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Il Comune non può vietare agli alunni il consumo di cibi portati da casa2 min read

E’ illegittimo il regolamento comunale che introduce il divieto di consumare pasti diversi da quelli forniti dall’impresa appaltatrice del servizio di refezione scolastica, non avendo il Comune alcuna competenza ad imporre prescrizioni ai dirigenti scolastici, limitando la loro autonomia con vincoli in ordine all’uso della struttura scolastica e alla gestione del servizio mensa

Consiglio di Stato, sez. V, 3 settembre 2018, n. 5156; Pres. Severini, Est. Giovagnoli [1]

A margine

Il regolamento comunale non può imporre prescrizioni ai dirigenti scolastici, non può limitare la loro autonomia, non può prevedere vincoli nell’uso della struttura scolastica e nell’organizzazione del servizio mensa. Il regolamento che sancisce il divieto di permanenza nei locali scolastici per gli alunni che intendono consumare cibi portati da casa (o acquistati autonomamente) è illegittimo, in quanto affetto da eccesso di potere per irragionevolezza, poiché rappresenta una misura inidonea e sproporzionata rispetto al fine perseguito. In particolare, la scelta restrittiva del Comune d’interdire il consumo di cibi portati da casa (attraverso lo strumentale e previsto divieto di permanenza nei locali scolastici degli alunni che intendono pranzare con alimenti diversi da quelli somministrati dalla refezione scolastica) limita una naturale facoltà dell’individuo – afferente alla sua libertà personale – e, se minore, della famiglia mediante i genitori, vale a dire la scelta alimentare: scelta che – salvo non ricorrano dimostrate e proporzionali ragioni particolari di varia sicurezza o decoro – è per sua natura e in principio libera.

Per poter legittimamente restringere da parte della pubblica autorità una tale naturale facoltà dell’individuo o per esso della famiglia, occorre che sussistano dimostrate e proporzionali ragioni inerenti quegli opposti interessi pubblici o generali. Queste ragioni, vertendosi di libertà individuali e nell’ambiente scolastico, non possono surrettiziamente consistere nelle mere esigenze di economicità di un servizio generale esternalizzato e del quale non s’intende fruire perché non intrinseco, ma collaterale alla funzione educativa scolastica.

Nella specie, la restrizione praticata con l’impugnato regolamento – che nemmeno si preoccupa di ricercare un bilanciamento degli interessi – manifestamente non corrisponde ai canoni di idoneità, coerenza, proporzionalità e necessarietà rispetto all’obiettivo – dichiaratamente perseguito – di prevenire il rischio igienico-sanitario. E l’assunto che “il consumo di pasti confezionati a domicilio o comunque acquistati autonomamente potrebbe rappresentare un comportamento non corretto dal punto di vista nutrizionale” si manifesta irrispettoso delle rammentate libertà e comunque è apodittico.

Per ciò che concerne la proporzionalità e la necessità della misura, occorre rilevare che la sicurezza igienica degli alimenti portati da casa non può essere esclusa a priori attraverso una regolamento comunale: ma va rimessa al prudente apprezzamento e al controllo in concreto dei singoli direttori scolastici, mediante l’eventuale adozione di misure specifiche, da valutare caso per caso, necessarie ad assicurare, mediante accurato vaglio, la sicurezza generale degli alimenti.

Ruggero Tieghi