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Il decreto ministeriale unico per la formazione HACCP6 min read

In diversi enti pubblici, ma non solo, anche in aziende private, essendo presente una mensa o un ristorante interno, spesso è necessario redigere un sistema di autocontrollo basato sui principi HACCP, che prevede tra le altre cose la formazione del personale addetto a trattare gli alimenti. L’aspetto dell’igiene alimentare peraltro è un obbligo per tutte le attività del settore alimentare, dai ristoranti alle aziende alimentari.

Il sistema HACCP, che nasce negli anni 60 come strumento della NASA utile a trasportare e conservare correttamente gli alimenti per gli astronauti nello spazio, viene adottato nel 1993 dal Codex Alimentarius (un insieme di regole e di direttive elaborate dalla Codex Alimentarius Commission, una Commissione istituita nel 1963 dalla FAO e dall’Organizzazione mondiale della sanità OMS), e ad oggi la sua applicazione è prevista nel REG CE 852/2004, regolamento facente parte del così detto “pacchetto igiene”. Una delle parti principali di questa normativa è quella relativa alla formazione degli operatori del settore alimentare. Tale formazione, che va a sostituire il libretto sanitario, deve essere improntata per fare in modo che l’operatore operi in modo igienicamente corretto e vada a prevenire la contaminazione, di tipo chimico, fisico e microbiologico, dell’alimento.

Al momento la formazione HACCP in Italia, è molto frammentata e spesso viene vista in modo confuso, poiché ogni regione legifera in materia. Questo fa si che non esistano dei corsi e delle modalità di svolgimento uniformi per tutto il paese, ma in ogni regione abbiamo un decreto, una deliberazione o una legge che va a stabilire: durata dei corsi, frequenza degli aggiornamenti, argomenti da trattare, requisiti dei docenti.

Tale frammentazione è molto marcata, infatti abbiamo regioni come la Lombardia, che non prevedono alcun vincolo relativo ai docenti o alla durata dei corsi, fino a regioni come la Liguria che prevedono 16 ore di corso per i responsabili dell’autocontrollo (che possono arrivare a 18 se nell’attività vi sono alimenti senza glutine) e dove sono previsti specifici requisiti per i docenti. Inoltre passiamo da regioni come il Veneto, dove il corso può essere tranquillamente organizzato in forma inter-aziendale a regioni come l’Emilia Romagna dove l’attestato può esser rilasciato solo dall’ASL.

Questa grande diversità reca sicuramente danno alle aziende che aprono in più regioni, nonché ai franchising o a quegli operatori che svolgono la propria attività sul territorio. Diventa quindi necessario uniformare tale aspetto, come peraltro è stato fatto per la sicurezza sul lavoro con gli Accordi Stato Regioni del 21/12/2011. Fortunatamente da un po’ di tempo gira in internet una bozza di Decreto Unico sulla Formazione in materia di igiene alimentare del Ministero della Salute, nello specifico un decreto che va a definire dei criteri uniformi per la formazione del personale adibito alla produzione, preparazione, confezionamento, manipolazione, trasporto, somministrazione e vendita di sostanze alimentari.

Visto il decreto legge 13 settembre 2012, n. 158 recante “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute” convertito, con modificazioni, nella legge 8 novembre 2012, n.189 ed, in particolare, l’articolo 8, comma 16 quater che dispone “ai fini dell’applicazione uniforme, su tutto il territorio nazionale, delle modalità di formazione, anche a distanza, del personale adibito  alla produzione, preparazione, confezionamento, manipolazione, trasporto, somministrazione e vendita di sostanze alimentari, il Ministro della salute, con decreto di natura non regolamentare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano definisce i criteri di tale formazione; visto anche quanto previsto dal REG CE 852/2004, anche in tema di semplificazione, la redazione di un tale decreto risulta quantomeno necessaria.

Se analizziamo quanto riportato nella bozza, salta subito all’occhio la divisione prevista delle attività, la stessa peraltro prevista al momento dalla regione Calabria. Le attività vengono divise in tre categorie: cat. A (aziende a rischio alto, ovvero attività di produzione e preparazione di alimenti deperibili, di alimenti non deperibili destinati ad un’alimentazione particolare e di pasti destinati alla ristorazione scolastica, ospedaliera ed assistenziale); cat. B (aziende a rischio medio, ovvero attività di produzione e preparazione di alimenti non deperibili; attività di sola somministrazione di alimenti; attività di trasporto e vendita di alimenti sfusi/confezionati che richiedono particolari temperature di conservazione); cat. C (aziende a rischio basso, ovvero: attività di trasporto e vendita di alimenti sfusi/confezionati che non richiedono particolari temperature di conservazione, compresi gli ortofrutticoli). La categoria a rischio basso, ovvero la C sarà esclusa dall’obbligo dell’effettuazione di corsi di formazione, come previsto dal decreto.

Successivamente vengono esplicati i criteri formativi, andando a prevedere anche la formazione a distanza FAD. Verranno specificati poi i contenuti minimi dei corsi, che vanno ovviamente dai rischi di contaminazione ai metodi di prevenzioni di tali contaminazioni, dall’aspetto normativo a quello puramente pratico-procedurale. Vengono inseriti poi dei requisiti per i docenti ben specifici, e questa è una grande novità, visto che in alcune regioni (come la Lombardia) tale corso può essere tenuto da qualunque figura professionale, che magari non ha nulla a che vedere con gli aspetti igienico-sanitari ed alimentari. I requisiti dei docenti comunque saranno similari a quelli già previsti da altre regioni come appunto la Calabria o la Liguria. La formazione potrà esser erogata direttamente sia da Regioni, Province e Asl, che da enti privati (sempre che i docenti rispettino i requisiti previsti).

Inoltre viene prevista e normata la formazione a distanza e una struttura ben definita per gli attestati rilasciati obbligatoriamente a termine della formazione. Sono previste delle lauree che esulano dal partecipare a tali corsi (lauree in ambito medico-sanitario ed alimentare), ed è previsto un aggiornamento obbligatorio diverso in base alla categoria di appartenenza, ogni 3 anni per la cat. A, ogni 5 per la cat. B.

Essendo solo al momento una bozza, diventa prematuro entrare troppo nello specifico dei contenuti, anche se sicuramente è apprezzabile quanto prodotto fino ad ora (sempre che non venga stravolto). L’aspetto migliore sta nel voler uniformare una formazione che riveste grande importanza nella tutela della salute del lavoratore e del consumatore in generale. Infatti se è vero l’aforisma di Ludwig Feuerbach che l’uomo è ciò che mangia (peraltro concetto sposato a pieno dall’OMS) è fondamentale che prima di tutto l’alimento sia sicuro, e per esserlo la formazione in materia di tutti quegli operatori che vengono a contatto con l’alimento, in tutte le sue fasi di produzione, riveste un ruolo chiave. Tale formazione peraltro non deve essere vista come un compartimento a se rispetto a quella relativa alla sicurezza sul lavoro, infatti molti aspetti vanno ad intrecciarsi, soprattutto nelle procedure di pulizia e sanificazione degli ambienti, procedura necessaria per tutelare l’alimento da possibili contaminazioni, ma che deve essere svolta in sicurezza per tutelare la salute dell’addetto. Inoltre spesso le misure igieniche tutelano anche l’operatore stesso, soprattutto da contaminazioni biologiche derivante da alimenti deteriorati. Si prospetta dunque che si vada sempre più nella direzione di creare una stretta sinergia tra la sicurezza sul lavoro e l’igiene degli alimenti.

dott. Matteo Fadenti – Sicurgarda snc (www.sicurgarda.com)