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COVID19: come gestire i casi sospetti (e non) in azienda6 min read

In questo periodo di seconda ondata, gli RSPP e i consulenti della sicurezza, ricevono giornalmente chiamate da parte di datori di lavoro che chiedono lumi su come gestire casi positivi in azienda o casi di dipendenti venuti a contatto diretto o indiretto con casi positivi.

A gestire la questione covid19 in azienda, ricordiamo esserci la procedura specifica di applicazione del protocollo del 24 aprile 2020 [1], ripreso come valido strumento per gestire il sars cov 2 in azienda anche dagli ultimi DPCM [2].

L’applicazione dei protocolli è fondamentale per garantire che i lavoratori non siano contatti stretti, visto che sul luogo di lavoro deve essere obbligatorio mantenere il più possibile le distanze, indossare sempre mascherine adeguate (chirurgiche o FFP2), lavarsi spesso le mani, sanificare il più possibile le postazioni di lavoro ed effettuare tutte quelle operazioni necessarie per evitare assembramenti e situazioni di pericolo, in caso di positività di un lavoratore, i colleghi (se sono stati rispettati i protocolli) non sono considerati contatti stretti e non dovranno quindi rimanere in quarantena.

Attenzione però a situazioni critiche, come banalmente la pausa pranzo. Infatti questo aspetto è ben gestito quando la pausa avviene in mense aziendali, dove vengono garantiti turni e spazi adeguati, ma per quei lavoratori che mangiano al di fuori dell’azienda presso bar e ristoranti, rischiano di stare seduti ad un tavolo a distanza inferiore ai 2 metri, senza mascherina per più di 15 minuti con colleghi, diventando così contatti stretti.

Difatti i ristoranti hanno l’obbligo di tenere la distanza di 1 metro tra i commensali e non i 2 previsti dalla definizione di contatto stretto. In questo caso, il consiglio, per evitare la trasmissione del virus e quindi quarantene forzate, è quello di mangiare per conto proprio su più tavoli diversi.

Tornando però al tema principale, la questione che sta preoccupando maggiormente i datori di lavoro in questa fase è quella di saper gestire al meglio eventuali casi positivi.

A chiarire l’iter è la Circolare: COVID-19: indicazioni per la durata ed il termine dell’isolamento e della quarantena 0032850-12/10/2020-DGPRE-DGPRE-P [3].

Innanzi tutto il documento fa chiarezza sulla terminologia da usare, che spesso anche nelle procedure aziendali viene fraintesa, ovvero:

L’isolamento dei casi di documentata infezione da SARS-CoV-2 si riferisce alla separazione delle persone infette dal resto della comunità per la durata del periodo di contagiosità, in ambiente e condizioni tali da prevenire la trasmissione dell’infezione.

La quarantena, invece, si riferisce alla restrizione dei movimenti di persone sane per la durata del periodo di incubazione, ma che potrebbero essere state esposte ad un agente infettivo o ad una malattia contagiosa, con l’obiettivo di monitorare l’eventuale comparsa di sintomi e identificare tempestivamente nuovi casi.

Chiarita la differenza tra le due indicazioni, ecco come una persona (ancor prima di essere un lavoratore) deve gestire le diverse situazioni che si possono presentare:

CONTATTO INDIRETTO DI UN CASO

Partiamo dal più frequente CONTATTO INDIRETTO: Se sono un CONTATTO del CONTATTO (ho avuto un contatto stretto con una persona che ha avuto contatto stretto con un positivo): Non dovrò fare nulla a meno che la persona con cui ho avuto contatto non diventi, durante la sua quarantena, un positivo.

Quindi se un lavoratore comunica al datore di lavoro che la madre della sua compagna è positiva al covid19 e lui non ha visto la madre della sua compagna, ma solo la compagna, non dovrà fare nulla a meno che la sua compagna, una volta eseguito il tampone, risulti positiva.

CONTATTO DIRETTO DI UN CASO POSITIVO

Se sono un CONTATTO DIRETTO del CASO POSITIVO ci possono essere due vie in base al mio stato di salute, infatti:

Se resto un CONTATTO ASINTOMATICO

Faccio quarantena per 14 giorni e dopo di che posso tornare alla normalità

Se voglio uscire prima posso fare un tampone dal 10 giorno in poi (ho quindi dato il tempo all’eventuale contagio di palesarsi).

Se però ho un regolare contatto con persone a rischio, faccio sempre e comunque un tampone a fine quarantena.

Se divento un CONTATTO SINTOMATICO

Faccio un tampone che, se negativo, mi rende libero (fermo restando la guarigione dai sintomi per ridurre la trasmissione anche di altre malattie, non esiste solo il Covid!)

Se invece il lavoratore fa il tampone e risulta positivo, non è più un “CONTATTO ” ma divento un CASO

Se resta un CASO ASINTOMATICO è previsto il rientro in comunità dopo un tampone negativo fatto dopo almeno 10 giorni di isolamento.

Se diventa un CASO SINTOMATICO, è previsto il rientro in comunità dopo un tampone negativo, fatto dopo almeno 10 giorni di isolamento ed almeno 3 giorni senza sintomi (tali 3 giorni possono essere inclusi nei 10 oppure successivi: la cosa puó variare da caso a caso in base a quando si guarisca dai sintomi).

Se infine permane un CASO POSITIVO DI LUNGO TERMINE (ovvero uno di quei casi che pur guarendo da tutti i sintomi -eccezion fatta per alterazioni di gusto e olfatto che spesso persistono per molte settimane- si continua ad avere tampone positivo), è previsto rientro in comunità dopo 21 giorni di isolamento, laddove autorizzato dalle autorità sanitarie in relazione al caso specifico: alcuni casi, come ad esempio gli immunodepressi, possono infatti restare molto contagiosi in modo prolungato e non saranno autorizzati.

Si ricorda che le definizioni di caso stretto della Circolare del Ministero della salute del 29 maggio 2020, sono le seguenti:

 una persona che vive nella stessa casa di un caso COVID-19;

 una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso COVID-19 (per esempio la stretta di mano);

 una persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso COVID19 (ad esempio toccare a mani nude fazzoletti di carta usati);

 una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di almeno 15 minuti;

 una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (ad esempio aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) con un caso COVID-19 in assenza di DPI idonei;

 un operatore sanitario o altra persona che fornisce assistenza diretta ad un caso COVID-19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso COVID-19 senza l’impiego dei DPI raccomandati o mediante l’utilizzo di DPI non idonei;

 una persona che ha viaggiato seduta in treno, aereo o qualsiasi altro mezzo di trasporto entro due posti in qualsiasi direzione rispetto a un caso COVID-19; sono contatti stretti anche i compagni di viaggio e il personale addetto alla sezione dell’aereo/treno dove il caso indice era seduto.

Normalmente quando l’autorità sanitaria contatta un positivo per effettuare la tracciabilità dei contatti chiede di riferire i contatti stretti avvenuti nelle ultime 48 ore.

Si ricorda che un ruolo fondamentale nella gestione dell’emergenza è quella del medico competente. Infatti ogni positività andrà comunicata al medico competente che dovrà effettuare eventuali comunicazioni agli organi competenti e dovrà poi gestire il rientro del lavoratore positivo (soprattutto in caso di ricovero).

Infine si ricorda l’importanza di effettuare la sanificazione come previsto dalla circolare 5443 del 22 febbraio 2020 [4] negli ambienti di lavoro ove l’addetto risultato positivo ha svolto la propria mansione e nelle zone comuni.

Dott. Matteo Fadenti

www.sicurgarda.com