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Costituzione e sicurezza sul lavoro3 min read

In questi ultimi anni si è intensificato un ampio dibattito politico e dottrinale sulla attualità della nostra Costituzione.

Secondo alcuni essa sarebbe superata e ormai logora dopo oltre 65 anni dalla sua entrata in vigore e dovrebbe essere integrata, modificata e modernizzata in molte sue parti. Al contrario, altri la ritengono ancora attuale e la considerano un sicuro presidio delle libertà fondamentali e dei diritti. Tale affermazione di principio trova riscontro proprio nel campo della sicurezza sul lavoro, nel quale la carta costituzionale [1] persegue la tutela della salute, obiettivo primario che considera perfettamente conciliabile con le esigenze della produzione e delle imprese. Tralasciando il dibattito sulla riforma del Titolo quinto, sulla forma di governo e sulla organizzazione dello Stato con i relativi rapporti con gli Enti territoriali, occorre rilevare a chiare lettere che le altre parti della Costituzione appaiono non solo valide ma attuali e modernissime.

La prima parte prevede e tutela al massimo livello i fondamentali diritti di libertà, dignità, uguaglianza contro ogni discriminazione: anche nei luoghi di lavoro deve essere valorizzata e protetta la persona umana del lavoratore, al quale sono riconosciuti diritti soggettivi perfetti tutelabili contro ogni tipo di violazione e prevaricazione, tra i quali rientra certamente il diritto alla salute e alla sicurezza. A norma dell’art.2 [1], che regge anche gli articoli 3 e 4 [1], anche i luoghi di lavoro sono formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità umana e dove devono venire adempiuti doveri inderogabili di solidarietà. A sua volta l’art.1 ha sepolto una volta per tutte i privilegi sociali dello Stato monarchico, cioè dello Stato “feudatario” dei baroni e dei padroni che davano del tu agli umili: l’unico titolo di dignità è il lavoro, come scrisse Costantino Mortati.

 La norma costituzionale che maggiormente esprime e dimostra la attualità della vigente Costituzione è l’art.41 [1], secondo il quale l’iniziativa economica privata è libera, ma non deve svolgersi con danno per la sicurezza, la libertà e la dignità umana: la vicenda complessa e spinosa dell’ILVA di Taranto appare significativa e dimostra che la Costituzione indica la strada maestra per conciliare le esigenze della produzione, con il dovuto ruolo ai poteri organizzativi e gestionali del datore di lavoro, con il diritto alla salute dei cittadini e dei lavoratori, in un sistema lavorativo e organizzativo che non può e non deve prescindere dalle esigenze di sicurezza per tutti i soggetti coinvolti. Ricordiamo che anche il diritto alla salute viene previsto e tutelato dalla Costituzione all’art.32 [1] quale diritto fondamentale di rango costituzionale.

 La vigente Carta costituzionale, quindi, contiene anche nel campo della sicurezza sul lavoro principi giuridici cardine, fondamentali, in grado di orientare e guidare uno sviluppo ordinato, leale e a misura d’uomo delle attività lavorative e produttive, conciliando gli interessi del capitale, della produzione e delle Aziende con gli interessi dei lavoratori e dei cittadini tutti. Anche nel campo della sicurezza i padri costituenti, e più precisamente la Commissione dei 75 costituita da veri esperti molti dei quali avvocati o professori universitari di materie giuridiche, seppero esprimere compiutamente e conciliare per il supremo interesse generale dell’Italia le tre anime storicamente formatesi del popolo italiano: l’anima liberale, l’anima cattolica, l’anima socialista.

La Corte Costituzionale ha avuto occasione più volte di occuparsi della tutela del lavoro e della sicurezza sul lavoro: anzitutto, ha più volte affermato il principio che si tratta di materie a competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni a norma dell’art.117 [1] (ad esempio la sentenza n. 221 del 4/10 ottobre 2012 e la fondamentale sentenza n. 50 del 13/28 gennaio 2005).

In relazione al vigente Testo Unico Sicurezza n. 81/2008 [2], la Consulta ha avuto occasione di affermare l’importante principio che i provvedimenti concernenti le Aziende, restrittivi della loro sfera giuridica ed emessi in connessione con reati presupposto di natura colposa in materia di sicurezza sul lavoro a norma del D.Lgs n. 231/2001 [3], devono obbligatoriamente essere motivati; nella fattispecie, la Corte si è pronunciata sull’art. 14, comma 1, del T.U. n. 81/2008 [2] stabilendo che per i provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale sussiste l’obbligo di motivazione previsto dall’art. 3, comma 1, della Legge 7 agosto 1990 n. 241 [4].