima) non anonime, essendo garantita la segretezza delle generalità del segnalante. In fase di conversione del decreto è stato tuttavia aggiunto: “salvo che la segnalazione risulti manifestamente infondata”.
In sede di ammonimento, il Questore dovrà informare il responsabile dei fatti in merito ai servizi disponibili sul territorio, volti al sostegno ed al recupero degli autori del reato.
Il Questore può richiedere al Prefetto del luogo di residenza del destinatario dell’ammonimento l’applicazione della misura della sospensione della patente di guida per un periodo da uno a tre mesi.

Art.3. (Misura di prevenzione per condotte di violenza domestica)
1. Nei casi in cui alle forze dell’ordine sia segnalato, in forma non anonima, un fatto che debba ritenersi riconducibile ai reati di cui agli articoli 581, nonché 582, secondo comma, consumato o tentato, del codice penale, nell’ambito di violenza domestica, il questore, anche in assenza di querela, può procedere, assunte le informazioni necessarie da parte degli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, all’ammonimento dell’autore del fatto. Ai fini del presente articolo si intendono per violenza domestica uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.
2. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 8, commi 1 e 2, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n.11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n.38, come modificato dal presente decreto. Il questore può richiedere al prefetto del luogo di residenza del destinatario dell’ammonimento l’applicazione della misura della sospensione della patente di guida per un periodo da uno a tre mesi. Il prefetto dispone la sospensione della patente di guida ai sensi dell’articolo 218 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. Il prefetto non dà luogo alla sospensione della patente di guida qualora, tenuto conto delle condizioni economiche del nucleo familiare, risulti che le esigenze lavorative dell’interessato non possono essere garantite con il rilascio del permesso di cui all’articolo 218, comma 2, del citato decreto legislativo n.285 del 1992.
3. Il Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica sicurezza, anche attraverso i dati contenuti nel Centro elaborazione dati di cui all’articolo 8 della legge 1 aprile 1981, n.121, elabora annualmente un’analisi criminologica della violenza di genere che costituisce un’autonoma sezione della relazione annuale al Parlamento di cui all’articolo 113 della predetta legge n.121 del 1981.
4. In ogni atto del procedimento per l’adozione dell’ammonimento di cui al comma 1 devono essere omesse le generalità del segnalante, salvo che la segnalazione risulti manifestamente infondata. La segnalazione è utilizzabile soltanto ai fini dell’avvio del procedimento.
5. Le misure di cui al comma 1 dell’articolo 11 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n.11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n.38, trovano altresì applicazione nei casi in cui le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche ricevono dalla vittima notizia dei reati di cui agli articoli 581 e 582 del codice penale nell’ambito della violenza domestica di cui al comma 1 del presente articolo.
5-bis. Quando il questore procede all’ammonimento ai sensi dell’articolo 8 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n.11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n.38, come modificato dal presente decreto, e del presente articolo, informa senza indugio l’autore del fatto circa i servizi disponibili sul territorio, inclusi i consultori familiari, i servizi di salute mentale e i servizi per le dipendenze, come individuati dal Piano di cui all’articolo 5, finalizzati ad intervenire nei confronti degli autori di violenza domestica o di genere.
L’assunzione (a seguito dell’ammonimento) di provvedimenti in materia di armi e munizioni diviene obbligatoria con la modifica introdotta dall’art.1 del decreto legge 14 agosto 2013, n.93 recante “disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province” convertito con legge 15 ottobre 2013 n.119. In precedenza la formulazione dell’art.8 co.2 del d.l. 23 febbraio 2009 n.11, convertito con modificazioni dalla legge 23 aprile 2009 n.38, esortava il Questore a valutare l’eventuale adozione di provvedimenti in materia.

Art.8 d.l. n.11 del 2009 (Ammonimento)
1. Fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all’articolo 612-bis del codice penale, introdotto dall’articolo 7, la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore.
2. Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l’ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore adotta i provvedimenti in materia di armi e munizioni.
3. La pena per il delitto di cui all’articolo 612-bis del codice penale è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito ai sensi del presente articolo.
4. Si procede d’ufficio per il delitto previsto dall’articolo 612-bis del codice penale quando il fatto è commesso da soggetto ammonito ai sensi del presente articolo.

Il permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica
L’articolo 4 del decreto legge n.93 del 2013 dà attuazione all’art.59 della Convenzione di Istanbul del 2011, consentendo il rilascio di uno specifico permesso di soggiorno alle vittime degli atti di violenza perseguiti dalla Convenzione.

Attraverso l’introduzione dell’art.18 bis al d.lgs. n.286 del 1998 si prevede, quindi, che il Questore – con il parere favorevole dell’autorità giudiziaria procedente ovvero su proposta di quest’ultima – possa rilasciare uno specifico permesso di soggiorno per motivi umanitari di tutela delle vittime di violenza domestica.

La proposta o il parere suddetti, comunicati al Questore, devono essere corredati dagli elementi da cui risulti la sussistenza delle condizioni di violenza domestica (“uno o più atti gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica od economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o persone legate da relazione affettiva in corso o pregressa, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”: art.3 del d.l. n.93 del 2013).

Lo specifico permesso di soggiorno per motivi umanitari può essere rilasciato dal Questore anche quando le situazioni di violenza o di abuso emergano nel corso di interventi assistenziali dei centri antiviolenza, dei servizi sociali territoriali o dei servizi sociali specializzati nell’assistenza delle vittime di violenza. In questo caso, la sussistenza degli elementi e delle condizioni di violenza domestica dovrà essere valutata dal Questore sulla base della relazione redatta dai medesimi servizi sociali e ai fini del rilascio dovrà essere comunque richiesto il parere all’Autorità giudiziaria competente.

Si tratta di un permesso la cui portata è più ampia e diversa rispetto a quella del permesso per motivi di giustizia (di cui all’articolo 11, comma 1, lettera c-bis, del regolamento di attuazione del testo unico in materia di immigrazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.394 del 1999), che peraltro ha una durata minore (tre mesi, prorogabili una sola volta) e tende a sottrarre la vittima ai condizionamenti di un’associazione criminale.

Il permesso in esame mira invece a sottrarre la vittima ad una particolare tipologia di violenza; ha durata annuale, è rinnovabile finché perdurano le esigenze umanitarie che ne hanno giustificato il rilascio, consente l’accesso al lavoro ed è convertibile in permesso per lavoro.

Per tali motivi, il rilascio del permesso ex art.18 bis d.lgs. n.286 del 1998 appare adeguato anche ad offrire una possibilità di intraprendere un percorso di ricostruzione della dignità personale e si pone nel solco delle “misure legislative e di altro tipo necessarie per promuovere e tutelare il diritto di tutti gli individui, e segnatamente delle donne, di vivere liberi dalla violenza, sia nella vita pubblica che privata” come recita l’articolo 4 della Convenzione di Istanbul del 2011.

La norma, analogamente a quanto previsto dall’articolo 18 TU. Imm per le vittime di tratta, trova applicazione anche per i cittadini europei e per i loro familiari stranieri ai quali è rilasciata una carta di soggiorno.

Il presupposto è che nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti previsti dagli articoli 572, 582, 583, 583 bis, 605, 609 bis e 612 bis c.p. o per uno dei delitti previsti dall’articolo 380 c.p.p., commessi sul territorio nazionale,vengano accertate situazioni di violenza o abuso nei confronti di uno straniero ed emerga un concreto ed attuale pericolo per la sua incolumità, proprio in conseguenza della scelta di sottrarsi alla medesima violenza o a causa delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio.

Nei confronti dello straniero condannato con sentenza anche non definitiva, inclusa quella emessa a seguito di patteggiamento, per uno dei delitti sopra indicati, commessi in ambito di violenza domestica, possono essere disposte la revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione ai sensi dell’art.13 d.lgs. n.286 del 1998

Lo specifico permesso di soggiorno è comunque revocato ed è disposta l’espulsione dal territorio nazionale:

a) in caso di condotta incompatibile con le finalità dello stesso, segnalata
– dal Procuratore della Repubblica
– o, per quanto di competenza, per le ipotesi indicate dal comma 3,
dai servizi sociali
– o comunque accertata dal Questore

b) ovvero quando vengono meno le condizioni che ne hanno giustificato il rilascio.

Con riguardo all’applicazione dell’art.18 bis del d.lgs. n.286 del 1998, è corretto ritenere che la generica previsione contenuta nell’ultimo periodo del comma 6 dell’art.10 del medesimo decreto, in cui è esplicitamente sancito che il giudice pronunci sentenza di non luogo a procedere anche nel caso in cui acquisisca la comunicazione del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, possa trovare applicazione anche laddove alla vittima di violenza domestica irregolarmente presente in Italia sia stato contestato il reato di soggiorno illegale ex art.10 bis TU Imm. (circ. Min. Int. n.400/A/0033453 del 21 ottobre 2013)

Art.18 bis. (Permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica)
1. Quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti previsti dagli articoli 572, 582, 583, 583-bis, 605, 609-bis e 612-bis del codice penale o per uno dei delitti previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale, commessi sul territorio nazionale in ambito di violenza domestica, siano accertate situazioni di violenza o abuso nei confronti di uno straniero ed emerga un concreto ed attuale pericolo per la sua incolumità, come conseguenza della scelta di sottrarsi alla medesima violenza o per effetto delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio, il questore, con il parere favorevole dell’autorità giudiziaria procedente ovvero su proposta di quest’ultima, rilascia un permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 5, comma 6, per consentire alla vittima di sottrarsi alla violenza. Ai fini del presente articolo, si intendono per violenza domestica uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.
2. Con la proposta o il parere di cui al comma 1, sono comunicati al questore gli elementi da cui risulti la sussistenza delle condizioni ivi indicate, con particolare riferimento alla gravità ed attualità del pericolo per l’incolumità personale.
3. Il medesimo permesso di soggiorno può essere rilasciato dal questore quando le situazioni di violenza o abuso emergano nel corso di interventi assistenziali dei centri antiviolenza, dei servizi sociali territoriali o dei servizi sociali specializzati nell’assistenza delle vittime di violenza. In tal caso la sussistenza degli elementi e delle condizioni di cui al comma 2 è valutata dal questore sulla base della relazione redatta dai medesimi servizi sociali. Ai fini del rilascio del permesso di soggiorno è comunque richiesto il parere dell’autorità giudiziaria competente ai sensi del comma 1.
4. Il permesso di soggiorno di cui ai commi 1 e 3 è revocato in caso di condotta incompatibile con le finalità dello stesso, segnalata dal procuratore della Repubblica o, per quanto di competenza, dai servizi sociali di cui al coma 3, o comunque accertata dal questore, ovvero quando vengono meno le condizioni che ne hanno giustificato il rilascio.
4-bis. Nei confronti dello straniero condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti di cui al comma 1 del presente articolo, commessi in ambito di violenza domestica, possono essere disposte la revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione ai sensi dell’articolo 13 del presente testo unico.
5. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche ai cittadini di Stati membri dell’Unione europea e ai loro familiari»

Il piano di azione contro la violenza sessuale e di genere
L’art.5 del d.l. n.93 del 2013 completa il “pacchetto” delle misure di prevenzione lato sensu dei fenomeni in argomento con la previsione di un nuovo “Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere” , finalizzato, tra l’altro, a “garantire la formazione di tutte le professionalità che entrano in contatto con fatti di violenza di genere e di stalking”.

Il contrasto alla violenza di genere richiede senza alcun dubbio da parte di tutte le istituzioni coinvolte un approccio globale ed integrato, che, oltre a fornire una risposta dissuasiva e punitiva, garantisca alle vittime del reato strumenti efficaci in termini di assistenza psicologica e materiale.

La formazione è senz’altro fondamentale, considerato che nella maggior parte dei casi, il personale delle forze dell’ordine rappresenta il primo interlocutore della vittima del reato ed ha, quindi, il delicatissimo compito di instaurare un corretto rapporto con la persona offesa, conquistandone la fiducia, informandola adeguatamente, aiutandola a rivelare circostanze dolorosissime e difficili da trasmettere a terzi, guidandola verso un cammino che per quanto liberatorio, è comunque evidentemente lacerante, incerto e tortuoso.

L’adeguata formazione degli operatori impegnati in questo particolare settore investigativo (che dovrebbe essere oggetto di specifiche campagne informative verso la collettività) garantirebbe la disponibilità di personale qualificato in tutti i presidi di polizia presenti sul territorio, evitando – tra l’altro – di penalizzare le piccole realtà che raramente dispongono di sezioni specializzate. Le vittime avrebbero, quindi, la certezza di poter contare sin dall’inizio su personale esperto, in grado di provvedere ad una puntuale ed esaustiva ricezione della denuncia (presupposto imprescindibile per il proficuo avvio delle attività di indagine) e di fornire l’assistenza e le informazioni necessarie.

Al Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno è affidato il compito di elaborare annualmente un’analisi anche attraverso i dati contenuti nel Centro elaborazione dati, criminologica della violenza di genere che costituisce un’autonoma sezione della relazione annuale al Parlamento di cui all’articolo 113 della legge n.121 del 1981.

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Il capo II (articoli da 6 a 9 bis) reca norme che, per un verso, mirano ad agevolare la realizzazione di progetti finalizzati a garantire più elevati standard di sicurezza e, per un altro, prevedono misure volte a rafforzare la tutela dell’ordine pubblico e a contrastare alcuni fenomeni criminosi di particolare allarme sociale.

Arresto in flagranza differita in occasione di manifestazioni sportive
La possibilità di procedere all’arresto dell’autore dei reati commessi durante manifestazioni sportive entro le quarantotto ore dal fatto, qualora non risulti possibile provvedervi nell’immediatezza della sua consumazione per ragioni di sicurezza o di incolumità pubblica (c.d. arresto ritardato o in flagranza differita o prolungata), nonché di applicare, all’esito dell’udienza di convalida dell’arresto e nel caso di violazione del divieto di accedere ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive, misure coercitive anche in deroga ai limiti di pena previsti dagli artt.274 lett. c) e 280 c.p.p., è prorogata fino al 30 giugno 2016 (art.7 co.1 d.l. n.93 del 2013).

Nella “Relazione al disegno di legge” presentata alla Camera dei Deputati si legge che “il venire meno di questa facoltà apre un vuoto negli strumenti di contrasto dei delitti commessi in occasione di competizioni sportive. Grazie anche alla misura in commento è stato, infatti, possibile conseguire importanti risultati contro il tifo violento, come testimoniano i dati riguardanti l’ultima stagione, nel corso della quale si sono registrati non solo una diminuzione degli eventi, in cui vi sono state vittime di tali fenomeni (-29,3 %), ma anche un significativo incremento del numero degli autori di episodi di violenza denunciati (+44 %) e arrestati (+30 % circa)”.

Le altre disposizioni penalmente rilevanti
1) L’art.628 c.p. in tema di rapina prevede la pena della reclusione da tre a dieci anni e la multa da 516 euro a 2.065 euro. In caso di rapina aggravata (commessa con violenza, minaccia, con armi ecc., o in abitazione) la pena è della reclusione da quattro anni e sei mesi a venti anni e della multa da 1.032 euro a 3.098 euro.
Al fine di accentuare il contrasto a tale forma di tale reato, si apportano modifiche al regime delle circostanze mediante la previsione della nuova aggravante speciale nel caso della rapina commessa nei confronti di persona ultrasessantacinquenne.
Si tratta di un’ipotesi astrattamente riconducibile tra le aggravanti comuni di cui all’art.61, n.5 c.p., ma che, in tal modo, viene tipizzata e resa di obbligatoria applicazione con riguardo alla specifica fattispecie incriminatrice della rapina, rafforzando quindi gli strumenti di repressione di simili condotte perpetrate in danno di soggetti deboli.
Ad una logica analoga risponde l’estensione dell’aggravante prevista per la rapina commessa in abitazione anche ai “luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”.

2) Per il contrasto al fenomeno dei furti in danno di infrastrutture energetiche e di comunicazione viene prevista dall’art.8 del d.l. n.93 del 2013 una nuova circostanza aggravante nell’art.625 c.p. (“se il fatto è commesso su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica”).

Ci si riferisce specificamente al furto di componenti metalliche e di altri materiali pregiati (ad esempio rame) sottratti ad impianti e infrastrutture destinati all’erogazione di energia elettrica e di altri servizi pubblici, tra cui quelli di trasporto e di telecomunicazione.

Si tratta di fenomeni che spesso determinano interruzioni di servizi pubblici essenziali e che possono, per le modalità con cui vengono perpetrati, determinare l’insorgere di pericoli per l’incolumità pubblica.

Tale nuova circostanza potrà trovare applicazione unitamente all’aggravante contemplata dal citato art.625, co.1, n.2), atteso che l’asportazione dei metalli e di altri materiali in questione dalle infrastrutture e dagli impianti avviene di norma con violenza sulle cose. In tal modo, il fenomeno delittuoso perpetrato con queste modalità potrà essere colpito con pene da tre a dieci anni di reclusione e, pertanto, appropriatamente rispetto alla gravità delle manifestazioni delittuose in discorso.
Si procede con l’arresto obbligatorio in flagranza.

3) E’ previsto un aggravio di pena per la ricettazione ove riguardi “denaro o cose provenienti da delitti di rapina aggravata ai sensi dell’articolo 628, terzo comma, di estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 629, secondo comma, ovvero di furto aggravato ai sensi dell’articolo 625, primo comma, n.7-bis”.

Art.648. Ricettazione
Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da euro 516 a euro 10.329. La pena è aumentata quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da delitti di rapina aggravata ai sensi dell’articolo 628, terzo comma, di estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 629, secondo comma, ovvero di furto aggravato ai sensi dell’articolo 625, primo comma, n.7-bis).
La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a euro 516, se il fatto è di particolare tenuità.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l’autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto

Fino all’entrata in vigore della legge 9 agosto 1993 n.328 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l’8 novembre 1990), che ha sensibilmente modificato la disciplina in materia, i delitti di rapina aggravata e di estorsione aggravata costituivano (unitamente al sequestro di persona a scopo di estorsione) gli unici reati-presupposto per le fattispecie di ricettazione e riciclaggio.

Ora, con l’esclusione del sequestro di persona a scopo di estorsione e l’inclusione del furto aggravato di componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica, determinano un aggravio di pena e l’arresto in flagranza ai sensi dell’art.380 c.p.p..

4) L’art.9 del d.l. n.93 del 2013 mira a rendere più efficace il contrasto del preoccupante e crescente fenomeno del cosiddetto “furto d’identità digitale”, attraverso il quale vengono commesse frodi informatiche, talora con notevole nocumento economico per la vittima.

Sono previsti un innalzamento della pena edittale e la procedibilità d’ufficio per il delitto di frode informatica quando il fatto è commesso con sostituzione dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti.

Tale nuova fattispecie incriminatrice, unitamente ai delitti di indebita utilizzazione delle carte di credito e a quelli concernenti la violazione degli obblighi in materia di trattamento dei dati personali, viene compresa tra i reati per i quali opera la responsabilità amministrativa dell’ente nel cui interesse o vantaggio essi sono stati perpetrati.

La norma interviene, infine, sul sistema pubblico di prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi informatiche istituito dall’articolo 30-ter del decreto legislativo 13 agosto 2010, n.141, che si impernia su un archivio informatizzato centralizzato di cui è titolare il Ministero dell’economia e delle finanze che per la gestione si avvale della CONSAP Spa.

In particolare, è previsto che i soggetti che compongono tale sistema (denominati “soggetti aderenti”) possano richiedere al gestore del predetto archivio centralizzato di verificare l’autenticità dei dati forniti dalle persone fisiche che richiedono servizi finanziari al fine di accertare la loro reale identità.
E’ stata invece soppressa in sede di conversione la previsione che avrebbe consentito al Ministro dell’economia e delle finanze di aggiornare l’entità del contributo che i soggetti aderenti devono versare per garantire il funzionamento del sistema ai sensi dell’art.30-sexies del citato decreto legislativo n.141 del 2010.

Viene inserita una specifica ipotesi di frode informatica se il fatto è commesso con sostituzione dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti. In questo caso la pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 600 a euro 3.000 e si procede d’ufficio.

Art.640-ter. Frode informatica.
Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1549 se ricorre una delle circostanze previste dal numero 1) del secondo comma dell’articolo 640, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema.
La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 600 a euro 3.000 se il fatto è commesso con sostituzione dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze di cui al secondo comma e terzo comma o un’altra circostanza aggravante.

5) Con l’integrazione contenutistica degli artt.260 e 682 c.p. l’introduzione clandestina e comunque l’ingresso arbitrario in luoghi militari si configurano ora anche se compiuti all’interno di immobili adibiti a sedi di ufficio o di reparto o a deposito di materiali dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, l’accesso ai quali sia vietato per ragioni di sicurezza pubblica.

Art.260 Introduzione clandestina in luoghi militari e possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio.
È punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque:
1) si introduce clandestinamente o con inganno in luoghi o zone di terra, di acqua o di aria, in cui è vietato l’accesso nell’interesse militare dello Stato;
2) è colto, in tali luoghi o zone, o in loro prossimità, in possesso ingiustificato di mezzi idonei a commettere alcuno dei delitti preveduti dagli articoli 256, 257 e 258;
3) è colto in possesso ingiustificato di documenti o di qualsiasi altra cosa atta a fornire le notizie indicate nell’articolo 256.
Se alcuno dei fatti preveduti dai numeri precedenti è commesso in tempo di guerra, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
Le disposizioni del presente articolo si applicano, altresì, agli immobili adibiti a sedi di ufficio o di reparto o a deposito di materiali dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, l’accesso ai quali sia vietato per ragioni di sicurezza pubblica.

Art.682. Ingresso arbitrario in luoghi, ove l’accesso è vietato
nell’interesse militare dello Stato
.
Chiunque s’introduce in luoghi, nei quali l’accesso è vietato nell’interesse militare dello Stato, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto da tre mesi a un anno, ovvero con l’ammenda da euro 51 a euro 309.
Le disposizioni del primo comma si applicano, altresì, agli immobili adibiti a sedi di ufficio, di reparto o a deposito di materiali dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, il cui accesso è vietato per ragioni di sicurezza pubblica.

La modifica all’art.682 c.p. è volta a superare, anche alla luce di episodi verificatisi di recente, un vuoto di tutela della riservatezza dei luoghi dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, in primis della Polizia di Stato, che ha suscitato problemi di carattere interpretativo.
In precedenza, infatti, la disposizione apprestava questa tutela, finalizzata a reprimere condotte suscettibili di trasmodare in illecite captazioni di segreti, solo nei riguardi dei luoghi militari, con un’impostazione non al passo con la riforma del segreto di Stato e delle informazioni classificate, introdotta dalla legge 3 agosto 2007 n.124, e dai discendenti regolamenti attuativi.

In particolare, l’art.6 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 giugno 2009, n.7/2009 – adottato sulla base dei princìpi recati dall’art.42 co.7 della legge n.124 del 2007 – ricomprende espressamente tra i luoghi di interesse per la sicurezza della Repubblica anche i siti delle amministrazioni che esercitano funzioni in materia di sicurezza dello Stato e di polizia, assoggettandoli a un regime ristretto quanto all’accesso.

Coerentemente con questa evoluzione dell’ordinamento la novella prevede che la tutela penale approntata dal citato articolo 682 del codice penale si applichi anche alle strutture dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, in cui è vietato l’ingresso per motivi di sicurezza.

Concorso delle Forze Armate nell’attività di vigilanza a siti e obiettivi sensibili
L’art.7 co.3 del d.l. n.93 del 2013 rende più flessibile l’impiego del contingente di 1.250 appartenenti alle Forze armate che può essere messo a disposizione dei prefetti ai sensi dell’articolo 24, comma 74, del decreto-legge 1 luglio 2009, n.78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n.102.
La norma consente, infatti, che tale contingente possa essere impiegato non solo per servizi di perlustrazione e di pattuglia ma anche servizi di vigilanza di siti e obiettivi sensibili”, ivi compresi, per effetto della modifica dell’art.682 c.p., “gli immobili adibiti a sedi di ufficio, di reparto o a deposito di materiali dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, il cui accesso è vietato per ragioni di sicurezza pubblica”.

La ratio è evidentemente quella liberare con effetto immediato “consistenti aliquote delle Forze di polizia da destinare a compiti più dinamici di controllo del territorio” (cfr. Relazione al disegno di legge presentato alla Camera dei Deputati il 16 agosto 2013).

Operazioni congiunte in accordi internazionali di polizia

Art.7 bis. (Operazioni congiunte nell’ambito di accordi internazionali di polizia)
1. Agli appartenenti agli organi di polizia degli Stati membri dell’Unione europea e degli altri Stati esteri, distaccati dalle autorità competenti, che partecipano nel territorio nazionale ad operazioni congiunte disposte sulla base e secondo le modalità indicate da accordi internazionali di cooperazione di polizia sono attribuite le funzioni di ufficiale o agente di pubblica sicurezza e di ufficiale o agente di polizia giudiziaria secondo quanto previsto dalla normativa nazionale e dai medesimi accordi.
2. Fatte salve diverse disposizioni contenute nei trattati internazionali ratificati dall’Italia, nei casi contemplati dagli accordi di cui al comma 1, l’uso delle armi di servizio e del relativo munizionamento, che siano stati preventivamente autorizzati dallo Stato, è consentito unicamente in caso di legittima difesa secondo quanto previsto dalla normativa nazionale. Nei medesimi casi, ai veicoli utilizzati nel territorio nazionale dal personale di cui al comma 1 si applicano le stesse norme nazionali in materia di circolazione stradale previste per l’espletamento dei servizi di polizia, comprese quelle concernenti le prerogative di impiego di dispositivi sonori e luminosi e di passaggio ai pedaggi.
3. Fatte salve diverse disposizioni contenute nei trattati internazionali ratificati dall’Italia, la responsabilità civile e penale degli appartenenti agli organi di polizia degli Stati membri dell’Unione europea e degli altri Stati esteri che operano nel territorio nazionale ai sensi del comma 2 è regolata dagli accordi di cooperazione di cui al medesimo comma e, in mancanza, dalla normativa nazionale.

Accordi territoriali di sicurezza integrata per lo sviluppo
L’art.6 bis è stato introdotto in sede di conversione del d.l. n.93 del 2013

Art.6-bis. (Accordi territoriali di sicurezza integrata per lo sviluppo)
1. Per le aree interessate da insediamenti produttivi o da infrastrutture logistiche ovvero da progetti di riqualificazione e riconversione di siti industriali o commerciali dismessi o da progetti di valorizzazione dei beni di proprietà pubblica o da altre iniziative di sviluppo territoriale, gli accordi tra il Ministero dell’interno e le regioni e gli enti locali, stipulati ai sensi dell’articolo 1, comma 439, della legge 27 dicembre 2006, n.296, possono prevedere la contribuzione di altri enti pubblici, anche non economici, e di soggetti privati, finalizzata al sostegno strumentale, finanziario e logistico delle attività di promozione della sicurezza dei cittadini, del controllo del territorio e del soccorso pubblico. Per le predette contribuzioni non si applica l’articolo 1, comma 46, della legge 23 dicembre 2005, n.266.
2. Gli accordi di cui al comma 1 possono anche prevedere, ai fini del contenimento della spesa, forme di ottimizzazione delle modalità di impiego dei mezzi strumentali delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per le quali è consentito, anche in deroga alle disposizioni vigenti in materia di contabilità pubblica e comunque nel rispetto della legge 9 luglio 1990, n.185, il ricorso alla permuta di materiali o di prestazioni. In tal caso, l’accordo è soggetto a specifica autorizzazione del Ministero dell’interno, rilasciata d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli da 569 a 574 del testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n.90, e successive modificazioni. In caso di accordi tra enti pubblici, anche non economici, la permuta può prevedere anche la cessione diretta di beni di proprietà pubblica in cambio di prestazioni o di finanziamenti volti alla ristrutturazione di altri beni di proprietà pubblica destinati a presìdi di polizia. Restano fermi i controlli di regolarità amministrativa e contabile previsti dalle norme vigenti. Con decreto del Ministro dell’interno, adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n.400, sono definite ulteriori modalità attuative del presente comma, nonché individuate eccezionali esigenze per le quali può essere altresì consentito il ricorso alla predetta permuta.
3. Relativamente alle aree di cui al comma 1, il prefetto può assumere iniziative volte alla semplificazione e all’accelerazione della conclusione dei procedimenti amministrativi di competenza degli enti pubblici interessati, anche indirettamente, alla realizzazione dei progetti di sviluppo territoriale. Ove riguardino beni di proprietà pubblica, gli accordi di cui al presente articolo sono conclusi d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze.

Adeguamento dei requisiti essenziali di sicurezza degli articoli pirotecniciSempre nell’ambito delle previsioni del capo II l’art.9 bis, introdotto in sede di conversione del d.l. n.93 del 2013, contiene disposizioni di adeguamento dei requisiti essenziali di sicurezza degli articoli pirotecnici in attuazione dell’articolo 47, paragrafo 2, della direttiva 2013/29/ UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 giugno 2013.

Art.9-bis. (Adeguamento dei requisiti essenziali di sicurezza degli articoli pirotecnici in attuazione dell’articolo 47, paragrafo 2, della direttiva 2013/29/ UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 giugno 2013)
1. Il punto 4) della prima sezione dell’allegato I annesso al decreto legislativo 4 aprile 2010 n.58, è sostituito dal seguente: «4) Gli articoli pirotecnici non devono contenere esplosivi detonanti diversi da polvere nera o miscele ad effetto lampo, ad eccezione degli articoli pirotecnici di categoria P1, P2 o T2, nonché dei fuochi d’artificio di categoria 4 che soddisfino le seguenti condizioni: a) l’esplosivo detonante non può essere facilmente estratto dall’articolo pirotecnico; b) per la categoria P1, l’articolo pirotecnico non può avere una funzione di detonante o non può, com’è progettato e fabbricato, innescare esplosivi secondari; c) per le categorie 4, T2 e P2, l’articolo pirotecnico è progettato in modo da non funzionare come detonante o, se è progettato per la detonazione, non può, com’è progettato e fabbricato, innescare esplosivi secondari».
2. Le disposizioni di cui all’articolo 18, comma 7, del decreto legislativo 4 aprile 2010, n.58, si applicano anche alle autorizzazioni concesse relative alle istanze presentate entro i termini di cui al comma 6 del medesimo articolo.

Disposizioni in tema di protezione civile

Il capo III (articoli da 10 a 11 bis) introduce disposizioni in tema di protezione civile.

L’art.10 del d.l. n.93 del 2013, alla luce del periodo di prima applicazione della riforma del sistema di protezione civile nazionale, recata dal citato decreto-legge n. 59 del 2012, prevede alcune modifiche all’art.5 della legge n.225 del 1992, concernente gli interventi da attuare in occasione di calamità naturali o dovuti ad attività umane fronteggiabili solo con mezzi e poteri straordinari, di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), della stessa legge n.225 del 1992.

La disposizione, infatti, stabilisce che il Presidente del Consiglio dei ministri con la delibera che dichiara lo stato di emergenza provvede, tra l’altro, a quantificare le risorse finanziarie destinate ad adottare gli interventi necessari allo scopo; qualora tali risorse siano insufficienti o siano in procinto di esaurirsi, il Capo del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri presenta al Presidente del Consiglio dei ministri una relazione motivata per le conseguenti deliberazioni.

Inoltre, viene previsto che lo stato di emergenza non può superare la durata di centottanta giorni (in luogo degli attuali novanta), prorogabili di altri centottanta. Un ulteriore adeguamento riguarda i contenuti delle ordinanze di protezione civile in deroga che possono essere adottate in occasione delle situazioni di emergenza. La disposizione, infatti, provvede ad elencare in maniera più dettagliata le misure che possono essere adottate con tali interventi.

Viene altresì previsto che agli oneri connessi all’attuazione degli interventi necessari per fare fronte agli eventi di cui al richiamato articolo 2, comma 1, lettera c), si provvede mediante il neo-istituito Fondo per le emergenze nazionali, di cui vengono anche precisate le modalità di alimentazione finanziaria a regime.

Il comma 3 attribuisce ai commissari delegati nominati ai sensi dello stesso articolo 5 della legge n.225 del 1992 le funzioni di responsabili per la prevenzione della corruzione e per la trasparenza, nell’ambito del sistema delineato dalla recente legge n. 190 del 2012.

Infine, con il comma 4, viene abrogato il comma 8 dell’art.1 del decreto-legge n.245 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n.21 del 2006, relativo all’istituzione, nell’ambito dell’emergenza rifiuti in Campania, di un nucleo interforze a disposizione del Dipartimento della protezione civile.

Tale abrogazione è ritenuta necessaria in considerazione delle competenze affidate al predetto Dipartimento dal citato intervento di riforma di cui al menzionato decreto-legge n. 59 del 2012.

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L’art.11 contiene disposizioni che modificano il d.lgs. n.81 del 9 aprile 2008 per quanto concerne i compiti e le attribuzioni del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.

In particolare, con la modifica dell’art.8 co.4 del d.lgs. n.81 del 2008 il Corpo nazionale dei vigili del fuoco viene incluso nella speciale disciplina riservata alle Forze di polizia e alle Forze armate in materia di Sistema informativo per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP).

Altre due disposizioni mirano a garantire in qualsiasi momento la continuità e l’efficienza dei servizi di soccorso pubblico e di prevenzione ed estinzione degli incendi, svolti dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco:

a) il comma 13 bis inserito nell’art.71 del d.lgs. n.81 del 2008 (concernente gli obblighi del datore di lavoro) del d.lgs. n.81 del 2008 conferisce al Corpo la possibilità di effettuare direttamente, anziché affidarle ai soggetti pubblici e privati indicati nell’articolo 71, comma 11, del decreto legislativo n.81 del 2008, le verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro riportate nell’allegato VII annesso al medesimo decreto legislativo, di cui il Corpo nazionale dispone a titolo di proprietà o di comodato d’uso. Alla base di tale intervento vi è, oltre alla già citata esigenza di continuità ed efficienza dei servizi d’istituto, la constatazione che il Corpo nazionale possiede le competenze tecniche e le professionalità necessarie per effettuare in proprio l’adempimento. Si tratta, infatti, di attrezzature non in commercio, realizzate su specifiche tecniche spesso elaborate dallo stesso Corpo nazionale.

b) il comma 5 bis inserito nell’art.73 del d.lgs. n.81 del 2008 (rubricato “informazione, formazione e addestramento”) autorizza il Corpo nazionale dei vigili del fuoco a effettuare direttamente, anziché affidarle a soggetti esterni, le attività di formazione e di abilitazione del proprio personale all’utilizzo delle attrezzature di lavoro di cui all’articolo 73, comma 5, del decreto legislativo n. 81 del 2008, di cui il medesimo Corpo nazionale dispone per l’assolvimento dei compiti d’istituto. Anche questo intervento è fondato, oltre che sull’esigenza della continuità ed efficienza dei servizi d’istituto, sulla constatazione che il Corpo nazionale possiede le competenze tecniche e le professionalità necessarie per effettuare in proprio l’adempimento formativo. Inoltre, si tratta, per talune fattispecie, di attrezzature allestite per il soccorso pubblico, peculiari dell’attività del Corpo nazionale, che i vigili del fuoco conoscono e riguardo alle quali essi sono i soggetti più idonei a svolgere il relativo addestramento.

Infine il capo IV, riscritto in sede di conversione, reca norme in tema di gestioni commissariali delle province e in favore degli enti locali.