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La responsabilità penale d’impresa: applicazioni e sviluppi del decreto legislativo n. 231/20019 min read

1. Sono passati più di dieci anni dall’entrata in vigore del decreto legislativo 8 giugno 2001,n.231 [1], con il quale l’Italia ha ottemperato agli obblighi previsti dalla Convenzione OCSE del settembre 1997 sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali.

In questi due lustri molte sono state le sentenze pronunciate dai Giudici italiani che hanno da un lato contribuito ad aumentare la sensibilità delle aziende sul tema e dall’altro hanno interpretato aspetti poco chiari della normativa.

Il quadro giuridico che ne esce è caratterizzato ora da una ancora più ampia potenzialità della legge che nel corso degli anni, grazie ad interventi del Legislatore, ha visto estendere la responsabilità penale d’impresa anche alla commissione dei reati societari, di quelli connessi alla violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, di quelli di riciclaggio e finanziamento del terrorismo e da ultimo di quelli ambientali.

Leggi regionali e bandi d’appalto sempre più spesso indicano tra i requisiti che deve possedere l’azienda appaltatrice quello di essere dotato di un “modello organizzativo 231” e di un Organismo di vigilanza.

Le associazioni di categoria e i consigli di rappresentanza dei principali ordini professionali hanno emanato linee guida e codici di comportamento nei quali si parla di dotazioni e presidi ai sensi del D.Lgs. n. 231 [2]. Pare davvero, quindi, che il “modello 231” rappresenti oggi uno degli elementi o prerequisiti che deve possedere un’azienda per competere sul mercato domestico ed ancor più su quello internazionale dove esistono spesso regole ancor più ferree: un esempio per tutti è la legge inglese che dall’1 luglio 2011 ha previsto che le aziende (anche estere) che vogliono lavorare con imprese inglesi devono dotarsi di appositi modelli organizzativi anticorruzione.

Il Parlamento italiano ha provveduto a sua volta ad emanare importanti provvedimenti normativi destinati ad incidere ancor più sul settore della prevenzione dei reati in ambito d’impresa: infatti sono state emanate dal Governo Monti e dal Ministro Severino nuove norme con le quali viene introdotta una nuova disciplina in materia di corruzione, pubblica e privata, nonché nuove disposizioni concernenti la possibilità di ricorrere a certificazioni esterne in grado di accertare la conformità del modello 231 dell’azienda alle migliori prassi di mercato.

Con il D.Lgs. 231/01 [2] ha trovato ingresso nel nostro ordinamento il principio di diritto secondo cui anche le società, intendendo con tale termine sia gli enti dotati di personalità giuridica sia quelli privi di tale requisito, possono rispondere a titolo penale di un illecito.

Fino al 2001, infatti, il nostro ordinamento non ha mai posto in discussione il principio in base al quale “societas delinquere non potest” mentre, dall’entrata in vigore del summenzionato Decreto, la prospettiva è stata nettamente capovolta. Ciò significa che a fronte della commissione di uno o più illeciti tra quelli previsti dal Decreto in parola, sarà penalmente responsabile non soltanto il singolo individuo che ha materialmente posto in essere la condotta sanzionata, ma risponderà anche la Società nel cui interesse e vantaggio è stato realizzato l’illecito. Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 231/01 [2] ha, di fatto, assunto una nuova connotazione anche l’art. 27, primo comma, della Costituzione, a norma del quale: “la responsabilità penale è personale”. Fino al 2001, infatti, il concetto di “personale” era sempre stato pacificamente ricondotto alla persona fisica, all’autore materiale del reato. Con il Decreto in parola, invece, il termine “personale” è stato esteso anche alle persone non fisiche; come dice la normativa, “agli enti”.

Viene data sostanza, anche nell’ambito del diritto penale, alla fictio iuris della “persona giuridica”. A questo punto occorre domandarsi quali siano gli enti chiamati a rispondere delle violazioni di cui al Decreto in parola. Si tratta di tutti gli enti dotati di personalità giuridica e delle società ed associazioni anche prive di personalità giuridica, purchè organizzate in forma societaria. Da tale ambito restano esclusi: lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti pubblici non economici, gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale. La ratio dell’esclusione dall’ambito di applicazione del Decreto si rinviene nel fatto che lo Stato e gli Enti pubblici sopra indicati esistono e sono costituiti per dare soddisfazione ad interessi pubblici elevati a maggior rango, irrinunciabili ed incomprimibili, che vanno al di là della soddisfazione del singolo ed avranno come “mission” la tutela degli “interessi diffusi” della collettività.

2. Data tale premessa di ordine generale, utile a fornire il quadro di insieme entro il quale circoscrivere il ragionamento, è opportuno approfondire due tematiche di primaria importanza per comprendere davvero la portata della normativa in parola: quali sono i presupposti giuridici e di fatto necessari perché si configuri la responsabilità penale dell’ente e quali sono le fattispecie di reato che danno luogo alla potenziale contestazione da parte dell’Autorità Inquirente.

Sui presupposti di fatto e giuridici: affinchè l’ente possa essere chiamato a rispondere penalmente è, anzitutto, necessario che il reato in contestazione ricada tra quelli previsti dal Decreto di riferimento e, in secondo luogo, è necessario che la condotta illecita sanzionata sia stata posta in essere nell’interesse o a vantaggio dell’ente medesimo, “vantaggio” o “interesse” che debbono essere suscettibili di valutazione patrimoniale. A titolo puramente esemplificativo, non è sufficiente che sia stata realizzata una condotta sussumibile sotto la fattispecie del reato di corruzione, ma è altresì necessario che da tale corruzione sia derivato un vantaggio anche all’ente, vantaggio che può tradursi nella percezione di somme di denaro oppure l’aver raggiunto una miglior posizione rispetto ad un concorrente, in ragione dell’avvenuta corruzione di un pubblico funzionario. Entrando maggiormente nel dettaglio, sulla scia dell’esempio  riportato, è necessario passare in rassegna, almeno brevemente, i reati che possono dare luogo alla responsabilità penale dell’impresa.

L’”Elenco”, dal 2001 ad oggi, è andato incontro a numerose implementazioni; a seguito delle modifiche che si sono susseguite, oggi l’ente può essere chiamato a rispondere ai sensi del D.Lgs. 231/01 [2] quando viene posta in essere una o più delle seguenti condotte illecite (l’individuazione avviene qui per macro categorie): reati contro la Pubblica Amministrazione (es.corruzione, concussione, malversazione a danno dello Stato…..); reati contro la fede pubblica (falsità in monete, in carte di pubblico credito e valori in bollo) difficilmente ipotizzabili nel caso di società fiduciarie; reati societari (false comunicazioni sociali, illecita influenza sull’assemblea, formazione fittizia del capitale, illegale ripartizione degli utili e delle riserve…..); delitti contro la personalità dello Stato (associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico); market abuse (abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato) – introdotti con L. 62/05 [3]; reati transnazionali (associazione per delinquere, associazione di tipo mafioso,…. introdotti con L.146/06 [4]); reati commessi con violazione delle norme previste a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro (T.U. 81/08 [5]): omicidio colposo – lesioni colpose; reati di riciclaggio, ricettazione e impiego di beni e/o utilità di provenienza illecita ex D.Lgs. 231/07 [6]; delitti di criminalità organizzata; reati contro l’industria e il commercio; reati contro l’ambiente; reati commessi con violazione delle norme sul diritto d’autore.

A fronte della commissione di un illecito penale appartenente ad una delle categorie sopra elencate, la responsabilità penale dell’ente può essere contestata nel momento in cui il reato abbia procurato allo stesso un interesse o sia andato a suo vantaggio. Resta da considerare se il decreto individua anche i soggetti che devono porre in essere le suddette condotte per dare luogo alla sanzionabilità dell’ente.

L’art 5 del D.Lgs. 231/01 [2] prevede che, al fine dell’imputabilità, il reato presupposto debba essere commesso da: “persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa, dotata di autonomia finanziaria e funzionale” (si tratta dei cc.dd.soggetti in posizione apicale), oppure da “persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti in posizione apicale”. La delimitazione soggettiva è particolarmente rilevante dal momento che la società, laddove voglia andare esente da responsabilità penale ex D.Lgs. 231/01 [2], è chiamata a dimostrare di aver attuato tutte le misure preventive idonee ad evitare la commissione degli illeciti di cui al Decreto, senza tuttavia adottare provvedimenti così stringenti da paralizzare l’attività dell’ente stesso. In effetti, tutte le letture interpretative date al Decreto individuano il confine delle misure preventive nel c.d. rischio di impresa, che trova compiuta disciplina anche nel Codice Civile. La delimitazione soggettiva risponde di fatto proprio a questo scopo, cioè individuare con una certa precisione soltanto quei soggetti che scientemente agiscano contra legem al fine di procurare un vantaggio illecito alla società. Chiariti i profili secondo i quali il Legislatore ha inteso disciplinare la responsabilità penale delle imprese, va anche detto che è lo stesso Legislatore ad aver previsto una possibile causa di esclusione di responsabilità, quando ha introdotto (art. 6 D.Lgs. 231/01 [2]) la facoltà, per gli enti di dotarsi di Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo. Si tratta di un documento che l’ente adotta volontariamente (ad oggi non sussiste alcun obbligo di legge in tal senso) e che, in sintesi, è la fotografia istantanea dell’organizzazione e della struttura dell’ente medesimo. Il documento sarà il risultato di un’attività di indagine compiuta dalla Società, finalizzata a far emergere tutte le Aree e/o i processi aziendali a rischio (rispetto alla potenziale commissione di uno dei reati presupposti) e alla contestuale individuazione di procedure e protocolli preventivi utili a prevenire, sulla base di un indagine prognostica, la potenziale commissione di un illecito.

Qualora ad una società per azioni venga contestato il reato di truffa ai danni dello Stato (previsto dal D.Lgs. 231/01 [2] come presupposto) e l’ente dimostri di aver adottato ed attuato, prima della commissione del reato de quo, un modello di organizzazione, gestione e controllo, questi potrà far valere, avanti al Magistrato, una possibile causa di esclusione di responsabilità, sempreché sia in grado di dimostrare che la condotta illecita si è manifestata a seguito della dolosa elusione del Modello.

3. Tracciati i confini della materia, meritano approfondimento alcune recenti implementazioni, particolarmente rilevanti per l’impatto che possono avere nel mondo dell’impresa e, soprattutto, per le conseguenze sanzionatorie ad essi legate.

Nel 2007, con L. 123/2007 [7], il Decreto è stato aggiornato con reati di lesioni colpose e omicidio colposo derivati dall’inosservanza delle norme in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro.

Tale introduzione ha, di fatto, ampliato il novero dei destinatari del provvedimento in quanto, già con il previgente D.Lgs. 626/94, tutte le società, a prescindere da quale fosse la loro attività caratteristica, erano chiamate ad adeguarsi a precisi parametri di sicurezza per la migliore tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e degli ambienti di lavoro. Con L. 123/07 [8], oggi confluita nel T.U. 81/2008 [9], tutti gli enti che non si siano adeguati ai parametri richiesti dalla legge per la protezione e la sicurezza sul lavoro sono a rischio anche rispetto alla responsabilità disciplinata dal D.Lgs. 231/01 [2], qualora non siano in grado di dimostrare di aver adeguatamente investito per la salute e la sicurezza sia del luogo di lavoro, sia dei lavoratori stessi: in tal senso è ormai costante in tutto il territorio nazionale l’interpretazione della giurisprudenza di merito, con il giudizio “ex ante” del giudicante sulla idoneità del Modello di Organizzazione e controllo.