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Rinegoziazione dei mutui: luci e ombre11 min read

L’art. 113 del D.L. 34/2020 [1][1], definito “Decreto Rilancio, recante le “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, ha attribuito il rango di legge all’iniziativa di rinegoziazione dei mutui avviata dalla Cassa depositi e prestiti (CDP) e rivolta a Comuni, Province, Città metropolitane, Unioni di Comuni, Comunità montane, Regioni, Province Autonome, con lo scopo di consentire a questi enti di poter disporre immediatamente di una maggiore liquidità per fronteggiare l’emergenza sanitaria Covid-19.

L’iniziativa della Cassa, maturata inizialmente come proposta spontanea agli enti territoriale che accompagnava l’intervento legislativo di sospensione dei mutui della CDP trasferiti al Ministero dell’Economia e delle finanze (vedi news in questa Rivista [2]), è stata e rimane sostanzialmente disciplinata dalla Circolare CDP n. 1300 del 23 aprile 2020[2],  la quale ne indica i destinatari, le modalità, le condizioni contrattuali e fissa per il 27 maggio 2020 il termine ultimo per l’adesione, il 3 giugno per la ricezione da parte di CDP della documentazione prodotta dall’Ente e il 19 giugno 2020 per accettazione dell’operazione da parte di CDP e di perfezionamento del contratto di rinegoziazione.

Sebbene il “Decreto Rilancio” attribuisca all’iniziativa un rango normativo e ne abbia semplificato parte della procedura, consentendo alle Giunte degli EE.LL. (in luogo del Consiglio) di poterne deliberare l’adesione, anche in regime di esercizio provvisorio, rimangono ancora alcune criticità su cui appare opportuno soffermarsi, per integrare alcuni aspetti pratici e normativi con cui si dovranno confrontare i responsabili finanziari degli enti, nella loro qualità di responsabili della proposta deliberativa[3], dell’OREF[4]e dell’organo deputato alla decisione finale strategica.

La rinegoziazione –  La circolare della CDP individua puntualmente i prestiti che potranno essere rinegoziati, richiamandone le principali caratteristiche, ma rinviando di fatto all’Elenco dei prestiti incluso nell’Applicativo messo a diposizione nel portale dalla Cassa per ciascun Ente.

L’elenco riporta tutti i prestiti proposti all’Ente per la rinegoziazione, con indicazione delle nuove condizioni contrattuale, la cui durata viene inderogabilmente stabilita con scadenza al 31 dicembre 2043 per tutti i prestiti con scadenza antecedente a tale data (mentre rimane invariata la scadenza dei prestiti con scadenza uguale o successiva al 31 dicembre 2043), il tasso di interesse fissato in misura fissa e in misura percentuale differenti per ciascun prestito con lo scopo  di consentire alla CDP di applicare il principio di equivalenza finanziaria che sottende all’intera operazione e permetterebbe all’ente erogatore una equità economica, altrimenti inficiata per aver sostituito l’incasso di una determinata somma ad una scadenza prefissata con più pagamenti di minore importo e scadenze prolungate.

Trascurando il profilo prettamente bancario del principio e la sua sostenibilità con l’applicazione di un piano di ammortamento alla “francese” ma che ha supportato anche le precedenti rinegoziazioni della CDP, molti responsabili finanziari si sono dovuti confrontare, in tempi ristretti e in condizioni lavorative emergenziali, con l’esigenza di elaborare una proposta tecnicamente ineccepibile, in presenza di una operazione il cui valore assoluto del costo è inevitabilmente superiore. Sotto il profilo tecnico, gran parte dei responsabili, infatti, si sono adoperati analizzando semplicemente il costo dell’operazione di rinegoziazione, attraverso il confronto tra l’ammontare degli interessi complessivi derivanti dal nuovo piano di ammortamento, al tasso proposto dalla Cassa, con gli interessi residui del piano di ammortamento precedente a quello di rinegoziazione, per giungere inevitabilmente ad un delta negativo e quindi ad un apparente maggior costo per l’ente.

Con ciò, non si vuole affermare sic et simpliciter che l’operazione sia, invece, economicamente vantaggiosa per l’ente, ma piuttosto evidenziare che i parametri di analisi dell’operazione sono ancor più complessi, per cui la stessa valutazione tecnica e strategica andrebbe, conseguentemente, estesa e maggiormente articolata. Intanto, occorre evidenziare che sebbene le condizioni proposte dalla Cassa non siano negoziabili, l’ente potrà, tuttavia, aderire all’operazione selezionando anche solo dei singoli prestiti, in luogo della totalità di essi. La scelta, in tal caso, potrebbe e dovrebbe ragionevolmente ricadere sui prestiti la cui scadenza è fin dall’origine il più prossima al 31/12/2043, mantenendo immutato il piano di ammortamento dei prestiti prossimi alla scadenza. Inoltre, parrebbe opportuno esporre con massima chiarezza e trasparenza tutti i vantaggi e svantaggi dell’operazione.

Vantaggi e criticità. L’operazione proposta dalla CDP consentirà fondamentalmente all’ente locale di liberare nel bilancio di previsione delle risorse finanziarie sia per l’anno 2020, sia per gli anni successivi. L’adesione alle rinegoziazione prevede, infatti, che in luogo del pagamento totale delle rate semestrali dei prestiti in ammortamento, con scadenze la prima il 30 giugno (fatta slittare straordinariamente al 31 luglio) e la seconda il 31 dicembre,  l’ente locale dovrà provvedere alla liquidazione della prima rata per l’importo pari alla sola quota interessi maturata nel primo semestre 2020 e calcolata sulla base del tasso di interesse o spread applicabile ai prestiti originari, quindi, per la seconda rata, entro il 31 dicembre 2020, dovrà liquidare un importo di   rata semestrale determinata quale sommatoria di una nuova quota capitale calcolata nella misura dello 0,25% del debito residuo al 1 gennaio 2020 e di un quota interessi, calcolata al tasso di interesse fisso post rinegoziazione. Conseguentemente per il 2020, il vantaggio finanziario sarà, per la parte in conto capitale, pari alla differenza tra la quota capitale delle due semestralità ante rinegoziazione e la quota pari allo 0,25% del debito residuo, mentre per la parte interessi si avrà un vantaggio, calcolabile sulla sola seconda rata di dicembre e pari al differente tasso di interessi applicato alla rinegoziazione.

Dal 2021, il vantaggio finanziario potrà essere invece valutato, confrontando l’originaria quota capitale con la nuova quota ripartita su un piano di ammortamento del prestito diluito su una durata temporale maggiore, mentre per la parte corrente dal differente tasso di interesse applicato. In sintesi, il processo decisionale di adesione alla rinegoziazione dei prestiti in ammortamento proposta dalla CDP, dovrà evidenziare i due profili dell’operazione: il primo connesso al vantaggio finanziario, consistente nella riduzione della spesa annuale per il rimborso delle rate in ammortamento; il secondo quello economico connesso all’aumento della spesa complessiva per interessi in conseguenza della maggior durata dell’indebitamento, sebbene attenuato, ma non dimostrato, dall’applicazione del principio di equivalenza finanziaria. A tutto ciò dovrà aggiungersi una esposizioni di dettaglio che evidenzi l’aspetto connesso all’irrigidimento dei bilanci futuri, quello correlato allo sganciamento della durata del finanziamento al periodo di vita utile del bene oggetto di investimento con il ricorso al debito in violazione del punto 3.17 del principio contabile applicato concernente la contabilità,  finanziaria, allegato 4/2 al Dlgs 118/201 e infine, i potenziali rischi che l’ente locale assumerà con l’operazione di rimodulazione dell’indebitamento, ribaltandone oneri sulla gestione o meglio sulla generazione futura di Amministratori, anche per i vincoli che le risorse risparmiate dovranno rispettare.

Vincoli sul risparmio di spesa. Quanto alla destinazione della minore spesa derivante dalla rinegoziazione, va evidenziato che sebbene la procedura avviata dalla Cassa trovi la sua origine dal momento di emergenza straordinario e trovi un supporto indiretto nel D.L. 18/2020 [3] e diretto nel D.L. 34/2020 [1], con la logica di fornire maggiore liquidità al sistema degli EE.LL., non vi è, tuttavia, nei già menzionati decreti, un adeguato sostegno che consenta un impiego libero della minor spesa. L’art. 112, comma 2, del D.L. 18/2020, consente, infatti, l’utilizzo della minor spesa per il finanziamento di interventi utili a far fronte all’emergenza COVID-19, per i soli mutui della Cassa ma trasferiti al MEF.

La norma, pertanto, esplicitamente applicata ad un determinata categorie di mutui della Cassa, e per un solo esercizio, mal si presta, anche per la sua natura straordinaria, ad essere estesa anche ai mutui CDP rinegoziati. Un riferimento normativo di supporto potrebbe essere rinvenuto nell’art. 7, comma 2 del D.L. 78/2015 [4][5], ove si prevede che per gli anni dal 2015 al 2023, le risorse derivanti da operazioni di rinegoziazione di mutui nonché dal riacquisto dei titoli obbligazionari emessi possano essere utilizzate dagli enti territoriali senza vincoli di destinazione. Trattasi, anche questa, di una norma di natura eccezionale, peraltro riferita esplicitamente alla rinegoziazione dell’anno 2014, con una deroga sancita per legge.

Pertanto, si ritiene che l’ente locale, nel programmare la variazione di bilancio connessa alla rinegoziazione dei mutui in corso e all’utilizzo dei cosiddetti risparmi di spesa, possa, con tutte le riserve del caso, prudentemente impiegare i risparmi dell’anno 2020, per coprire le spese derivanti dal COVID-19, purché venga dimostrato di non poter diversamente assicurare la superiore esigenza di mantenimento del sistema pubblico e di supporto alle esigenze straordinarie della comunità locale.

Dal 2021, invece, si ritiene che debbano applicarsi le regole contabili ordinarie, per cui le economie derivanti dal minore esborso annuale in linea capitale dovranno essere destinate alla copertura di spese di investimento o alla riduzione di esposizione debitoria, mentre il risparmio derivante dai minori interessi potrà finanziare una spesa corrente indistinta. Tutto ciò salvo che nel contempo non intervenga una auspicata modifica normativa, accompagnata da un intervento della CDP che ne riformuli anche le scadenza, troppo ristrette in questo particolare momento di emergenza. L’art. 113 del D.L. 34/2020, ha di fatto raccolto la volontà negoziale della CDP, facendo rientrare la rinegoziazione nell’alveo normativo e consentendo all’organo esecutivo di poterne deliberare l’operazione, senza tuttavia introdurre e riconoscere deroghe sull’impiego attuale e futuro dei risparmi.

La posizione della Corte dei conti. Le Sezioni di controllo della Corte dei conti hanno più volte ribadito il proprio orientamento contrario alla possibilità, da parte degli enti locali, di attuare delle operazioni di copertura delle spese correnti con gli introiti derivanti da rinegoziazione di mutui.

Per il giudice contabile[6] la destinazione delle risorse derivanti dalla rinegoziazione dei mutui per la copertura di spese correnti non “appare conforme alla ratio della limitazione del ricorso all’indebitamento per finanziare spese di investimento, sancito dall’art. 119, ultimo comma, della Costituzione” e la stessa “diminuzione delle rate di ammortamento, non può essere considerato un risparmio in conseguenza del quale procedere automaticamente ad incrementare la spesa corrente”, per cui le economie derivanti dalla rinegoziazione del debito dovranno  essere destinate a spese in conto capitale.

Soggiunge, ancora, il giudice di tutale erariale che “nell’equilibrio economico finanziario complessivo degli enti locali l’operazione di rinegoziazione espone l’ente locale ad un debito prolungato nel tempo che ha come risultato pratico la liberazione di risorse in una parte del periodo di ammortamento del debito originario” e che “ai fini del mantenimento dell’equilibrio patrimoniale è opportuno commisurare il periodo di ammortamento dell’indebitamento con il presumibile periodo nel quale gli investimenti correlati potranno produrre la loro utilità”, fermo restando che “i risparmi frutto di rinegoziazione non possono essere qualificati quale strumento per offrire risorse immediatamente spendibili in parte corrente dagli Enti in ‘sofferenza’, in quanto l’operazione comporterebbe, tra l’altro, l’irrigidimento dei bilanci futuri ‘capitalizzando’ in senso negativo gli stessi e non offrendo alle generazioni future i benefici di cui potrebbero invece godere, laddove fossero assegnate esclusivamente ad investimenti le spese per indebitamento”.

Pareri. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, appare evidente l’oggettiva difficoltà in cui si trovano sia il responsabile finanziario che dovrà esprimere il prescritto parere ai sensi dell’art. 49 del TUEL, sia l’organismo di revisione economico-finanziaria (OREF),  cui potrà essere richiesto un parere ex art. 239 del D.lgs. 267/2000 [5].

Quanto al primo, salvo che disponga di adeguati strumenti e competenze di finanza attuariale tali da consentire la verificare sulla corretta applicazione del principio di equivalenza finanziaria, non  rimane che esporre l’operazione di rinegoziazione evidenziandone gli aspetti positivi e quelli negativi di ciascun mutuo, riassumendo anche le ragioni che diedero origine all’operazione di finanziamento e alla loro attuale permanenza, contemperandone l’esigenza di liquidità dell’ente non altrimenti fronteggiabile in un contesto di emergenza nazionale, per poi attestarne la sostenibilità futura dell’indebitamento con la permanenza degli equilibri e  dei vincoli di bilancio, soprattutto in merito all’utilizzo delle economie di spesa.

Per l’OREF, non rimarrà, invece, che esaminare la correttezza sull’operato dal responsabile e sulla completezza dell’informativa da rendere all’organo decisionale in merito alla rinegoziazione, per poi esprimere, su questo aspetto, un mero giudizio di presa d’atto, riservandosi invece di valutazione, verifica e giudizio motivato ed esplicito sulla correlata variazione di bilancio conseguente alla rinegoziazione e all’utilizzo delle economie. Va ricordato che il parere che l’OREF, potrà rientrare tra le attività di collaborazione ex art. 239, comma 1, lett. a), rivolta però all’organo consiliare, ovvero, seppur con una interpretazione estensiva della norma, tra i pareri di cui al comma 4) riferito più strettamente alle proposte di ricorso all’indebitamente, che prevedono modalità, tecniche e analisi differenti da quelle afferenti ad una rimodulazione dell’indebitamento. Una formula di rito potrà essere articolata con la “Presa d’atto dell’operazione di rinegoziazione, non derivante dal ricorso a nuovo indebitamento ma di variazione di quello già contratto, conseguente a valutazioni strategiche non incluse tra le competenze e attribuzioni del revisore, con applicazione di modalità, tempi e tassi fissate dalla Cassa Depositi e Prestiti, non oggetto di trattazione e verifica dell’OREF, il, quale potrà procedere ad una successiva valutazione sull’utilizzo delle risorse finanziarie annuali generate dall’operazione.

Oscar Gibillini – dottore commercialista e revisore contabile


https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/05/19/20G00052/sg [1]

[2] https://www.cdp.it/resources/cms/documents/Circolare_CDP_n.1300-2020_Rinegoziazione-enti-locali_20-05-2020.pdf

[3] Art. 49 Decreto Legislativo 18/08/2000, n. 267

[4] Organo di Revisione Economico Finanziario

[5] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/08/14/15A06371/sg

[6] Deliberazione n. 190/2014/SRCPIE/PAR