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La valutazione del rischio microclima negli uffici12 min read

Uno dei rischi, spesso sottovalutati, da considerare negli ambienti di lavoro indoor è il rischio legato al microclima.
E’ nell’ ambiente lavorativo che la maggior parte delle persone passa gran parte della propria giornata, è quindi fondamentale far sì che il microclima sia il migliore possibile per la salute di tutti, lavoratori e dirigenti, al fine di ridurre lo stress da lavoro correlato che potrebbe derivare anche da un ambiente insalubre. Inoltre avere un microclima adeguato è fra le norme da rispettare a proposito della prevenzione dei rischi ed è quindi un adempimento sulla sicurezza negli ambienti di lavoro al quale un’azienda deve assolvere per legge. Tra gli obblighi dell’azienda, vi è ad esempio quello di mantenere regolarmente un impianto di condizionamento in grado di regolare riscaldamento, ventilazione e tasso di umidità (tutti questi e altri valori sono definiti dalla legge vigente). Il comfort microclimatico è fondamentale in tutti gli ambienti di lavoro e nei luoghi aperti al pubblico.

Per ottenere situazioni di benessere microclimatico occorre garantire condizioni accettabili sia dal punto di vista delle grandezze termo-igro-anemometriche che caratterizzano il microclima, sia del livello di illuminazione, sia della qualità dell’aria. Un microclima confortevole è quello che suscita nella maggioranza degli individui una sensazione di soddisfazione per l’ambiente, identificata col termine “benessere termoigrometrico” o, semplicemente, “comfort”. I fattori microclimatici negli ambienti di lavoro unitamente all’intensità dell’impegno fisico svolto, e all’abbigliamento condizionano nell’uomo una serie di risposte biologiche graduate che vanno da sensazioni di benessere termoigrometrico a sensazioni di disagio (discomfort) a vero e proprio impegno termoregolatorio (sudorazione più o meno accentuata), a sindromi patologiche (stress da calore). Un rischio microclima, quale il discomfort, nasce tanto dalla percezione globale del corpo umano quanto da situazioni di disagio localizzate e può essere essenzialmente ricondotto a sensazioni di caldo, di freddo, di eccessive correnti d’aria o sbalzi termici.

Con il termine di microclima si intendono quei parametri ambientali che influenzano gli scambi termici tra soggetto e ambiente negli spazi confinati e che determinano il cosiddetto “benessere termico”.

Le grandezze fondamentali che entrano in gioco nel determinare il benessere termico dell’organismo umano sono: la temperatura dell’aria, l’umidità relativa, la ventilazione, il calore radiante, il dispendio energetico, la resistenza termica del vestiario. L’organismo umano, infatti, tende a mantenere il bilancio termico in condizioni di equilibrio in modo da mantenere la sua temperatura sui valori ottimali.

Le condizioni microclimatiche (temperatura, umidità, velocità dell’aria) rivestono particolare importanza in tutti i luoghi di lavoro. Il benessere da questo punto di vista, dipende sia dalle modalità con cui viene svolto il lavoro, sia dal luogo di lavoro in senso stretto (struttura edilizia, sistemi di riscaldamento e/o condizionamento) sia dal rapporto tra questi parametri e l’attività’ che in questi luoghi viene svolta (attività fisica del lavoratore, macchine e strumenti utilizzati, ecc.). I parametri ottimali variano in funzione della stagione.

Le condizioni microclimatiche negli uffici in genere non provocano ripercussioni immediate sulla salute. La letteratura della medicina del Lavoro, riporta il rischio, raro, ma da non sottovalutare, di una vera epidemia, denominata sick-building sindrome, che colpisce la maggioranza degli addetti in una determinata realtà lavorativa con sintomi non specifici, ma ripetuti, non riconducibili a uno specifico agente di rischio. Le manifestazioni più comuni sono l’irritazione delle vie aeree e degli occhi, irritazioni cutanee, disturbi nervosi come il mal di testa, la nausea, la sonnolenza, l’irritabilità’. Tale problematica, non è ovviamente da ricondurre esclusivamente al microclima inteso come umidità, temperatura e velocità dell’aria, ma anche alla qualità dell’aria stessa e alla presenza di sostanze inquinanti, prodotte all’ interno del luogo di lavoro (toner, formaldeide) o derivante dall’ esterno (CO, COV ecc). Quindi, strettamente collegato al problema del microclima, vi è quello della qualità dell’aria, ossia del suo ricambio nonché della presenza di inquinanti, come oltre a quelli appena citati, il fumo passivo. Inoltre il problema può anche presentarsi a causa di impianti di condizionamento mal tenuti, che possono causare malattie dovute alla presenza di microrganismi patogeni.

In queste situazioni possono verificarsi casi gravi di ipersuscettibilità (allergie) e bisogna tenere nel dovuto conto i rischi da agenti patogeni per la gravidanza e per dipendenti/ospiti immunodepressi. La cattiva qualità dell’aria e/o del microclima sono causa di situazioni poco confortevoli che possono rappresentare un ulteriore motivo di stress, specie in relazione ad altri fattori di rischio ampiamente presenti in queste situazioni (lavoro parcellizzato e poco creativo, richiesta di ritmi di lavoro eccessivo, conflittualità con i superiori, open space, ecc…). È importante quindi che la valutazione del rischio microclimatico negli ambienti di lavoro tenga conto di diversi fattori e sia esaustiva, comprendendo oltre che una corretta illuminazione anche la valutazione delle condizioni termiche e della qualità dell’aria. In generale si può parlare di comfort o per essere più precisi di benessere termo igrometrico dei lavoratori, utile parametro per la valutazione del rischio microclima.

Il rischio microclimatico inoltre rientra in una categoria di rischi definibile come “soggettiva” questo perché la sensazione di benessere o disagio in un luogo di lavoro può variare in base ai singoli soggetti e per questo risulta più difficile da gestire. Secondo quanto previsto dal D.Lgs. 81/08 s.m.i., è necessario garantire il benessere fisico e mentale dei propri dipendenti. Anche in questo caso è prevista la redazione di un Documento di valutazione del rischio microclimatico secondo quanto definito dall’art. 181 del D.Lgs. 81/08 e dalle Linee Guida ISPESL, UNI EN ISO 7730, UNI EN 27243, UNI EN ISO 11079. Il DVR sul rischio microclima deve essere redatto con scadenza triennale e aggiornato nel caso in cui si verifichino sostanziali cambiamenti ambientali o risulti necessario a seguito di sorveglianza sanitaria.

L’equazione del bilancio termico, la si può così semplificare:

M ± C ± R ± E = 0

Per M si intende l’energia metabolica che in un soggetto a riposo consiste nel cosiddetto metabolismo basale a cui si aggiunge il consumo energetico che si produce per effetto della specifica attività svolta.

Per C si intende la quantità di calore scambiata con l’esterno per convezione (contatto solido-liquido) e conduzione (contatto solido-solido). Lo scambio per conduzione è molto limitato, non superando il 3% dello scambio complessivo. I fattori che influenzano lo scambio per convezione sono la temperatura dell’aria ambiente, la velocità dell’aria e la resistenza termica del vestiario. I fattori che condizionano lo scambio per conduzione sono da riportare alla temperatura della superficie di scambio, all’estensione della superficie di contatto, alla resistenze termiche del vestiario e del corpo esterno; maggiore sarà la differenza tra temperatura dell’organismo e temperatura dell’aria o del corpo di contatto dell’organismo, maggiore sarà la quantità scambiata. Anche la velocità dell’aria ha notevole influenza poiché al suo incremento aumentano gli scambi termici. L’isolamento termico del vestiario viene espresso in Clo (Clothing) ed è funzione dello spessore dello stesso e non della qualità o del tipo di tessuto impiegato.

Per R si intende la quantità di calore scambiata per irraggiamento ed è funzione della temperatura radiante media e della temperatura cutanea del soggetto. Qualunque corpo che abbia una sua temperatura, diversa dallo zero assoluto, emette delle radiazioni elettromagnetiche chiamate energia radiante che possono essere trasmesse da un corpo all’altro se fra i due elementi vi è il vuoto oppure un mezzo in grado di condurre completamente o parzialmente queste radiazioni. La temperatura radiante viene misurata mediante un globotermometro.

Per E si intende l‘evaporazione, un processo molto rapido di dissipazione di energia, che induce un abbassamento della temperatura dell’organismo attraverso tre diversi meccanismi. Il primo meccanismo è la sudorazione; essa provoca una notevole dispersione di calore attraverso l’evaporazione del sudore (per un litro di sudore evaporato si ha la dispersione di 600 Kcalorie). Il secondo meccanismo è la “perspiratio insensibilis” cioè l’evaporazione dell’acqua contenuta nei tessuti cutanei. Il terzo meccanismo infine è l’evaporazione di acqua dagli alveoli polmonari. Per un soggetto a riposo in ambiente termico confortevole la cessione di calore per evaporazione avviene attraverso la perspiratio e attraverso gli alveoli polmonari. Durante sforzi fisici intensi in ambienti termici sfavorevoli la cessione di calore per evaporazione può essere anche 30 volte più alta di quella dovuta ai meccanismi precedenti.

Una situazione di benessere termico (comfort termico) prevede quindi un equilibrio tra la quantità di calore prodotta dall’organismo e la quantità di calore assunta dall’ambiente o ceduta all’ambiente attraverso i diversi meccanismi di termoregolazione citati precedentemente.

Allorchè il bilancio termico diventa positivo (o negativo) intervengono i meccanismi termoregolatori al fine di mantenere la temperatura entro i limiti compatibili con le proprie funzioni vitali. L’impegno esasperato di tali meccanismi (come si può verificare in particolari ambienti lavorativi in presenza di importanti fonti di calore) dà luogo ad una situazione di stress termico. L’insorgenza di questa situazione può preludere allo sviluppo di veri e propri processi patologici (ad esempio il colpo di calore) se l’esposizione non viene limitata nel tempo. Un impegno più modesto dei meccanismi di termoregolazione può invece dare luogo a sensazioni fastidiose dal punto di vista termoigrometrico che determinano situazioni di discomfort termico (sensazione di caldo o molto caldo), nella genesi delle quali la sensibilità soggettiva investe sempre un ruolo importante. Spesso le condizioni di lavoro in un ufficio di un ente pubblico o di una azienda, non sono così estreme da portare il datore di lavoro ad effettuare una valutazione specifica e approfondita del rischio microclima, però in questo caso è comunque utile valutare il comfort termico. Questo viene definito dalla ASHRAE (American Society of Heating, Refrigerating and Air Conditioning Engineers) come una condizione di benessere psicofisico dell’individuo rispetto all’ambiente in cui vive e opera. La valutazione di tale stato soggettivo può essere oggettivata e quantificata mediante l’utilizzo di indici integrati che tengono conto sia dei parametri microclimatici ambientali, sia del dispendio energetico (dispendio metabolico MET) connesso all’attività lavorativa, sia della tipologia di abbigliamento (isolamento termico CLO) comunemente utilizzato. Tra gli indici quello che con maggiore precisione rispecchia l’influenza delle variabili fisiche e fisiologiche sopracitate sul comfort termico è il PMV (Predicted Mean Vote [1]) [1]. Esso deriva dall’equazione del bilancio termico il cui risultato viene rapportato ad una scala di benessere psicofisico ed esprime il parere medio (voto medio previsto) sulle sensazioni termiche di un campione di soggetti allocati nel medesimo ambiente. Dal PMV è derivato un secondo indice denominato PPD (Predicted Percentage of Dissatisfied) [1]che quantifica percentualmente i soggetti comunque “insoddisfatti” in rapporto a determinate condizioni microclimatiche. Il PMV risulta un indice particolarmente adatto alla valutazione di ambienti lavorativi a microclima moderato, quali comuni, scuole, uffici, laboratori di ricerca, ospedali, ecc; esso è utile nel rilevare anche limitati gradi di disagio termico nei residenti in tali ambienti. Lo stato di comfort termico si raggiunge per valori di PMV compresi tra + 0,5 e – 0,5, cui corrisponde una percentuale di insoddisfatti delle condizioni termiche (PPD) inferiore al 10%. Di seguito si riporta uno schema derivante dalla Norma Europea UNI EN ISO 7730, per il calcolo del comfort termico. L’indice PMV permette di determinare analiticamente la sensazione termica globale prevista, intesa come sensazione media di un gruppo composto da individui in buona salute, esposti in ambienti termici moderati. Può assumere valori compresi nell’ intervallo [−3,+3], dando luogo ad una scala di sensazione termica a sette punti riportata nella Tabella 1.1.

Tabella 1.1.

PMV SENSAZIONE TERMICA
+3 Molto caldo
+2 Caldo
+1 Abbastanza caldo
0 Né caldo né freddo
-1 Abbastanza freddo
-2 Freddo
-3 Molto freddo

Il PMV è basato sul bilancio di energia termica del corpo umano, che è verificato quando la produzione interna di energia termica eguaglia la quantità di quella ceduta all’ ambiente. Essendo il PMV la previsione di un voto medio, anche quando assume valori prossimi a zero ci saranno comunque individui insoddisfatti: la percentuale prevista di insoddisfatti è appunto fornita dall’indice PPD, che per un valore del PMV pari a zero vale 5%. Di solito le condizioni termiche si considerano accettabili se il PMV assume valori nell’intervallo [−0.5, 0.5]; agli estremi di questo intervallo la percentuale di insoddisfatti è del 10%.

Per avere comfort termico, basandosi sugli indici PMV e PPD, è quindi sufficiente garantire che il PMV rimanga nell’ intervallo [−0.5, 0.5]. In caso il risultato dell’equazione del comfort termico sia al di fuori dei limiti previsti (quindi superiori a 0,5 e inferiori a -0,5) il datore di lavoro, insieme all’RSPP e al medico competente, dovrà provvedere ad intraprendere delle misure correttive per raggiungere l’intervallo ottimale di comfort termico.

Le misure correttive che si possono attuare in caso di discomfort termico provocato da temperature elevate, quindi con valori superiori a 0,5 sono:

  • Alleggerimento del vestiario in dotazione al lavoratore privilegiando indumenti traspiranti;
  • Consentire una corretta e puntuale idratazione ai lavoratori, fornendo liquidi (acqua o bevande isotoniche);
  • Nei locali interni installare, eventualmente, sistemi di ventilazione;
  • Intervenire a livello strutturale sulla conformazione fisica del luogo di lavoro;
  • Agire sulla turnazione di lavoro.

Le misure correttive che si possono attuare in caso di discomfort termico provocato da temperature basse, quindi con valori inferiori a -0,5 sono:

  • Fornire vestiario che permetta di trattenere maggiormente il calore corporeo quindi la perdita dello stesso;
  • Nei locali interni installare o potenziare i sistemi di riscaldamento;
  • Fornire, eventualmente, bevande calde ai lavoratori;
  • Utilizzare tutti i DPI forniti;
  • Intervenire a livello strutturale sulla conformazione fisica del luogo di lavoro;
  • Agire sulla turnazione di lavoro.

Per quanto riguarda il discomfort termico provocato dall’ umidità, le misure correttive che si possono attuare sono:

  • Diminuzione dell’esposizione dei lavoratori (soprattutto quelli con problematiche osteo-articolari);
  • Intervenire a livello strutturale sulla conformazione fisica del luogo di lavoro;
  • Dove possibile, installare impianti di deumidificazione per rendere più confortevole l’ambiente lavorativo.

Si ricorda infine che vanno affrontati e prevenuti anche i rischi concomitanti, come quelli dell’inquinamento indoor e dell’illuminazione. Le misure più comuni che permettono di eliminare o attenuare tali problematiche, potrebbero essere:

  • la manutenzione programmata degli impianti di condizionamento e aerazione che curi in particolare: la pulizia dei condotti dell’aria e la verifica periodica delle loro condizioni mediante ispezioni visive e fotografiche; misure di prevenzione della contaminazione da organismi patogeni e controlli periodici della loro presenza ed eventuale azione di eliminazione,
  • la modifica dei sistemi di diffusione e ripresa dell’aria per eliminare correnti fastidiose e per garantire un ricambio dell’aria efficiente,
  • la modifica del punto di presa dell’aria esterna quando si possono verificare inquinamenti dall’esterno,
  • l’utilizzo di mobili e arredi di qualità, che non contengano formaldeide,
  • l’adozione di adeguate schermature alle finestre (veneziane regolabili), che possono tra l’altro risolvere alcuni problemi di corretta illuminazione.

Le misure di bonifica, anche realizzate con una corretta manutenzione, sono da evidenziare nel documento di valutazione dei rischi, unitamente alle scadenze che devono essere rispettate. Si ricorda infine che con l’avvento dell’inverno, negli uffici il range di temperatura da tenere, previsto dalle linee guida dell’ISPESL (ora INAIL) va dai 18 ai 22 °C (la temperatura ottimale comunque è di 20 °C con un range di + o – 2 °C). Questo parametro deve essere rispettato con l’obiettivo di: mantenere il comfort microclimatico dei lavoratori, e rispettare l’ambiente, riducendo i consumi e quindi il consumo di energia e materie prime.