Le novità introdotte al titolo II – capo I del d.l. n.113 del 2018 (artt.16 – 23 bis)

Il tema della sicurezza delle città è relativamente nuovo nel panorama legislativo nazionale, anche se le progettualità ideate per migliorare le condizioni di sicurezza – oggettiva e percepita – dei cittadini e sviluppare un sistema integrato di interventi, intrecciando il rafforzamento dell’attività di controllo con l’attività di prevenzione, risalgono agli anni ’90 del XX secolo (ci si riferisce, in particolare, al “Progetto città sicure”, avviato in Emilia Romagna nel 1994 da studiosi e accademici), anche in ragione dell’urbanesimo che aveva fatto seguito al boom economico degli anni ‘60.
Bisogna attendere il varo dei primi “pacchetti sicurezza” del XXI secolo ed in particolare la riforma del 2008 per assistere a due rilevanti innovazioni:

  • in primo luogo, viene previsto in capo al sindaco, accanto al tradizionale potere di adozione di ordinanze contingibili e urgenti, un ulteriore potere di ordinanza, svincolato dai presupposti di natura emergenziale;
  • in secondo luogo, viene introdotto, sempre nell’ambito dell’esercizio del potere di ordinanza, il concetto di “sicurezza urbana”, che si affianca a quello di “incolumità pubblica” (prima “incolumità dei cittadini”).

La disposizione contenuta nell’art.54 TUEL, come introdotta dalla legge di conversione n.125 del 2008, prevede che il sindaco agisca come ufficiale di governo: di conseguenza, nell’ambito dell’esercizio delle funzioni di pubblica sicurezza (quindi, di competenza statale), deve considerarsi responsabile di fronte all’Amministrazione di P.S., non nei confronti dell’Amministrazione comunale.

A fronte di una richiesta di sicurezza che è divenuta sempre più pressante, la risposta legislativa si connota, in una logica emergenziale bipartisan, per analogie di approccio e di soluzioni.

Ne deriva un ampio ventaglio di strumenti che vengono offerti sul piano sanzionatorio e sul piano della prevenzione. Nei decreti legge n.14 del 2017 e n.113 del 2018 troviamo, infatti:

  • fattispecie penali di nuovo conio – violazione del divieto di accesso del Questore;
  • ri-penalizzazione di fattispecie già depenalizzate – accattonaggio molesto (669 bis c.p.) e blocco stradale;
  • innalzamento dei limiti (e soprattutto dei minimi) edittali – durata minima del daspo urbano che passa da sei a dodici mesi e previsione di sanzioni penali in caso di violazione;
  • introduzione di nuove misure di prevenzione, quelle che la dottrina definisce “atipiche” ed in accezione che lascerebbe pensare a soluzioni residuali, ma che costituiscono, ormai, strumenti di quotidiano impiego, come i divieti di accesso correlati alle manifestazioni sportive, gli ammonimenti (compresi quelli per cyberbullismo) e, da ultimo gli ordini di allontanamento e i divieti di accesso ex artt.10 e 13 del d.l. n.14 del 2017;
  • ampliamento del ventaglio operativo per le misure di prevenzione già esistenti – previsione del daspo con finalità antiterrorismo o di tutela della sicurezza urbana; ordini di allontanamento operanti anche in corrispondenza dei “presidi sanitari” e delle “aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati e pubblici spettacoli”; divieti di accesso in locali pubblici e esercizi pubblici, ecc.;
  • modifiche alla legislazione speciale e complementare (codice della strada, testo unico in materia di immigrazione, codice penale e codice di procedura penale, codice antimafia, ecc.);
  • tutela della sicurezza integrata e urbana anche attraverso il ricorso – ai sensi dell’art.10 ultimo co. del d.l. n.14 del 2017 – all’arresto in flagranza differito, già previsto per le manifestazioni sportive e costantemente oggetto di censure dottrinali e giurisprudenziali, nonostante la previsione della misura a tempo determinato, con scadenza fissata al 30 giugno 2020, quasi ad attestare una condizione di straordinarietà difficilmente spiegabile, tuttavia, ricorrendo alla statistica dei reati da strada o politici.

Si avverte, tuttavia, una certa difficoltà a conciliare questo approccio con gli orientamenti giurisprudenziali che proprio nello stesso periodo (biennio 2017-2018) sono venuti a consolidarsi sulla scia della sentenza del 23 febbraio 2017 della Corte Edu di Strasburgo (sentenza De Tommaso), che assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali, cui hanno fatto seguito le sentenze della Corte di Cassazione del 27 aprile 2017 (sentenza Paternò, Sez.Un., dep. 5 settembre 2017) 30 novembre 20177 (sentenza Gattuso, Sez.Un., dep. 4 gennaio 2018) e 9 aprile 2018 (sez.I, dep. 10 luglio 2018 n.31322), che da un lato stigmatizzano l’indeterminatezza delle prescrizioni delle misure di prevenzione (vivere onestamente, rispettare le leggi, non partecipare a pubbliche riunioni) e dall’altro richiamano ad uno stringente accertamento dell’attualità della pericolosità del proposto.

Sull’indeterminatezza delle prescrizioni inerenti alle misure di prevenzione incombe, peraltro, il giudizio della Corte Costituzionale, chiamata in causa dalla Corte di Cassazione con ordinanza dell’11 ottobre 2017 (dep. 26 ottobre 2017, n.49194), mentre viene messa seriamente in discussione la compatibilità stessa delle misure di prevenzione personali, applicabili ai soggetti cc.dd. pericolosi generici, con i princìpi dettati dalla Corte europea di giustizia (Cass. pen., sez.I, sentenza 19 aprile 2018 – dep. 3 ottobre 2018, n.43826).

 

Il decreto legge del 4 ottobre 2018 n.113, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.231 del 2018, reca “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”. Il testo è stato approvato il 28 novembre 2018 in seconda lettura alla Camera dei Deputati e convertito dall’art.1 co.1 della legge 1 dicembre 2018 n.132, recante, appunto, la “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n.113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Delega al Governo in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate” (Gazzetta Ufficiale n.281 del 3 dicembre 2018).

Il testo si articola in quattro titoli.

Il titolo I reca disposizioni in materia di immigrazione, il Titolo II prevede norme in materia di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto al terrorismo e alla criminalità mafiosa; il Titolo III interviene – anche attraverso modifiche al codice antimafia – sul funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati; il Titolo IV reca norme finanziarie.

Di particolare interesse sono le novità contenute nel capo I del titolo II (artt.16-23 bis), concernenti le disposizioni relative alla sicurezza pubblica e alla prevenzione del terrorismo, dettate dalla “straordinaria necessità e urgenza di introdurre norme per rafforzare i dispositivi a garanzia della sicurezza pubblica, con particolare riferimento alla minaccia del terrorismo e della criminalità organizzata di tipo mafioso, al miglioramento del circuito informativo tra le Forze di polizia e l’Autorità giudiziaria e alla prevenzione e al contrasto delle infiltrazioni criminali negli enti locali, nonché mirate ad assicurare la funzionalità del Ministero dell’interno”.

Tali disposizioni concretizzano specifici interventi nell’ambito della prevenzione di reati connotati da profili di rilevante allarme sociale, in considerazione anche della frequenza degli stessi in questo momento storico. Si pensi, in tale contesto, alla estensione dei controlli attraverso dispositivi elettronici per particolari fattispecie di reato (maltrattamenti e stalking), alle prescrizioni in materia di contratti di noleggio per la prevenzione di atti di terrorismo, alla estensione dell’ambito di applicazione del c.d. daspo urbano, nonché per quello relativo alle manifestazioni sportive, per coloro che siano indiziati per reati di terrorismo.

Proprio in quest’ultimo ambito, la prevenzione nella lotta al terrorismo, esaminate le peculiari modalità di esecuzione di diversi attentati terroristici, si è ritenuto necessario intervenire con mirate disposizioni ad  eliminare o quantomeno ridurre i rischi di possibili analoghe iniziative nel nostro Paese. Pertanto, gli interventi proposti sono relativi al potenziamento dei sistemi informativi per il contrasto al terrorismo internazionale, nonché all’introduzione di modalità operative che consentano una ancor più rapida ed efficace circolarità dei flussi informativi tra CED e Forze di polizia.

L’obiettivo di una più efficace circolarità delle informazioni tra i diversi interlocutori istituzionali coinvolti in materia è stato perseguito, nell’ambito del provvedimento in esame, anche attraverso alcune disposizioni in materia di prevenzione e contrasto alla criminalità mafiosa, con particolare riferimento all’ambito degli appalti e dell’attività di monitoraggio dei cantieri.

Sono state previste, al riguardo, disposizioni volte a consentire un monitoraggio aggiornato dei soggetti destinatari di indagini patrimoniali, con particolare attenzione alla trasmissione dei flussi informativi tra uffici giudiziari e le altre autorità che intervengono nelle diverse fasi procedimentali, connesse alle proposte di misure di prevenzione patrimoniali.

Nell’ottica di una più incisiva attività di prevenzione e controllo sull’attività degli enti locali, è stata introdotta una particolare ipotesi di controllo, da parte del prefetto, su uno o più settori amministrativi dell’ente locale, qualora emergano situazioni anomale tali da determinare un’alterazione delle procedure, così compromettendo il buon andamento e l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali.

Sono state predisposte, inoltre, misure finalizzate al contrasto del fenomeno delle occupazioni arbitrarie di immobili, attraverso l’inasprimento delle pene fissate nei confronti di promotori o organizzatori dell’invasione, nonché con la possibilità, nei confronti degli stessi, di disporre intercettazioni.

 

L’ordine di allontanamento

L’ordine di allontanamento, che ha una durata di quarantotto ore, si configura come una misura di prevenzione “atipica” rimessa alla competenza del Sindaco.

Fino all’entrata in vigore del d.l. n.14 del 2017, le misure di prevenzione erano adottate solo dall’autorità giudiziaria o dal questore. Nel silenzio della norma, il potere sembrerebbe essere esercitato, relativamente all’ordine di allontanamento, dal sindaco in qualità di ufficiale del Governo nello svolgimento delle funzioni di pubblica sicurezza.

La misura consegue automaticamente alla commissione di illeciti amministrativi.

La struttura della norma appare piuttosto generica, ma, con tutta evidenza, dalla ratio dell’intero sistema, si deduce che deve trattarsi di comportamenti che, pur non integrando necessariamente violazioni di legge, come nel caso della previsione di cui all’art.9 co.1 del d.l. n.14 del 2017, compromettono la normale e libera fruibilità di spazi pubblici, con profili di rischio per la sicurezza.

L’ordine deve indicare le motivazioni sulla base delle quali è stato adottato (non è sufficiente il mero stazionare nelle aree in questione o il limitarne la fruizione)

 

Estensione dell’ambito di applicazione del divieto di accesso in specifiche aree urbane

L’art.21 modifica l’art.9 co.3 del decreto-legge 20 febbraio 2017 n.14 ed inserisce i “presidi sanitari” e le “aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati e pubblici spettacoli” nell’elenco dei luoghi che possono essere individuati dai regolamenti di polizia urbana ai fini dell’applicazione delle misure a tutela del decoro di particolari luoghi. Le modifiche apportate in sede di esame al Senato, prevedono il raddoppio della durata della misura nonché l’estensione dell’ambito applicativo del divieto di accesso (cd. Daspo) a locali pubblici e pubblici esercizi.

 

Si riporta, a seguire, il testo aggiornato dell’art.9 del d.l. n.14 del 2017:

Art.9 Misure a tutela del decoro di particolari luoghi

  1. Fatto salvo quanto previsto dalla vigente normativa a tutela delle aree interne delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze, chiunque ponga in essere condotte che impediscono l’accessibilità e la fruizione delle predette infrastrutture, in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi ivi previsti, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 100 a euro 300. Contestualmente all’accertamento della condotta illecita, al trasgressore viene ordinato, nelle forme e con le modalità di cui all’art.10, l’allontanamento dal luogo in cui è stato commesso il fatto.
  2. Ferma restando l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dagli articoli 688 e 726 del Codice penale e dall’art.29 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.114, nonché dall’art.7, comma 15-bis, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n.285, il provvedimento di allontanamento di cui al comma 1 del presente articolo è disposto altresì nei confronti di chi commette le violazioni previste dalle predette disposizioni nelle aree di cui al medesimo comma.
  3. Fermo il disposto dell’art.52, comma 1-ter, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42, e dell’art.1, comma 4, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n.222, i regolamenti di polizia urbana possono individuare aree urbane su cui insistono presidi sanitari, scuole, plessi scolastici e siti universitari, musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della cultura o comunque interessati da consistenti flussi turistici, aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli, ovvero adibite a verde pubblico, alle quali si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo.
  4. Per le violazioni di cui al comma 1, fatti salvi i poteri delle autorità di settore aventi competenze a tutela di specifiche aree del territorio, l’autorità competente è il sindaco del comune nel cui territorio le medesime sono state accertate, che provvede ai sensi degli articoli 17 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n.689. I proventi derivanti dal pagamento delle sanzioni amministrative irrogate sono devoluti al comune competente, che li destina all’attuazione di iniziative di miglioramento del decoro urbano.

 

L’ordine di allontanamento presenta alcune analogie con la misura del foglio di via, disciplinata dal Codice antimafia (art.2), secondo cui persone ritenute pericolose per la sicurezza pubblica, che si trovino fuori dei luoghi di residenza, possono esservi rimandate inibendo loro, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, di ritornare nel comune dal quale sono allontanate.

Va sottolineato, tuttavia, che a differenza di quanto previsto dall’art.10 del d.l. n.14 del 2017, che consente al questore di individuare le modalità applicative del divieto compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del destinatario dell’atto, un’analoga previsione non è invece prevista con riguardo all’ordine di allontanamento di cui all’art.9, commi 1 e 2. Di fatto, risulta assente qualsiasi garanzia procedurale: non vi è traccia della necessità di fissare modalità applicative compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del destinatario né tantomeno vengono previste garanzie quali l’eventuale traduzione del provvedimento, anche se i comandi di polizia locale si sono – per così dire – ‘attrezzati’, prevedendo nel verbale di contestazione la traduzione della parte contenente l’ordine di allontanamento.

L’intento perseguito dal legislatore sembra essere il rafforzamento dell’efficacia delle sanzioni amministrative previste per comportamenti ritenuti lesivi del decoro urbano –  e pertanto della sicurezza urbana – tramite la predisposizione di questa nuova misura accessoria. L’ordine di allontanamento, infatti, si fonda sullo stesso presupposto dell’illecito amministrativo, ma è disposto con un provvedimento amministrativo giuridicamente indipendente ed autonomo rispetto a quest’ultimo; la natura accessoria – rispetto all’illecito amministrativo – viene confermata anche dall’espressione introduttiva del comma 1 dell’art.9 “salvo quanto previsto dalla vigente normativa” ed inoltre, da ciò, consegue che l’ordine di allontanamento non può essere emanato senza il preventivo accertamento e la contestazione della violazione dei prescritti divieti di stazionamento e di occupazione degli spazi.

Nei confronti del provvedimento di allontanamento sono azionabili i classici strumenti di tutela, tanto amministrativi quanto giurisdizionali, il cui ricorso può risultare necessario soprattutto per evitare che, nella seppur limitata efficacia temporale del provvedimento, il destinatario dell’ordine possa ritrovarsi colpito dalla sanzione pecuniaria per la sua violazione nonché dal divieto di accesso. Il raggio d’azione dell’ordine di allontanamento non dovrebbe comportare la sua trasformazione ‘in un autonomo provvedimento basato sul mero sospetto nei confronti di comportamenti pericolosi per il decoro dei luoghi’ e tantomeno la sua efficacia può essere estesa all’interno territorio comunale.

 

Il c.d. Daspo Urbano

a) il divieto di accesso per violazione dell’ordine di allontanamento del sindaco

Sono qui necessarie alcune considerazioni preliminari:

1) trattandosi di un provvedimento di carattere amministrativo, non si sottrae alle garanzie previste dalla legge n.241 del 1990 e s.m.i. (diritto di accesso, di difesa, di partecipazione al procedimento con notifica del c.d. avvio, ecc.). A differenza dei provvedimenti monitori ( avviso orale, ammonimento), ove la natura stessa dell’atto giustifica la mancata adozione di quello che finirebbe col risolversi in un “avviso di un avvertimento”, l’omesso avvio deve essere adeguatamente motivato e trovare un chiaro fondamento in oggettive condizioni che suggeriscono di dare priorità alle esigenze di celerità e di immediata rimozione delle condizioni di pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica;

2) occorre comunque garantire una ponderata valutazione della condotta e della concreta pericolosità del soggetto; ma a questo punto, se ricorrono le condizioni (precedenti penali e di polizia, pericolosità della condotta e della persona, rischio di compimento di reati, mancanza di residenza stabile o domicilio abituale o documentati motivi di lavoro o altri plausibili interessi), potrebbe ritenersi più adeguata ed efficace la comminatoria di un foglio di via.

Nei casi di reiterazione delle condotte di cui all’art.9 co.1 e 2 del d.l. n.14 del 2017 il Questore, “qualora dalla condotta tenuta possa derivare pericolo per la sicurezza” può disporre, con provvedimento motivato, per un periodo non superiore a dodici mesi, il divieto di accesso ad una o più delle aree di cui sopra, espressamente specificate nel provvedimento, individuando, altresì, modalità applicative del divieto compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del destinatario dell’atto (art.10 co.2).

 

Si riporta, a seguire, il testo aggiornato dell’art.10 del d.l. n.14 del 2017:

Art.10 Divieto di accesso

  1. L’ordine di allontanamento di cui all’art.9, comma 1, secondo periodo e comma 2, è rivolto per iscritto dall’organo accertatore, individuato ai sensi dell’art.13 della legge 24 novembre 1981, n.689. In esso sono riportate le motivazioni sulla base delle quali è stato adottato ed è specificato che ne cessa l’efficacia trascorse quarantotto ore dall’accertamento del fatto e che la sua violazione è soggetta alla sanzione amministrativa pecuniaria applicata ai sensi dell’art.9, comma 1, aumentata del doppio. Copia del provvedimento è trasmessa con immediatezza al questore competente per territorio con contestuale segnalazione ai competenti servizi socio-sanitari, ove ne ricorrano le condizioni.
  2. Nei casi di reiterazione delle condotte di cui all’art.9, commi 1 e 2, il questore, qualora dalla condotta tenuta possa derivare pericolo per la sicurezza, può disporre, con provvedimento motivato, per un periodo non superiore a dodici mesi, il divieto di accesso ad una o più delle aree di cui all’art.9, espressamente specificate nel provvedimento, individuando, altresì, modalità applicative del divieto compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del destinatario dell’atto. Il contravventore al divieto di cui al presente comma è punito con l’arresto da sei mesi ad un anno.
  3. La durata del divieto di cui al comma 2 non può comunque essere inferiore a dodici mesi, né superiore a due anni, qualora le condotte di cui all’art.9, commi 1 e 2, risultino commesse da soggetto condannato, con sentenza definitiva o confermata in grado di appello, nel corso degli ultimi cinque anni per reati contro la persona o il patrimonio. Il contravventore al divieto emesso in relazione ai casi di cui presente comma è punito con l’arresto da uno a due anni. Qualora il responsabile sia soggetto minorenne, il questore ne dà notizia al procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni.
  4. In relazione al provvedimento di cui al comma 3 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art.6, commi 2-bis, 3 e 4, della legge 13 dicembre 1989, n.401.
  5. Nei casi di condanna per reati contro la persona o il patrimonio commessi nei luoghi o nelle aree di cui all’art.9, la concessione della sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’osservanza del divieto, imposto dal giudice, di accedere a luoghi o aree specificamente individuati.
  6. Ai fini dell’applicazione del presente articolo e dell’art.9, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro dell’interno determina i criteri generali volti a favorire il rafforzamento della cooperazione, informativa ed operativa, e l’accesso alle banche dati, tra le Forze di polizia, di cui all’art.16 della legge 1º aprile 1981, n.121, e i Corpi e servizi di polizia municipale, nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

6-bis. Con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definiti i livelli di accesso alle banche dati di cui al comma 6, anche al fine di assicurare il rispetto della clausola di invarianza finanziaria di cui al medesimo comma 6.

6-ter. Le disposizioni di cui ai commi 1-ter e 1-quater dell’art 8 della legge 13 dicembre 1989, n.401, hanno efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino al 30 giugno 2020.

6-quater. Nel caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose, compiuti alla presenza di più persone anche in occasioni pubbliche, per i quali è obbligatorio l’arresto ai sensi dell’art.380 del codice di procedura penale, quando non è possibile procedere immediatamente all’arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell’art.382 del medesimo codice colui il quale, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l’arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto. Le disposizioni del presente comma hanno efficacia dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino al 30 giugno 2020.

 

Il comma 3 dell’art.10 prevede una sorta di daspo urbano, recante la determinazione di un lasso di durata del divieto più ampio in ragione della circostanza che le condotte descritte dall’art.9 d.l. n.14 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n.48 del 2017 sono poste in essere da soggetto che, in virtù dei precedenti penali specifici (sebbene non passati in giudicato), potrebbe causare un pericolo più concreto per la “sicurezza urbana”.

Al daspo urbano aggravato (art.10 co.3) si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art.6 della legge 13 dicembre 1989, n.401 in merito al giudizio della convalida, precisamente ai commi:

2-bis (notifica recante l’avviso che l’interessato ha facoltà di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice competente per la convalida del provvedimento),

3 (prescrizione comunicata al procuratore della Repubblica presso il tribunale o al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, se l’interessato è persona minore di età, competenti con riferimento al luogo in cui ha sede l’ufficio di questura. Il pubblico ministero, se ritiene che sussistano i presupposti di cui al comma 1, entro quarantotto ore dalla notifica del provvedimento ne chiede la convalida al giudice per le indagini preliminari. Le prescrizioni imposte cessano di avere efficacia se il pubblico ministero con decreto motivato non avanza la richiesta di convalida entro il termine predetto e se il giudice non dispone la convalida nelle quarantotto ore successive. Nel giudizio di convalida, il g.i.p. può modificare le prescrizioni inerenti l’obbligo di presentazione),

4 (l’ordinanza di convalida è ricorribile in Cassazione ma il ricorso non sospende l’esecuzione dell’ordinanza)

 

E’ singolare, tuttavia, che queste maggiori garanzie operino per un provvedimento “aggravato” ma che si differenzia da quello “semplice” solo per la condizione soggettiva dell’autore (soggetto condannato con sentenza definitiva o confermata in grado di appello nel corso degli ultimi cinque anni per reati contro la persona o il patrimonio) e per la durata, non anche per la previsione di prescrizioni aggiuntive (obblighi), che invece ritroviamo, conformemente al daspo aggravato propriamente detto, nella formulazione dell’art.13 ma non anche nel daspo urbano. Ne consegue che maggiori garanzie sono previste per il condannato a fronte della carenza di giudizio di convalida per il daspo urbano c.d. “semplice”.

D’altro canto, atteso che la scarna dizione normativa rinvia ai precetti, in quanto compatibili, di cui all’art.6, co.2 bis, 3 e e 4 della legge n.401 del 1989, è possibile che il questore prescriva, tenendo conto dell’attività lavorativa del prevenuto, di comparire personalmente una o più volte negli orari indicati nell’ufficio o comando di polizia competente in relazione al luogo di residenza dell’obbligato o in quello specificamente indicato nel provvedimento.

“È evidente che, rispetto all’analogo istituto di cui all’art.6 co.2 della legge n.401 del 1989, nel caso di specie, non possa tale prescrizione essere collegata a singole giornate in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive, ma debba essere calibrata in maniera differente, evidentemente più generica, in modo, però, da poter essere ugualmente idonea a soddisfare il requisito della specificità”.

 

Occorre osservare che la formulazione dell’art.10 limita l’operatività del daspo urbano alle condotte reiterate di cui agli artt.9 co.1 e 2 del d.l. n.14 d.l. 2017

Nella relazione illustrativa della proposta di decreto si legge che “ciò determina, quindi, la possibilità di applicare, tra l’altro, la misura del provvedimento di allontanamento del Questore nei confronti dei soggetti che pongono in essere condotte che impediscono l’accessibilità e la fruizione dei suddetti presidi dei citati eventi”.

In effetti, l’obiettivo sembrerebbe quello di consentire l’applicazione non solo dell’ordine di allontanamento – rimesso alla competenza del Sindaco – ma anche dell’allontanamento (divieto di accesso) del Questore nei confronti di soggetti che pongono in essere condotte che ne impediscono l’accessibilità e la fruizione.

Non viene ampliata, però, la possibilità di applicare il divieto di accesso questorile nelle aree individuate nei regolamenti comunali ai sensi dell’art.9 co.3 della legge n.48 del 2017: tale misura, stando al dettato letterale della norma, continua a ricorrere solo in caso di violazioni delle condotte di cui i primi due commi dell’art.9 della legge n.48 del 2017 e non anche per le violazioni del terzo comma.

In altri termini, il divieto di accesso è circoscritto a possibili condotte già sanzionate con gli ordini di allontanamento di cui ai primi due commi dell’art.9 (che devono comunque essere necessariamente connotate da una pericolosità concreta del soggetto) e non anche al terzo comma dello stesso art.9, che attiene, invece, ad ordini di allontanamento emessi con riferimento alle aree individuate dai regolamenti comunali.

Ne deriva che solo le condotte di impedimento di fruibilità e di divieto di stazionamento (art.9 co.1), ovvero di stato di ubriachezza, compimento di atti contrari alla pubblica decenza, commercio abusivo (art.9 co.2) e per estensione attività di posteggiatore abusivo nelle aree interne delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze (compresi, ora, i “presidi sanitari” e le “aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati e pubblici spettacoli”) consentono la comminatoria questorile del daspo urbano.

Un’applicazione estensiva del daspo urbano anche alle condotte commesse nelle aree individuate dai regolamenti comunali potrebbe derivare dalla formulazione conclusiva del terzo comma dell’art.9 (aree “alle quali si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo”), sebbene paia relativa al solo ordine di allontanamento (art.9) e non anche al daspo urbano propriamente detto (art.10).

 

Sanzioni per inottemperanza al divieto di accesso in specifiche aree urbane

L’art.21-ter, inserito con la legge di conversione, prevede sanzioni penali in caso di inottemperanza al provvedimento di divieto di accesso in specifiche aree urbane.

In particolare, la lettera a) del comma 1, modificando il comma 2 del citato articolo 10 del decreto-legge n.14 del 2017, introduce la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno per colui che abbia contravvenuto al provvedimento del questore che disponeva nei suoi confronti il divieto di accesso ad una o più delle aree espressamente indicate dall’art.9 del medesimo decreto-legge n.14 del 2017.

Come è noto, l’art.9 del d.l. n.14 del 2017 dispone una sanzione amministrativa pecuniaria e l’ordine di allontanamento per chiunque ponga in essere condotte che impediscono l’accessibilità e la fruizione delle aree interne delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze. Inoltre il comma 3 del medesimo art.9 prevede che i regolamenti di polizia urbana possono individuare aree urbane alle quali si applicano le suddette disposizioni sulla sanzione amministrativa e l’ordine di allontanamento. Si tratta di aree su cui insistono scuole, plessi scolastici e siti universitari, musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della cultura o comunque interessati da consistenti flussi turistici, ovvero adibite a verde pubblico, nonché aree su cui insistono presidi sanitari e aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli (ai sensi dell’articolo 21 del d.l. n.113 del 2018 che ha modificato l’articolo 9 del d.l. n.14 del 2017).

Soggetto alla sanzione penale dell’arresto è quindi colui che, in quanto recidivo di una delle condotte illecite di cui al citato art.9 del d.l. n.14 del 2017 – limitazione della libera accessibilità delle infrastrutture di trasporto, ubriachezza, commercio abusivo ecc.- è stato destinatario di un provvedimento del questore contenente il divieto di accesso alle suddette specifiche aree, e a tale divieto abbia trasgredito.

Si ricorda, infatti, che ai sensi dell’art.10 (comma 2) del d.l. n.14 del 2017 la reiterazione dell’illecito amministrativo di cui all’art.9 co.1 e 2 (limitazione della libera accessibilità delle infrastrutture di trasporto, ubriachezza, commercio abusivo) – ove ne derivi un pericolo per la sicurezza – comporta la possibile adozione di un divieto di accesso ai luoghi in cui è stato commesso e reiterato il predetto illecito amministrativo, per un massimo di sei mesi (dodici mesi, nella versione approvata in Senato).

Il provvedimento, adeguatamente motivato, è adottato dal questore che ne individua le più opportune modalità esecutive compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del trasgressore.

Analogamente, la lettera b) del comma 1 modifica il comma 3 dell’art.10 del d.l. n.14 del 2017, introducendo la pena dell’arresto da uno a due anni per il trasgressore di un provvedimento di divieto di accesso alle predette aree individuate ai sensi dell’art.9, nel caso in cui si tratti di soggetto condannato, con sentenza definitiva o confermata in grado di appello, nel corso degli ultimi cinque anni per reati contro la persona o il patrimonio.

Il co.3 dell’art.10 del d.l. n.14 del 2017 prevede che qualora le condotte illecite di cui all’art.9, co.1 e 2 (limitazione della libera accessibilità delle infrastrutture di trasporto, ubriachezza, commercio abusivo), risultino commesse da soggetto condannato, con sentenza definitiva o confermata in grado di appello, nel corso degli ultimi cinque anni per reati contro la persona o il patrimonio, la durata del divieto di accesso non può comunque essere inferiore a sei mesi (dodici mesi, nella versione approvata in Senato), né superiore a due anni.

Questa previsione ha ovviato alla precedente, mancata previsione di sanzione per le violazioni dell’art.10 ed alla conseguente applicazione, in caso di violazione del divieto di accesso del Questore, del solo l’art.650 c.p. sanzione con efficacia deterrente assolutamente relativa, soprattutto nei confronti di persone che già annoverano molteplici sanzioni amministrative non pagate o precedenti penali di ben altra natura. Resta tuttavia da verificare l’operatività di questa previsione penale, alla luce della tendenziale disapplicazione dell’art.75 d.lgs. n.159 del 2011 prodotta dalle sentenze della Suprema Corte del 27 aprile e 30 novembre 2017 che stigmatizzano l’indeterminatezza delle prescrizioni del vivere onestamente, rispettare le leggi e non partecipare a pubbliche riunioni.

 

L’arresto in flagranza differita

Analogamente a ciò che è previsto nel sistema predisposto dalla legge n.401 del 1989, sono inseriti specifici meccanismi di repressione penale con riguardo a fenomeni di violenza verificatisi anche in occasioni pubbliche (art.10, co.6 quater, d.l. n.14 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n.48 del 2017).

La scelta operata nell’ambito degli istituti in analisi è rappresentata dall’estensione dei casi di arresto obbligatorio per talune tipologie di reato anche allorquando sussista “la flagranza differita”. Pertanto, nel caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose, compiuti alla presenza di più persone anche in occasioni pubbliche, per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza a norma dell’art.380 c.p.p., quando non è possibile procedere immediatamente all’arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera, comunque, in stato di flagranza, ai sensi dell’art.382 c.p.p., «colui il quale, sulla base di documentazione video-fotografica dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l’arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto».

Le locuzioni usate ripetono in modo pedissequo quelle contenute nell’art.8, co.1 ter, legge n.401 del 1989, che ha, da sempre, diviso la dottrina in ordine alla sua legittimità costituzionale.

Le riserve di costituzionalità sembravano essere state percepite dallo stesso legislatore, che aveva assicurato un’efficacia a tempo limitato della disposizione contenuta legge n.401 del 1989, riserva che evidentemente si ritiene essere implicitamente superata anche in ragione dell’estensione delle medesime disposizioni nelle ipotesi menzionate dall’art.10, co.6 quater del d.l. n.14 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n.48 del 2017.

Infatti, in fase di conversione del decreto n.14 del 2017, è stata ulteriormente prorogata la durata dell’istituto de quo, prevedendone l’operatività fino al “30 giugno 2020” (art.10, co.6 ter e 6 quater, d.l. n.14 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n.48 del 2017) sia ai fini dei meccanismi in commento sia ai fini degli istituti contenuti nella legge n.401 del 1989.

 

b) il divieto di accesso in locali e pubblici esercizi per il contrasto allo spaccio di sostanze stupefacenti (art.13 co.1 e 2)

Si riporta, a seguire, il testo aggiornato dell’art.13 del d.l. n.14 del 2017:

Art.13. Ulteriori misure di contrasto dello spaccio di sostanze stupefacenti all’interno o in prossimità di locali pubblici o aperti al pubblico e di pubblici esercizi

Nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o confermata in grado di appello nel corso degli ultimi tre anni per la vendita o la cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope, di cui all’art.73 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.309, per fatti commessi all’interno o nelle immediate vicinanze di scuole, plessi scolastici, sedi universitarie, locali pubblici o aperti al pubblico, ovvero in uno dei pubblici esercizi di cui all’art. 5 della legge 25 agosto 1991, n.287, il questore può disporre, per ragioni di sicurezza, il divieto di accesso agli stessi locali o a esercizi analoghi, specificamente indicati, ovvero di stazionamento nelle immediate vicinanze degli stessi.

Il divieto di cui al comma 1 non può avere durata inferiore ad un anno, né superiore a cinque. Il divieto è disposto individuando modalità applicative compatibili con le esigenze di mobilità, salute, lavoro e studio del destinatario dell’atto.

 Nei casi di cui al comma 1, il questore, nei confronti dei soggetti già condannati negli ultimi tre anni con sentenza definitiva, può altresì disporre, per la durata massima di due anni, una o più delle seguenti misure:

a) obbligo di presentarsi almeno due volte a settimana presso il locale ufficio della Polizia di Stato o presso il comando dell’Arma dei carabinieri territorialmente competente; obbligo di rientrare nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, entro una determinata ora e di non uscirne prima di altra ora prefissata;

b) divieto di allontanarsi dal comune di residenza;

c) obbligo di comparire in un ufficio o comando di polizia specificamente indicato, negli orari di entrata ed uscita dagli istituti scolastici.

In relazione al provvedimento di cui al comma 3 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art.6, commi 2 -bis, 3 e 4, della legge 13 dicembre 1989, n.401.

I divieti di cui al comma 1 possono essere disposti anche nei confronti di soggetti minori di diciotto anni che hanno compiuto il quattordicesimo anno di età. Il provvedimento è notificato a coloro che esercitano la responsabilità genitoriale.

Salvo che il fatto costituisca reato, per la violazione dei divieti di cui ai commi 1 e 3 si applicano, con provvedimento del prefetto, ai sensi della legge 24 novembre 1981, n.689, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10.000 a euro 40.000 e la sospensione della patente di guida da sei mesi a un anno.

Nei casi di condanna per i reati di cui al comma 1 commessi all’interno o nelle immediate vicinanze di locali pubblici o aperti al pubblico, ovvero in uno dei pubblici esercizi di cui all’art.5 della legge 25 agosto 1991, n.287, la concessione della sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’imposizione del divieto di accedere in locali pubblici o pubblici esercizi specificamente individuati.

 

Si tratta di misure inibitorie temporanee di competenza del questore, che potrà, infatti, disporre per motivi di sicurezza – nei confronti di soggetti condannati definitivamente o con sentenza confermata in appello nell’ultimo triennio per reati di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope (art.73, DPR 309/1990) – il divieto di accesso nei locali pubblici (o aperti al pubblico) o nei pubblici esercizi in cui sono stati commessi gli illeciti.

Tale divieto – di durata tra uno e cinque anni – può riguardare anche lo stazionamento nelle immediate vicinanze degli stessi locali (commi 1 e 2).

Analogamente a quanto accade in materia di Daspo, la misura – correttamente inquadrabile tra quelle di prevenzione – può essere inflitta indipendentemente dalla commissione di un reato accertato definitivamente (C. Cost., sentenza n.512 del 2002).

Qui è necessaria un’approfondita istruttoria sulle esigenze di mobilità, salute, lavoro e studio del destinatario dell’atto per non vanificare la tenuta e l’efficacia del provvedimento. Trattandosi di provvedimento prevedibilmente destinato ad operare, anche sulla base delle ricorrenze statistiche, nei confronti di persone residenti o comunque dimoranti nel comune (si pensi a cittadini extracomunitari ospitati in strutture comunali ed in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato), sarà necessario verificare preventivamente queste esigenze, magari con le garanzie del procedimento amministrativo (ad esempio, notifica dell’avvio di procedimento e analisi delle eventuali memorie e osservazioni del destinatario dell’atto) che però si ripercuotono negativamente sulle contrapposte esigenze di celerità e di rimozione delle possibili condizioni di pericolo per la sicurezza pubblica

La misura può riguardare anche minori ultraquattordicenni. Il provvedimento in questo caso è notificato a coloro che esercitano la potestà genitoriale.

 

c) le altre misure contro lo spaccio di stupefacenti (art.13 co.3 d.l. n.14 del 2017)

Ulteriori misure incisive sulla libertà di movimento per il contrasto allo spaccio di sostanze stupefacenti (art.13 co.3) sono adottabili per la durata massima di 2 anni dal questore nei confronti delle persone condannate per il reato di cui all’art.73 D.P.R. n.309 del 1990.

Tali misure, applicabili disgiuntamente o congiuntamente anche ai minori ultraquattordicenni, con notifica del provvedimento agli esercenti la potestà genitoriale, sono:

  • obbligo di presentazione alla p.g. almeno due volte a settimana, presso il locale ufficio della Polizia di Stato o presso il comando dell’Arma dei Carabinieri territorialmente competente;
  • obbligo di rientrare nella propria abitazione (o il altro luogo di privata dimora) entro una determinata ora e di non uscirne prima di altra ora prefissata;
  • divieto di allontanarsi dal comune di residenza (misura analoga all’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale, previsto dall’art.6 co.3 del Codice antimafia che, tuttavia, è di competenza dell’autorità giudiziaria);
  • obbligo di comparire in un ufficio o comando di polizia negli orari di entrata ed uscita dagli istituti scolastici.

Anche in questo caso, come per il divieto di accesso a seguito di violazione dell’ordine di allontanamento dei sindaco, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni in materia di Daspo concernenti la notifica, la convalida del provvedimento e la ricorribilità in Cassazione senza effetti sospensivi sull’esecuzione dell’ordinanza.

La violazione dei divieti è punita dal Prefetto, salva l’ipotesi che il fatto costituisca reato, con sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 40.000 euro e con la sospensione della patente da sei mesi ad un anno (art.13 co.6).

Rispetto al ruolo svolto dalla sentenza di condanna, mentre nel divieto d’accesso regolato dall’art.10 questa giustifica solo una maggiore estensione temporale del divieto, essendo le condotte ex art.9 il presupposto di applicazione della misura, nel caso dell’art.13,  possiamo osservare come “il presupposto è costituito da un fatto costitutivo di reato (accertato con sentenza definitiva o confermata in grado di appello)” e pertanto “il divieto pare assumere i connotati di una “impropria” misura di sicurezza”.

 

 d) disposizioni per la prevenzione di disordini negli esercizi pubblici e nei locali di pubblico trattenimento (art.13 bis)

Altre misure volte a garantire l’ordine pubblico e la prevenzione di reati nei locali ed esercizi pubblici sono state introdotte durante l’esame in Senato del progetto per la conversione del d.l. n.113 del 2018, che ha aggiunto all’articolo 21 del richiamato decreto anche i commi 1-ter e 1-quater.

Il comma 1-quater dell’art.21 del d.l. n.113 del 2018 novella l’articolo 8 del Codice antimafia (d.lgs. n. 159 del 2011). Si prevede che, tra le prescrizioni nei confronti della persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S., il tribunale debba adottare anche il divieto di accedere, anche in specifiche fasce orarie, a esercizi pubblici e a locali di pubblico intrattenimento.

Il comma 1-ter inserisce, invece, nel decreto legge n.14 del 2017, convertito con modificazioni in legge n.48 del 2017, un articolo 13 bis con il quale è esteso l’ambito applicativo del divieto di accesso (c.d. Daspo) a locali pubblici e pubblici esercizi, già contemplato dall’art.13 dello stesso decreto legge.

Il nuovo articolo 13 bis – con la clausola di esclusione delle ipotesi indicate dall’art.13 – affida al questore, per motivi di sicurezza, la possibilità di disporre il divieto di accesso a locali e esercizi pubblici o locali di pubblico intrattenimento a persone condannate con sentenza definitiva o anche solo confermata in appello nell’ultimo triennio:

  • per reati commessi nel corso di gravi disordini in pubblici esercizi o in locali di pubblico intrattenimento;
  • per reati contro la persona e il patrimonio (esclusi quelli colposi);
  • per produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti o psicotrope (art.73, DPR 309/1990).

Il divieto di accesso, che può riguardare anche lo stazionamento nelle immediate vicinanze di tali locali e pubblici esercizi, deve essere motivato e, comunque, risultare compatibile con le esigenze di mobilità, lavoro e salute del destinatario del provvedimento.

La durata del divieto (da sei mesi a due anni) viene mantenuta entro limiti più contenuti rispetto all’omologa previsione di cui all’art.13 (da 1 a 5 anni).

Dal punto di vista temporale il divieto di accesso e stazionamento:

  • può essere limitato a specifiche fasce orarie;
  • non può durare meno di sei mesi e più di due anni.

Oggetto del provvedimento inibitorio potranno essere anche minorenni purché maggiori di 14 anni, previa notifica a chi esercita la responsabilità genitoriale.

Ulteriore prescrizione da seguire nel corso della misura – anch’essa mutuata dalla disciplina del Daspo – potrà riguardare l’obbligo di presentazione presso gli uffici di polizia, anche più volte e in orari specifici.

Diversamente da quanto previsto dall’art.13 (dove la misura dura fino a 2 anni), non è qui indicata la durata di tale obbligo che, presumibilmente, corrisponderà alla durata del Daspo. In tali casi, in virtù del rinvio all’applicazione dell’art.6, commi 3 e 4, della legge 401 del 1989, tale misura – sempre di competenza del questore – dovrà essere comunicata al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente (o al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni) che entro 48 ore, se ritiene che sussistano i presupposti, ne chiede la convalida al GIP.

Le prescrizioni imposte cessano di avere efficacia se il PM. con decreto motivato, non avanza la richiesta di convalida entro il termine predetto e se il giudice non dispone la convalida nelle 48 ore successive, con ordinanza.

Contro la convalida è proponibile il ricorso per Cassazione che, tuttavia, non sospende l’esecuzione dell’ordinanza.

Si riporta, a seguire, il testo dell’art.13 bis, inserito nel d.l. n.14 del 2017:

Art.13-bis. – Disposizioni per la prevenzione di disordini negli esercizi pubblici e nei locali di pubblico trattenimento. 1. Fuori dei casi di cui all’articolo 13, il questore può disporre per ragioni di sicurezza, nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o confermata in grado di appello nel corso degli ultimi tre anni per reati commessi in occasione di gravi disordini avvenuti in pubblici esercizi ovvero in locali di pubblico trattenimento, per delitti non colposi contro la persona e il patrimonio, nonché per i delitti previsti dall’articolo 73 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, il divieto di accesso agli stessi locali o ad esercizi pubblici analoghi, specificamente indicati, ovvero di stazionamento nelle immediate vicinanze degli stessi.

2. Il divieto di cui al comma 1 può essere limitato a specifiche fasce orarie e non può avere una durata inferiore a sei mesi né superiore a due anni. Il divieto è disposto, con provvedimento motivato, individuando comunque modalità applicative compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del destinatario dell’atto.

3. Il divieto di cui al comma 1 può essere disposto anche nei confronti di soggetti minori di diciotto anni che hanno compiuto il quattordicesimo anno di età. Il provvedimento è notificato a coloro che esercitano la responsabilità genitoriale.

4. Il questore può prescrivere alle persone alle quali è notificato il divieto previsto dal comma 1 di comparire personalmente una o più volte, negli orari indicati, nell’ufficio o comando di polizia competente in relazione al luogo di residenza dell’obbligato o in quello specificamente indicato.

5. In relazione al provvedimento di cui al comma 4 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 6, commi 3 e 4, della legge 13 dicembre 1989, n. 401.

6. La violazione del divieto di cui al presente articolo è punita con la reclusione da sei mesi ad un anno e con la multa da 5.000 a 20.000 euro.

 

Con direttiva del Ministro dell’Interno datata 20 novembre 2018 e avente ad oggetto il “rafforzamento dell’attività di prevenzione e contrasto allo spaccio di sostanze stupefacenti” si è evidenziato come tale fenomeno continui ad essere largamente diffuso sul territorio nazionale nonostante l’azione di prevenzione e contrasto posta in essere dalle diverse componenti del “sistema sicurezza” nel Paese. Si tratta di una pratica criminale che, legandosi al più vasto tema del degrado urbano, desta un crescente allarme sociale e un forte senso di insicurezza nei cittadini, di recente ulteriormente esasperato da alcuni, gravi fatti di cronaca, ripresi e rilanciati dai mass media.

“A fronte di tale situazione, diventa improcrastinabile individuare nuove linee di intervento e strategie operative, che si dovranno tradurre in un’azione ancora più incisiva da parte delle Forze di polizia”.

Atteso che una compiuta ed efficace risposta al fenomeno in esame richiede articolati interventi di carattere multisettoriale, sono state individuate specifiche linee d’intervento:

  • rafforzamento delle attività info-investigative, finalizzate all’individuazione delle reti dello spaccio e alla lotta alle organizzazioni criminali;
  • potenziamento dell’attività di controllo del territorio con il concorso delle Polizie locali, soprattutto nelle aree maggiormente interessate dalla perpetrazione di tali illeciti;
  • massimo coordinamento delle Forze di polizia.

Il principale obiettivo che si vuole perseguire consiste nell’assicurare una forte presenza degli operatori della sicurezza sul territorio, in particolare nelle cosiddette “piazze dello spaccio”, volta, per un verso, a prevenire e contrastare la diffusione di tali condotte criminali, sino a giungere allo smantellamento delle “piazze”, e, per l’altro, a dare dimostrazione visibile alla cittadinanza che non esistono luoghi in cui le azioni illecite possano restare impunite o svolgersi senza che lo Stato manifesti la sua capacità di reazione. Infatti, pur nella consapevolezza che la complessità del quadro normativo di riferimento in materia non agevola il difficile compito delle Forze di polizia e della stessa Magistratura, si rivelerebbe di grande utilità un’azione di sistematico “disturbo” nei confronti degli spacciatori che, al contempo, consenta di rassicurare i cittadini.

L’esigenza di una razionalizzazione delle risorse umane da mettere in campo impone che l’intero piano di azione sia improntato al massimo coordinamento fra le Forze di polizia, affiancando a quelle a competenza generale la Guardia di Finanza e le stesse Polizie locali, in un’unica pianificazione degli interventi.

I Prefetti sono invitati a convocare specifiche riunioni del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, al fine di operare una preventiva disamina della diffusione del fenomeno e una ricognizione puntuale delle principali aree di spaccio, soprattutto di quelle che insistono nei luoghi più affollati e di maggiore aggregazione, ovvero in quelli soggetti a maggior degrado. All’esito di tale ricognizione, da condurre con la massima celerità, devono essere predisposti specifici piani di intervento, all’interno dei quali occorre definire i contingenti numerici delle Forze di polizia, nonché della Polizia locale, da destinare in via sistematica alla vigilanza coordinata delle diverse aree individuate.

Anche a livello provinciale, quindi, il dispiegamento delle Forze di polizia deve essere organizzato secondo il più elevato livello di coordinamento, sia al fine di accrescerne la capacità d’azione, sia in un’ottica di razionalizzazione del loro impiego.

A tale proposito, nella consapevolezza che le Forze di polizia già normalmente e in autonomia svolgono mirati servizi di contrasto del fenomeno, si evidenzia che i dispositivi di cui alla presente direttiva dovranno essere assolutamente aggiuntivi rispetto a quelli attuati in via ordinaria.

Nel quadro di una più ampia accezione di sicurezza comprensiva dei profili inerenti la sicurezza urbana, può assumere un particolare rilievo, ai fini dell’attuazione della presente direttiva, il supporto fornito dagli enti locali.

Tale supporto, lungi dal limitarsi al solo concorso della Polizia locale nell’attività di controllo del territorio, deve ricomprendere l’adozione, nelle aree più esposte a rischio, delle misure finalizzate alla messa in sicurezza e alla riqualificazione ambientale: da quelle manutentive sulla pubblica illuminazione alla realizzazione di recinzioni o alla predisposizione di servizi di vigilanza all’interno di aree verdi o parchi, dalla realizzazione di impianti di videosorveglianza – sfruttando anche le nuove opportunità offerte dalla conversione del decreto-legge n.113 del 2018 – alla promozione di eventi culturali che mirino a favorire momenti di aggregazione e una maggiore vivibilità dei quartieri.

“Nell’ambito delle strategie delineate in sede di Comitato, d’intesa con le Amministrazioni locali potrà farsi ricorso agli strumenti messi in campo dal decreto-legge n.14 del 2017, significativamente potenziati dal decreto-legge n.113 del 2018 e ulteriormente rafforzati ed affinati nei lavori di conversione di quest’ultimo, tutti in grado di incidere positivamente sulla tutela della sicurezza urbana”. Si segnalano, in particolare:

  • l’estensione del divieto di accesso in specifiche aree urbane (c.d. DASPO urbano), la cui inosservanza sarà assistita da una specifica sanzione penale;
  • il divieto di accesso negli esercizi pubblici e di stazionamento nelle vicinanze degli stessi per coloro, tra gli altri, che siano stati condannati per reati in materia di stupefacenti;
  • l’attività di collaborazione con le Forze di polizia che potrà essere prestata dai titolari degli esercizi pubblici e dei locali di pubblico intrattenimento sulla base di specifici accordi stipulati a livello locale;
  • la regolamentazione degli orari di vendita dei prodotti di gastronomia pronti per il consumo.

Un notevole valore aggiunto alla prevenzione delle più volte richiamate condotte illecite potrà, inoltre, derivare dall’attività di “osservazione” assicurata dai cittadini, in specie nelle aree caratterizzate da condizioni di maggiore degrado.

Da questo punto di vista, si rende necessario che il coinvolgimento dei privati nelle relative segnalazioni avvenga sempre all’interno di più strutturate forme di collaborazione, da definire e regolamentare in seno ai cosiddetti “Accordi di vicinato”. “Nel contempo, dovrà essere assicurata la massima speditezza nelle procedure di espulsione dei cittadini stranieri irregolarmente presenti sul territorio nazionale, coinvolti nelle predette attività criminali”.

Direttiva_Min_spaccio_sostanze_stupefacenti

Alla direttiva del Ministro dell’Interno ha fatto seguito la circolare del Capo della Polizia del 30 novembre 2018 (prot.MI-123-U-C-1-3-2018-70), con la quale vengono evidenziati i possibili punti di forza delle strategie da attuare:

  • utilizzo del sistema di georeferenziazione dei reati (S.I.G.R.);
  • utilizzo del sistema di georeferenziazione dei controlli operativi (Geo.Cope);
  • connessione tra le sale operative;
  • concertazione degli interventi in sede di C.P.O.S.P.

 

Passiamo all’analisi di dettaglio delle altre disposizioni contenute nel titolo II, capo I del d.l. n.113 del 2018, così come riviste dopo la lettura in Senato ed integrate nella versione recepita dalla legge di conversione 1 dicembre 2018 n.132.

 

I dispositivi elettronici per il controllo dell’ottemperanza al provvedimento di allontanamento dalla casa familiare

L’art.16 del d.l. n.113 del 2018, con una modifica dell’art.282-bis co.6 c.p.p., estende le ipotesi di reato che consentono al giudice di adottare il provvedimento di allontanamento dalla casa familiare anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’art.280 c.p.p. ed amplia, parallelamente, le possibilità di eseguire il medesimo provvedimento con mezzi elettronici o altri strumenti tecnici di cui all’art.275-bis c.p.p.. Più in dettaglio, la disposizione in esame introduce la facoltà di utilizzare il braccialetto elettronico come strumento di controllo dell’esecuzione del provvedimento di allontanamento dalla casa familiare nelle delicate ipotesi in cui si proceda per i delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi e stalking, ossia in situazioni caratterizzate da peculiari profili di pericolosità per l’incolumità personale della persona offesa e destanti particolare allarme sociale.

 

Prescrizioni in materia di contratto di noleggio di autoveicoli per finalità di prevenzione del terrorismo

La disposizione di cui all’art.17 del decreto mira a perfezionare il sistema di prevenzione degli attacchi perpetrati da organizzazioni e soggetti legati ad ambienti terroristici. “Gli attentati verificatisi nello scorso anno in diverse città europee – si legge nella Relazione di accompagnamento al d.l. n.113 del 2018 – hanno evidenziato come una delle tattiche preferite dai predetti gruppi o anche da soggetti che operano in maniera autonoma sia quella di utilizzare veicoli per colpire indiscriminatamente pedoni in luoghi affollati. Le indagini svolte dai competenti Organi di polizia dei Paesi interessati hanno documentato come gli autori di questi efferati attacchi abbiano impiegato veicoli presi a noleggio, riuscendo a passare più facilmente inosservati. Al fine di completare il quadro delle misure volte a scongiurare che tale tipologia di minaccia si presenti anche nel nostro Paese, la disposizione prevede che gli esercenti l’attività di autonoleggio di veicoli senza conducente comunichino i dati identificativi dei clienti al CED Interforze di cui all’articolo 8 della legge n.121 del 1981, al fine di verificare se a loro carico risultino specifici precedenti o segnalazioni delle Forze di polizia relativi a fatti o situazioni rilevanti per la prevenzione del terrorismo”.

Tale comunicazione deve essere effettuata prima della stipula del contratto e comunque con un congruo anticipo  (nella precedente versione il testo prevedeva almeno un’ora di anticipo) rispetto al momento della consegna dei veicolo.

Con la modifica approvata durante l’esame in Senato, sono stati esclusi da tale obbligo i contratti di noleggio di autoveicoli per servizi di mobilità condivisa, quali, in particolare il car sharing, al fine di non comprometterne la facilità di utilizzo.

La norma prevede che i dati della cennata segnalazione formino oggetto di un raffronto automatico con i pertinenti dati inseriti nel CED per finalità di terrorismo. Nel caso in cui dall’operazione di confronto emergano situazioni potenzialmente rilevanti ai fini della prevenzione del terrorismo, il centro elaborazione dati provvede ad inviare all’Ufficio o al Comando delle Forze di polizia territorialmente competente per il luogo in cui è ubicato l’autonoleggio, un segnale di “alert” per i conseguenti controlli anche a norma dell’art.4 co.1 TULPS.

Le attuali strutture hardware ed i software necessari a garantire l’attuazione della norma in commento, nella disponibilità del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, sono già in grado si sopportare la prevista mole di trasmissioni (circa 15.000 richieste al giorno di verifica dei dati) che, peraltro, sono analoghe all’attività oggi posta in essere ai sensi dell’art.109 TULPS, e pertanto – si legge nella Relazione tecnica di accompagnamento al testo di legge – non è necessario effettuare alcuna implementazione dei sistemi informativi.

 

Disposizioni in materia di accesso al CED interforze da parte del personale della polizia municipale

L’art.18 prevede un ampliamento dell’accesso da parte dei Corpi e servizi della polizia locale a specifici archivi presenti nella banca dati del CED interforze, nei Comuni capoluogo di provincia.

Con l’introduzione di un nuovo comma 1 bis in sede di conversione al Senato, le disposizioni in esame sono ulteriormente estese ad altri comuni diversi da quelli individuati dal comma 1, sulla base di parametri determinati con un decreto del Ministro dell’interno, previo accordo in Conferenza Stato-Città e autonomie locali.

Tali parametri sono connessi:

  • alla classe demografica,
  • al rapporto numerico tra il personale della polizia municipale assunto a tempo indeterminato e il numero di abitanti residenti,
  • al numero delle infrazioni alle norme sulla sicurezza stradale rilevate nello svolgimento dei servizi di polizia stradale (di cui all’articolo 12 del codice della strada).

Attualmente il collegamento telematico della polizia municipale al CED interforze di cui all’art.8 della legge 1 aprile 1981 n.121 è regolato dal decreto del Ministro dell’interno 29 maggio 2001, avente ad oggetto il «Collegamento dei sistemi informativi a disposizione del personale della polizia municipale addetto ai servici di polizia stradale con lo schedario dei veicoli rubati del centro elaborazione dati del Dipartimento della pubblica sicurezza». Tale decreto ministeriale ha dato attuazione all’art.16-quater del d.l. 18 gennaio 1993, n.8 (convertito, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n.68), il quale, nella formulazione originaria, prevedeva che il personale della polizia municipale addetto ai servizi di polizia stradale, in deroga all’art. 9 della legge n.121 del 1981, qualora in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza, potesse accedere «… allo schedario dei veicoli rubati operante presso il Centro elaborazione dati di cui all’articolo 8 della predetta legge n. 121… ». Allo stato, quindi, il CED interforze mette già a disposizione della polizia municipale i dati relativi ai veicoli oggetto di furto, veicoli oggetto di appropriazione indebita, veicoli da sequestrare o da confiscare per ordine dell’autorità giudiziaria, veicoli da fermare per comunicazioni al conducente. L’art.16-quater del d.l. 18 gennaio 1993, n.8, è stato successivamente modificato dalla lettera a) del comma 1 dell’art.8, del d.l. 23 maggio 2008, n.92, come sostituita dalla legge di conversione 24 luglio 2008, n.125.

Nella nuova formulazione, accanto allo «schedario dei veicoli rubati» sono stati aggiunti quello dei «documenti d’identità rubati o smarriti» e dei «permessi di soggiorno rilasciati e rinnovati», con l’ulteriore previsione della possibilità di abilitare la polizia municipale all’inserimento nel CED interforze dei «dati relativi ai veicoli rubati e ai documenti rubati o smarriti … acquisiti autonomamente». È in corso di adozione lo specifico decreto ministeriale destinato a definire le particolari modalità di realizzazione di tale collegamento.

Alla luce del quadro normativo vigente, l’art.18 del d.l. n.113 del 2018 mira ad allargare il bacino dei dati cui può aver accesso il personale della polizia locale specificamente abilitato, prevedendo che oltre alle ipotesi di cui all’art.16-quater del decreto legge 18 gennaio 1993 n.8, convertito con modificazioni dalla legge 19 marzo 1993 n.68, il personale della polizia locale addetto ai servizi di polizia stradale, in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza, quando procede al controllo ed all’identificazione delle persone, possa accedere alle informazioni relative ai provvedimenti di ricerca o di rintraccio delle persone fisiche, contenuti nel CED, in deroga a quanto previsto dal successivo art.9 della legge 1 aprile 1981, n.121. La consultazione dei dati avviene per il tramite di un sistema/applicazione di risposta semaforica del tipo hit/no hit, che consente in caso positivo di evidenziare l’eventuale sussistenza, in capo ai soggetti controllati, di provvedimenti “attivi” nel citato sistema informativo i quali richiedono un seguito operativo quali i provvedimenti restrittivi della libertà personale, i rintracci per notifica gli scomparsi, i provvedimenti Schengen e provvedimenti inerenti la patente di guida.

L’accesso del personale della polizia locale è consentito solo in modalità di “consultazione” e non anche di “inserimento” o di “modifica” dei dati; inoltre, la consultazione è da ritenersi lecita solo se finalizzata al controllo e all’identificazione della persona “a seguito di controllo su strada”.

La norma rinvia, quindi, ad un Decreto del Ministro dell’interno, da emanarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, nonché il Garante per la protezione dei dati personali, la definizione delle modalità di collegamento al Centro elaborazione dati e i relativi standard di sicurezza, nonché il numero dei soggetti che ciascun comune può abilitare alla consultazione dei dati.

 

Sperimentazione di armi ad impulsi elettrici da parte delle Polizie locali

Con l’art.19 viene recepita la proposta finalizzata a consentire ai Corpi di polizia locale, previa adozione di un apposito regolamento comunale, emanato nel rispetto dei principi, concernenti anche la formazione del personale, stabiliti in conformità alle linee generali adottate in materia di formazione del personale e di tutela della salute, con accordo sancito in sede di Conferenza Unificata, di utilizzare in via sperimentale armi comuni ad impulso elettrico in analogia a quanto disposto per l’Amministrazione della pubblica sicurezza.

In particolare, la disposizione fissa alcuni criteri di applicabilità della sperimentazione, riservata ai Comuni:

1) capoluogo di provincia

2) o con popolazione superiore a 100.000 abitanti

3) o che rientrino nei parametri “connessi alle caratteristiche socioeconomiche, alla classe demografica, all’afflusso turistico e agli indici di delittuosità“, definiti con decreto del ministro dell’Interno previo accordo sancito in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

Al riguardo, la norma, nel demandare al decreto ministeriale la definizione dei parametri, non prevede alcuna procedura per l’attestazione del rispetto dei medesimi da parte dei comuni interessati all’avvio della sperimentazione.

L’estensione della platea dei comuni che potranno fare ricorso alla sperimentazione a quelli di cui ai punti 1) e 2) è stata introdotta nel corso dell’esame del provvedimento in Senato.

Con riguardo alle possibili implicazioni di natura sanitaria, derivanti dall’attività di sperimentazione dell’arma ad impulsi elettrici, è previsto che il predetto regolamento comunale, d’intesa per questo aspetto con le aziende sanitarie locali competenti per territorio, preveda forme di coordinamento tra queste ultime e i Corpi e Servizi di polizia locale.

La norma fissa ulteriori parametri per la durata della sperimentazione e l’individuazione del personale che può essere a tale sperimentazione destinato (sperimentazione per sei mesi, dotando due unità di personale individuato fra gli appartenenti ai Corpi e ai Servizi di Polizia locale).

L’espressione “polizia locale” è stata introdotta in prima lettura in Senato in luogo del riferimento alla “polizia municipale”, contenuto nel testo originario del decreto-legge.

 

Interpretazione autentica dell’art.109 Tulps

L’art.109 TULPS prevede che i gestori di esercizi alberghieri e di altre strutture ricettive (compresi i campeggi) nonché i proprietari o gestori di case e di appartamenti per vacanze e gli affittacamere, ivi compresi i gestori di strutture di accoglienza non convenzionali (ad eccezione dei rifugi alpini inclusi in apposito elenco istituito dalla Regione o dalla Provincia autonoma), possano dare alloggio esclusivamente a persone munite della carta d’identità o di altro documento idoneo ad attestarne l’identità secondo le norme vigenti (per gli stranieri extracomunitari è sufficiente l’esibizione del passaporto o di altro documento che sia considerato ad esso equivalente in forza di accordi internazionali, purché munito della fotografia del titolare).

L’art.19-bis, introdotto in fase di conversione, specifica che l’obbligo di far esibire il documento di identità vale anche per i locatori o sublocatori che lochino immobili o parti di essi con contratti di durata inferiore a trenta giorni.

 

Dotazioni della polizia municipale e casistica sulla portabilità dell’arma in dotazione fuori dal territorio dell’ente

L’art.19-ter, introdotto nel disegno di conversione in legge del decreto n.113 del 2018 durante la lettura in Senato, reca una disposizione interpretativa che sancisce per il personale della polizia municipale la portabilità delle armi senza licenza fuori del territorio dell’ente di appartenenza, per il caso di necessità dovuto alla flagranza dell’illecito commesso nel territorio di appartenenza.

Esso incide sull’art.5 co.5 primo periodo della legge n.65 del 1986 (legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale), che disciplina, per il personale che svolga servizio di polizia municipale, le funzioni di polizia giudiziaria, di polizia stradale, ausiliarie di pubblica sicurezza.

La disposizione vigente consente agli addetti al servizio di polizia municipale ai quali sia stata conferita la qualità di agente di pubblica sicurezza di portare (previa deliberazione in tal senso del Consiglio comunale) senza licenza le armi di cui siano stati dotati in relazione al tipo di servizio (nei termini e modalità previsti dai rispettivi regolamenti), anche fuori dal servizio, purché nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza e nei casi di cui all’articolo 4.

La portabilità dell’arma è, dunque, riferita alla qualifica di pubblica sicurezza in capo al singolo addetto della polizia municipale, non già da un porto d’armi come per il comune cittadino.

Il rinvio interno previsto nel citato articolo 5 è all’articolo 4 della medesima legge n.65, avente ad oggetto il regolamento comunale del servizio di polizia municipale.

Tale regolamento comunale è tenuto ad osservare alcuni criteri, tra i quali:

  1. autorizzazione delle missioni esterne al territorio per soli fini di collegamento e di rappresentanza;
  2. ammissione delle operazioni esterne di polizia, d’iniziativa dei singoli durante il servizio, esclusivamente in caso di necessità dovuto alla flagranza dell’illecito commesso nel territorio di appartenenza;
  3. ammissione delle missioni esterne per soccorso in caso di calamità e disastri, o per rinforzare altri Corpi e servizi in particolari occasioni stagionali o eccezionali, a condizione della previa esistenza di appositi piani o di accordi tra le amministrazioni interessate, e con comunicazione al prefetto.

“L’articolo ora proposto dalla Commissione referente va ad incidere, con disposizione che si definisce di interpretazione autentica, sul raccordo interno alle disposizioni richiamate della legge n.65 del 1986.

In particolare, va a scandire la portabilità delle armi senza licenza fuori del territorio dell’ente di appartenenza, per il caso di necessità dovuto alla flagranza dell’illecito commesso nel territorio di appartenenza”.

Le altre fattispecie previste dall’articolo 4 restano disciplinate dal decreto del Ministro dell’interno n.145 del 1987, recante “Norme concernenti l’armamento degli appartenenti alla polizia municipale ai quali è conferita la qualità di agente di pubblica sicurezza.

Esso prevede:

  • all’art.8, che i servizi di collegamento e di rappresentanza esplicati fuori dal territorio del comune di appartenenza siano svolti di massima senza armi. Tuttavia agli addetti alla polizia municipale cui l’arma sia assegnata in via continuativa, è consentito il porto dell’arma nei Comuni in cui svolgano compiti di collegamento o comunque per raggiungere dal proprio domicilio il luogo di servizio e viceversa.
  • all’art.9, che i servizi esplicati fuori dell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza per soccorso in caso di calamità e disastri o per rinforzare altri Corpi e servizi in particolari occasioni stagionali o eccezionali, siano effettuati di massima senza armi. Tuttavia il sindaco del Comune nel cui territorio il servizio esterno deve essere svolto può richiedere (nell’ambito di accordi intercorsi) che un contingente del personale inviato per soccorso o in supporto sia composto da addetti in possesso delle qualità di agente di pubblica sicurezza, il quale effettui il servizio stesso in uniforme e munito di arma, quando ciò sia richiesto dalla natura del servizio, ai fini della sicurezza personale, ai sensi del regolamento comunale di polizia municipale.

In ambedue le fattispecie (collegamento e rappresentanza da un lato, soccorso dall’altro) il sindaco dà comunicazione al prefetto territorialmente competente ed a quello competente per il luogo in cui il servizio esterno sarà prestato, dei contingenti tenuti a prestare servizio con armi fuori dal territorio dell’ente di appartenenza, del tipo di servizio per il quale saranno impiegati e della presumibile durata della missione.

L’arma in dotazione – prevede il citato regolamento ministeriale – è la pistola semi-automatica o la pistola a rotazione, i cui modelli devono essere scelti fra quelli iscritti nel catalogo nazionale delle armi comuni da sparo.

 

Estensione dell’ambito di applicazione del divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive

Viene ampliata la platea dei destinatari del cd. daspo per le manifestazioni sportive, di cui all’art.6 della legge 3 dicembre 1989 n.401 sulla base del ragionamento secondo cui le manifestazioni sportive, costituendo momento di aggregazione di persone, possono rappresentare un obiettivo sensibile per potenziali attacchi terroristici.

Com’è noto, la misura del Daspo è già prevista:

– nei confronti delle persone che risultano denunciate o condannate, anche con sentenza non definitiva, nel corso degli ultimi 5 anni, per uno dei seguenti reati: porto d’armi od oggetti atti ad offendere; uso di caschi protettivi od altro mezzo idoneo a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona; esposizione o introduzione di simboli o emblemi discriminatori o razzisti; lancio di oggetti idonei a recare offesa alla persona, indebito superamento di recinzioni o separazioni dell’impianto sportivo, invasione di terreno di gioco e possesso di artifizi pirotecnici;

– nei confronti di chi abbia preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive o che abbia, nelle medesime circostanze, incitato, inneggiato, o indotto alla violenza.

 

La disposizione in parola, per evidenti esigenze di prevenzione, consente l’adozione del divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive anche nei confronti di un quadruplice gruppo di soggetti:

a) coloro che siano indiziati di uno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3-quaterp.p.;

b) coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, ovvero esecutivi diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei seguenti reati:

  • delitti contro l’incolumità pubblica di cui al Libro II, Titolo VI, capo I del codice penale;
  • insurrezione armata contro i poteri dello Stato (art.284 c.p.);
  • devastazione, saccheggio e strage (art.285 c.p.);
  • guerra civile (art.286 c.p.);
  • banda armata (art.306 c.p.);
  • epidemia (art. 438 c.p.);
  • avvelenamento di acque o di sostanza alimentari (art. 439 c.p.):
  • sequestro di persona semplice e a scopo di estorsione (artt.605 e 630 c.p.).

c) coloro che, operando in gruppo o isolatamente, pongono in essere atti preparatori o esecutivi con finalità di terrorismo anche internazionale;

d) coloro che, operando in gruppo o isolatamente, pongono in essere atti preparatori o esecutivi volti a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue le finalità terroristiche di cui all’art.270-sexies c.p..

Per completezza, si osserva che il decreto-legge n.8 del 2007 (convertito in legge con modificazioni) commina (art.5) il divieto di acceso agli impianti sportivi anche nei seguenti casi:

  • per la vendita abusiva dei titoli di accesso (art.1 sexies, legge 24 aprile 2003 n.88, di conversione del d.l. n.28 del 2003), effettuata nei luoghi in cui si svolge la manifestazione sportiva o nei luoghi interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alla manifestazione medesima. Il provvedimento può essere adottato anche nel caso di pagamento in misura ridotta della sanzione amministrativa prevista per la violazione (art.1 sexies);
  • per la violazione delle disposizioni del regolamento d’uso dell’impianto sportivo, qualora il contravventore sia recidivo ossia risulti già sanzionato per violazione commessa nella stagione sportiva in corso (art.1 septies, legge 24 aprile 2003 n.88, di conversione del d.l. n.28 del 2003). Il provvedimento può essere adottato anche nel caso di pagamento in misura ridotta della sanzione amministrativa pecuniaria, e ciò in deroga al principio di reiterazione di cui alla legge n.689 del 1981. La durata del DASPO comminato per reiterate violazioni del regolamento d’uso degli impianti sportivi è stata aumentata nel minimo (non inferiore ad un anno) e nel massimo (non superiore a tre anni) dal d.l. n.119 del 2014. La norma base (art.1 septies co.2 del d.l. n.28 del 2003, convertito con modificazioni dalla legge n.88 del 2003) non richiede esplicitamente che la violazione riguardi la stessa violazione del regolamento d’uso già trasgredita, dovendosi prendere in considerazione la medesima condotta violativa di una qualsiasi disposizione del regolamento d’uso, purché avvenuta sempre nell’ambito dello stesso campionato.

 

Contributo delle società sportive agli oneri per i servizi di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive

L’art.20-bis, introdotto durante la lettura in Senato, prevede un incremento della contribuzione delle società organizzatrici di eventi calcistici per il mantenimento dell’ordine pubblico, con aumento della soglia minima al 5% (dall’1%) e la soglia massima al 10% (dal 3%) della quota degli introiti complessivi derivanti dalla vendita dei biglietti e dei titoli di accesso validamente emessi in occasione degli eventi sportivi calcistici, quota destinata a finanziare i costi sostenuti per il mantenimento della sicurezza e dell’ordine pubblico in occasione degli eventi e, in particolare, alla copertura dei costi delle ore di lavoro straordinario e dell’indennità di ordine pubblico delle Forze di polizia.

 

Accordi per prevenire l’illegalità

L’articolo 21-bis, inserito durante la lettura in Senato, prevede che possano essere sottoscritti, tra prefetto ed organizzazioni maggiormente rappresentative dei pubblici esercenti, accordi per prevenire illegalità o pericoli per l’ordine e la sicurezza pubblica e che l’adempimento su base volontaria di tali misure di prevenzione da parte del pubblico esercizio sia valutabile dal questore ai fini della sospensione o revoca della licenza.

Tale prevenzione è rivolta a situazioni che possano prodursi all’interno e nelle immediate vicinanze degli esercizi pubblici. Siffatti esercizi sono individuati a norma dell’articolo 86 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto n.773 del 1931.

Sono misure basate sulla cooperazione tra i gestori degli esercizi e le Forze di polizia, cui i gestori medesimi si assoggettano, con le modalità previste dagli stessi accordi.

Gli accordi sono adottati nel rispetto di linee guida nazionali approvate, su proposta del Ministro dell’interno, d’intesa con le organizzazioni maggiormente rappresentative degli esercenti, sentita la Conferenza Stato-Città ed Autonomie locali. L’adesione agli accordi sottoscritti territorialmente ed il loro “puntuale e integrale” rispetto da parte dei gestori degli esercizi pubblici deve essere valutato dal questore anche ai fini dell’adozione dei provvedimenti di competenza in caso di eventi rilevanti ai fini dell’eventuale applicazione dell’art.100 TULPS (sospensione o revoca della licenza).

L’art.86 TULPS dispone che non possano esercitarsi, senza licenza del questore, alberghi, locande, pensioni, trattorie, osterie, caffè o altri esercizi in cui si vendano al minuto o si consumino vino, birra, liquori od altre bevande anche non alcooliche, né sale pubbliche per bigliardi o per altri giuochi leciti o stabilimenti di bagni, ovvero locali di stallaggio e simili (comma 1). Per la somministrazione di bevande alcooliche presso enti collettivi o circoli privati di qualunque specie, anche se la vendita o il consumo siano limitati ai soli soci, è necessaria la comunicazione al questore e si applicano i medesimi poteri di controllo degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza previsti per le attività di cui al primo comma (comma 2).

L’art.100 TULPS prevede che oltre i casi indicati dalla legge, il questore possa sospendere la licenza di un esercizio, anche di vicinato, nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini. Qualora si ripetano i fatti che hanno determinata la sospensione, la licenza può essere revocata.

Sembrano profilarsi intese similari a quelle sottoscritte dai Prefetti in attuazione dell’accordo del 21 giugno 2016 del Ministro dell’Interno con le organizzazioni maggiormente rappresentative delle categorie dei gestori di discoteche e dei servizi di controllo nei locali di pubblico spettacolo, volto a consentire un più avanzato sistema di relazioni e sinergia tra gli operatori del settore e le forze dell’ordine. Tali accordi locali dovrebbero prevedere, tra l’altro, l’impegno dell’Amministrazione a “mettere in atto meccanismi premiali ai fini dell’applicazione o meno delle misure previste dall’art.100 TULPS”.

E’ agevole ravvisare anche per il menzionato art.21 bis, come nel caso delle discoteche, qualche criticità operativa in ragione del carattere cogente (al di là dell’enunciato possibilistico) delle previsioni contenute nel richiamato art.100 TULPS e del rischio dell’assunzione di impegni solo formali da parte delle associazioni di categoria (si pensi alla mera affissione all’ingresso del locale di regole per l’accesso e il trattenimento all’interno del locale).

 

 Introduzione del delitto di esercizio molesto dell’accattonaggio

L’articolo 21-quater introduce nel codice penale, all’articolo 669-bis, il reato di esercizio molesto dell’accattonaggio. La nuova disposizione sanziona con la pena dell’arresto da tre a sei mesi e con l’ammenda da euro 3.000 a euro 6.000 chiunque esercita l’accattonaggio con modalità vessatorie o simulando deformità o malattie o attraverso il ricorso a mezzi fraudolenti per destare l’altrui pietà.

La nuova fattispecie di reato riprende quando previsto dal secondo comma dell’abrogato art.670 c.p., che sanzionava il reato di mendicità, punendo con la pena dell’arresto fino a tre mesi chiunque mendicava in luogo pubblico o aperto al pubblico e con la pena dell’arresto da uno a sei mesi nel caso in cui l’accattonaggio fosse stato commesso in modo ripugnante o vessatorio ovvero simulando deformità o malattie o adoperando altri mezzi fraudolenti per destare l’altrui pietà.

La fattispecie ha carattere sussidiario: a titolo esemplificativo, lo sfruttamento di anziani o disabili per l’accattonaggio può configurare il reato di riduzione o mantenimento in schiavitù, di cui all’articolo 600 c.p. (Cass.pen., sentenza n.2841 del 2007) e l’utilizzo di animali potrebbe integrare una forma di maltrattamento penalmente rilevante ai sensi dell’articolo 544-ter c.p. Ancora, nei casi più gravi, in cui la mendicità si configura come particolarmente intimidatoria e invasiva si potrebbe considerare configurabile anche il reato di violenza privata di cui all’art.610 c.p.

E’ disposto, inoltre, il sequestro delle cose che sono servite o sono state destinate a commettere l’illecito o che ne costituiscono il provento.

Si tratta di una disposizione che così come formulata desta talune perplessità, puntualmente espresse nella relazione di accompagnamento al maxi-emendamento al d.l. n.113 del 2018. In primo luogo si fa riferimento al solo sequestro delle cose e non anche alla confisca delle stesse, in caso di condanna. A ciò si aggiunga che la disposizione, pur richiamando l’istituto del sequestro, quindi sembrerebbe, voler introdurre – analogamente a quanto previsto con riguardo al più grave reato di cui all’art.600-octies c.p. (impiego di minori nell’accattonaggio) una nuova tipologia di confisca. Infine sarebbe opportuna una ulteriore riflessione sulla nozione di “provento”, alla quale sarebbero da preferire quelle di “prezzo, prodotto o profitto”.

 

Modifiche alla disciplina sull’accattonaggio

Relativamente alla fattispecie di accattonaggio di cui all’art.600 octies c.p., l’art.21-quinquies del testo approvato in Senato sanziona anche la condotta dell’organizzazione dell’altrui accattonaggio, punendo con la pena della reclusione da uno a tre anni “chiunque organizzi l’altrui accattonaggio, se ne avvalga o lo favorisca a fini di profitto”.

La previsione in questione sembrerebbe volta a sanzionare tutte quelle forme di “gestione imprenditoriale”, sistematica e continuativa dell’attività di accattonaggio. In tal senso, la disposizione sembra riferirsi non soltanto all’organizzazione dell’accattonaggio minorile, ma più genericamente all’organizzazione dell’altrui accattonaggio.

A ciò si aggiunga che la legislazione vigente già sanziona le condotte di chiunque – a prescindere dal rapporto con il minore – si avvalga o permetta a terzi di avvalersi del minore per l’accattonaggio e che pertanto la condotta di chi organizza l’altrui accattonaggio (essendo difficilmente configurabile una attività di organizzazione non volta ad “avvalersi” ovvero a “giovarsi” dell’altrui mendicità) potrebbe considerarsi riconducibile all’ambito di applicazione dell’articolo 600-octies c.p..

 

Disposizioni sull’esercizio dell’attività di parcheggiatore “senza autorizzazione”

L’art.21-sexies, introdotto nel corso dell’esame in Senato, modifica il co.15-bis dell’art.7 C.d.S. e punisce chi esercita (non più “abusivamente”, bensì) “senza autorizzazione” anche avvalendosi di altre persone, ovvero determinando altri ad esercitare senza autorizzazione l’attività di parcheggiatore o guardiamacchine con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 771 ad euro 3.101 (in luogo dei limiti edittali da 1000 a 3500 euro, per come rideterminati dall’art.16-bis del decreto-legge n.14 del 2017, convertito in legge n.48 del 2017).

Se nell’attività sono impiegati minori, o se il soggetto è già stato sanzionato per la medesima violazione con provvedimento definitivo, si applica la pena dell’arresto da sei mesi a un anno e dell’ammenda da 2.000 a 7.000 euro. È sempre disposta la confisca delle somme percepite.

La nuova formulazione non risulta felice, nella misura in cui ipotizza che l’attività di parcheggiatore possa essere svolta con un’autorizzazione che allo stato attuale non è prevista nel panorama legislativo.

 

 Potenziamento di apparati tecnico-logistici del Ministero dell’interno

La disposizione di cui all’art.22 è finalizzata a corrispondere alle contingenti e straordinarie esigenze della Polizia di Stato e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, ivi compreso il rafforzamento dei nuclei N.B.C.R. del predetto Corpo, per l’acquisto ed il potenziamento dei sistemi informativi per il contrasto del terrorismo internazionale nonché per il finanziamento di interventi diversi di manutenzione straordinaria e adattamento di strutture ed impianti.

A tal fine, con l’intervento di cui al comma 1, si provvede ad autorizzare, a favore del Ministero dell’interno, una spesa complessiva di 15.000.000 per l’anno 2018 e di euro 49.150.000 per ciascuno degli anni dal 2019 al 2025.

Con il comma 2 si prevede – tramite rinvio all’art.39 – la copertura finanziaria degli oneri derivanti dal comma 1.

 

Misure per il potenziamento e la sicurezza delle strutture penitenziarie

L’art.22-bis, inserito nel corso dell’esame in Senato, stanzia ulteriori risorse da destinare a interventi urgenti connessi al potenziamento, alla implementazione e all’aggiornamento dei beni strumentali, nonché alla ristrutturazione e alla manutenzione degli edifici e all’adeguamento dei sistemi di sicurezza delle strutture penitenziarie.

 

Disposizioni in materia di blocco stradale

L’art.23 inasprisce l’attuale impianto sanzionatorio in materia di “blocco” alla libera circolazione sulle strade, prevedendo che le condotte di ostruzione o ingombro della circolazione su strada ordinaria e ferrata e di deposizione o abbandono di congegni o altri oggetti su strada ordinaria – già depenalizzate – siano riconfigurate come delitto e punite con la pena della reclusione da uno a sei anni, in analogia a quanto attualmente previsto per l’impedimento della circolazione sulle linee ferrate attraverso la deposizione di congegni o altri oggetti.

Nel corso dell’esame in Senato è stata introdotta un’eccezione alla ripenalizzazione delle indicate fattispecie con la sostituzione dell’art.1-bis del d.lgs. n.66 del 1948del 1948 (oggetto di abrogazione, per coordinamento, nel testo iniziale), prevedendosi che l’impedimento alla libera circolazione su una strada ordinaria mediante ostruzione con il proprio corpo costituisce illecito amministrativo punito con la sanzione pecuniaria da 1.000 a 4.000 euro; analoga sanzione è irrogata ai promotori e organizzatori.

Sembra derivarne che, diversamente, costituisce illecito penale l’ostruzione di strada ferrata attuata con le citate modalità.

La norma – si legge nella relazione illustrativa – “si rende necessaria al fine di fronteggiare i sempre più frequenti episodi di blocco stradale, posti in essere anche nella forma di assembramento, suscettibili di colpire una pluralità di beni giuridici che comprendono non solo la sicurezza dei trasporti, ma anche la libertà di circolazione. Conseguentemente viene disposta l’abrogazione dell’articolo 1-bis del decreto legislativo 22 gennaio 1948 n.66, che configurava le predette condotte quali mere ipotesi di illecito amministrativo.

Il comma 2 interviene sul Testo Unico in materia di immigrazione, prevedendo che la condanna con sentenza definitiva per uno dei reati di cui all’art.1 del d.lgs. 22 gennaio 1948 n.66 (blocco stradale e ferroviario e altri illeciti contro la libertà di circolazione) costituisca causa ostativa all’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato e conseguentemente determini il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 5, comma 5, del citato Testo Unico.

E’ evidente, in questo caso, l’intento di sanzionare con maggior rigore talune condotte (connotate da significativo clamore mediatico) attuate anche recentemente da immigrati in segno di protesta per condizioni di accoglienza ritenute non adeguate.

La nuova fattispecie ostativa si aggiunge all’elenco di illeciti in violazione del diritto d’autore previsti dal d.lgs. n.633 del 1941, alla contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi o di brevetti, modelli e disegni (art.473 c.p.) e all’introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art.474 c.p.).

La norma è altresì destinata a trovare applicazione nei casi di manifestazione con corteo ove si verifichino violazioni alle prescrizioni imposte e più nello specifico deviazioni dall’itinerario autorizzato: si pensi ai casi in cui il corteo (o parte di esso) venga indirizzato su strade non previste nell’originario itinerario e a nulla valga la diffida dei funzionari di P.S. agli organizzatori allo scopo di farli desistere. In questi casi l’iniziativa, oltre a mettere in grave pericolo l’incolumità fisica degli stessi partecipanti al corteo che vanno a percorrere strade verosimilmente trafficate, senza che risulti possibile predisporre un servizio di viabilità, causa gravi disagi alla circolazione dei veicoli e dei mezzi pubblici di trasporto determinati da blocchi stradali che ostacolano e ostruiscono alcune strade.

 

Le modifiche al codice della strada

L’art.23-bis, introdotto durante la lettura in Senato, reca modifiche alle disposizioni del codice della strada concernenti il sequestro, la confisca e il fermo amministrativo dei veicoli.

La disciplina del sequestro amministrativo del veicolo di cui all’articolo 213 del C.d.S. viene sostanzialmente rivista allo scopo di ridurre al minimo la protrazione della custodia onerosa presso terzi dei veicoli sottoposti a sequestro. In tale ottica, si prevede l’affidamento al custode-proprietario anche nel caso in cui oggetto del sequestro sia un motociclo o un ciclomotore In caso di rifiuto, l’organo di polizia dispone l’immediata rimozione del veicolo e il suo trasporto presso uno dei soggetti di cui all’articolo 214-bis.

Il fermo amministrativo di cui all’art.214 C.d.S. ed il correlato ricovero del veicolo in un apposito luogo di custodia viene direttamente curato dall’organo di polizia procedente, che all’atto dell’accertamento della violazione nomina custode il proprietario ovvero il conducente o altro soggetto obbligato in solido. Se il conducente è minorenne, il veicolo deve essere sempre affidato a ai genitori o a chi ne fa le veci o a persona maggiorenne appositamente delegata. Soltanto nel caso in cui i soggetti predetti rifiutino ovvero non abbiano i requisiti previsti per assumere la custodia, il veicolo fermato deve essere consegnato al custode-acquirente convenzionato e competente per territorio.

La circolazione con mezzi sottoposti a fermo da parte del soggetto che ha assunto la custodia è vietata e sanzionata col pagamento di una sanzione amministrativa che passa nel minimo da euro 777 a 1.988 euro e nel massimo euro 3.114 ad euro 7.953, nonché con la revoca della patente e la confisca del mezzo.

Al fine di ridurre i rilevanti oneri economici che gravano sull’Erario in conseguenza dei lunghi tempi di giacenza dei veicoli nelle depositerie (attive nelle province dove non è operativa la procedura del custode-acquirente) è prevista l’introduzione nel codice della strada dell’art.215-bis, che impone ai prefetti di provvedere al censimento, con cadenza semestrale, dei veicoli giacenti da oltre sei mesi presso le depositerie a seguito dell’applicazione di misure di sequestro e di fermo, nonché per effetto di provvedimenti amministrativi di confisca non ancora definitivi e di dissequestro.

Dei veicoli giacenti deve essere redatto un elenco da pubblicare sul sito della prefettura (comma 1). Entro 30 giorni dalla pubblicazione dell’elenco, il proprietario può assumere la custodia del veicolo, provvedendo nel contempo al pagamento delle somme dovute alla depositeria. Nel caso di mancata assunzione della custodia i veicoli devono ritenersi abbandonati o nel caso di veicoli sottoposti a confisca non ancora definitiva, confiscati (comma 2). Nel caso di vendita, la somma ricavata è depositata fino alla definizione del procedimento in relazione al quale è stato disposto il sequestro o il fermo, in un autonomo conto fruttifero presso la tesoreria dello Stato (comma 3).

Le modalità di comunicazione tra gli uffici interessati sono fissate con decreto dirigenziale, adottato di concerto tra il Ministero dell’interno e l’Agenzia del demanio (comma 4).

DL_113_2018_CONV_L132_2018

 

 

 

 


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