Quando più autorità pubbliche, nella loro veste di amministrazioni aggiudicatrici, istituiscono in comune un’entità per lo svolgimento di un servizio pubblico, oppure quando un’autorità pubblica aderisce a una siffatta entità, la condizione enunciata dalla giurisprudenza europea, secondo cui tali amministrazioni, per essere dispensate dall’obbligo di avviare una procedura ad evidenza pubblica, debbono esercitare congiuntamente, sull’organismo medesimo, un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, è soddisfatta qualora ciascuna delle autorità partecipi sia al capitale sia agli organi direttivi dell’entità suddetta.

Corte di giustizia dell’Unione Europea, sezione terza, sentenza 29 novembre 2012, C-182/11, Pres. Silva de Lapuerta, Rel. Juhász.

Commento: La Corte di giustizia dell’Unione Europea, si esprime sui presupposti per l’applicabilità dell’istituto eccezionale dell’affidamento diretto, cosiddetto “in house”, di un servizio di interesse pubblico [1], da parte di un ente locale, ad una società pubblica, della quale detto ente detiene una partecipazione solo simbolica.

Il Consiglio di Stato, giudice del rinvio, solleva le proprie perplessità riguardo alla compatibilità con il diritto comunitario di un regime nel quale, in presenza di specifiche circostanze, si può soprassedere allo svolgimento di una procedura di gara.

Il casoI Comuni lombardi di Cagno e Solbiate optano per la gestione coordinata con altri Comuni del servizio di eliminazione dei rifiuti solidi urbani, ai sensi degli articoli 30 e 113, co. 5, lett. c), del D.Lgs. n. 267/2000. Allo scopo, approvano una convenzione con il Comune di Varese per l’affidamento, a titolo oneroso, del servizio di igiene urbana, alla società Aspem Spa, cui aderiscono, in qualità di azionisti pubblici, attraverso l’acquisizione di un’azione ciascuno.

La società è stata costituita “in house” dal  Comune di Varese, per la gestione del suddetto servizio; nella stessa il Comune capoluogo conserva un peso preponderante e una capacità decisionale manifestamente egemonica.

Parallelamente all’acquisizione delle partecipazioni, Cagno e Solbiate sottoscrivono un patto parasociale tra azionisti, nel quale si riconosce loro il diritto di essere consultati; di nominare un membro del collegio sindacale; e di designare, in accordo con gli altri partecipanti, un consigliere di amministrazione.

I due Comuni affidano quindi “in house providing” il servizio di igiene urbana alla Aspem Spa.

Altra società concorrente propone ricorso in ordine alla regolarità dell’assegnazione, per carenza di una procedura ad evidenza pubblica [2]: l’esigua partecipazione di Cagno e Solbiate al capitale sociale dell’affidataria, violerebbe il principio di matrice comunitaria del “controllo analogo”.

I giudici di Palazzo Spada, investiti della richiesta di parere, riprendono alcuni dei principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia sugli affidamenti “in house” [3]. In particolare:

1) con la pronuncia Teckal del 1999, la CGUE esprimeva un primo orientamento secondo cui un appalto pubblico può essere affidato direttamente, anche a favore di un soggetto formalmente e giuridicamente distinto dall’amministrazione aggiudicatrice, nel caso in cui, contemporaneamente:

a) l’ente locale eserciti su questo un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e

b) tale soggetto realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti che lo controllano [4];

2) in un secondo momento, con la sentenza Parking Brixen del 2005, la Corte manifestava un atteggiamento più restrittivo, affermando che l’esistenza del «controllo analogo» è subordinata al rispetto di stringenti vincoli e diversi indicatori [5];

3) nella più recente giurisprudenza, la CGUE tornava a mitigare le condizioni da soddisfare per il riconoscimento della sussistenza dell’esercizio di un «controllo analogo” [6].

Il giudice italiano osserva, tuttavia, che il controllo esercitato da Cagno e Solbiate sulla Aspem Spa, a differenza di quello esercitato dal Comune di Varese, non si traduce in un controllo “pieno”. Peraltro, l’acquisizione di una sola azione e la conclusione di un patto parasociale “debole”, non costituirebbero dei mezzi idonei per influire sulle decisioni della società. Non vi sarebbe qui alcun controllo congiunto effettivo.

Ciò nonostante, alla luce della più recente giurisprudenza della Corte UE, la situazione individuale di ogni ente pubblico partecipante alla società, singolarmente considerato, non sarebbe rilevante per l’esercizio del controllo.

Nell’incertezza sull’interpretazione delle pronunce comunitarie, il Consiglio di Stato sospende la formulazione del parere e sottopone alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, la seguente questione pregiudiziale: “Se il principio del’irrilevanza della situazione del singolo ente pubblico partecipante alla società strumentale debba applicarsi anche nel caso in cui (…) uno dei Comuni associati possegga una sola azione della società strumentale ed gli atti parasociali intercorsi fra enti pubblici non siano idonei a dare alcun controllo effettivo della società al Comune partecipante, sicché la partecipazione societaria possa considerarsi solo la veste formale di un contratto di prestazione di servizi”.

In sostanza, la Corte di giustizia viene chiamata a:

a) chiarire la propria giurisprudenza sul controllo congiunto da parte di più enti pubblici su un’entità affidataria, posseduta in comune, specificando le condizioni per cui può risultare legittimo che ciascuno degli enti minori ricorra all’opzione “in house”;

b) precisare i presupposti in presenza dei quali può ritenersi che tali enti esercitino sulla società strumentale un “controllo analogo” a quello da essi esercitato sui propri servizi.

La Corte sottolinea che, se una pluralità di enti pubblici ricorrono ad un’entità comune, per adempiere ad un compito di servizio pubblico, non è necessario che ciascuno di essi possieda, da solo, un potere di controllo individuale sulla società. Per contro, quest’ultima non può essere sottoposta unicamente al potere di controllo dell’ente pubblico socio di maggioranza, perché, che se così fosse, il significato della nozione di controllo congiunto ne uscirebbe svilito.

Un ente locale può dunque affidare un servizio pubblico “in house”, ad un’entità a capitale interamente pubblico, da esso partecipata con una quota minoritaria, a condizione che:

  1. il controllo sull’affidataria venga esercitato congiuntamente dalle autorità pubbliche;
  2. l’amministrazione aggiudicatrice sia in grado, nonostante la quota irrisoria di capitale sociale detenuta, di influenzare la predetta società in modo determinante, sia nella fissazione degli obiettivi strategici che nell’assunzione delle decisioni fondamentali.

L’affidamento “in house” sarà pertanto possibile se l’ente pubblico, socio di minoranza, ha un significativo potere di condizionamento sulle decisioni dell’organo di governance della società ed esercita sull’operato di questo un significativo controllo. Quindi, laddove il Comune partecipi sia al capitale che agli organi direttivi della società che gestisce un servizio pubblico, questa condizione è soddisfatta, ed è possibile procedere all’affidamento diretto senza gara.

La Corte ravvisa tuttavia un rischio di elusione delle norme comunitarie in materia di appalti e concessioni di servizi, nei casi di presenza puramente formale di un ente, socio di minoranza, nella compagine societaria o in un organo comune, preposto alla direzione, in quanto la stessa dispenserebbe l’autorità pubblica dall’obbligo di avviare una procedura ad evidenza pubblica in conformità al diritto comunitario.

Ai sensi dell’art. 267 TFUE la CGUE, rimette la valutazione del caso al giudice nazionale, al quale spetta in concreto valutare se la sottoscrizione del patto parasociale (che conferisce ai due Comuni il diritto di essere consultati, di nominare un membro del collegio sindacale e di designare un consigliere del Cda della società Aspem Spa), metta Cagno e Solbiate nelle condizioni di contribuire effettivamente al controllo della società.

Stefania Fabris*

*Responsabile servizio affari generali di ente locale

CGUE causa C182_11


[1] In tema di servizi pubblici locali si rileva la piena applicabilità nell’ordinamento italiano dei principi europei sull’affidamento “in house” a seguito dell’illegittimità della disciplina nazionale (articolo 4, D.L. n. 138/2011, convertito in Legge n. 148/2011) sancita ad opera della sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012.

[2] In particolare la concorrente Econord Spa presenta ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, per l’annullamento delle deliberazioni con cui i Consigli comunali di Cagno e Solbiate, dapprima, approvano la convenzione col Comune di Varese per la gestione coordinata del servizio da parte della Aspem Spa e, in seguito, si pronunciano per l’acquisto di un’azione ciascuno.

[3] Sulla base della pronuncia Eurawasser (C-206/08), il Consiglio di Stato, pur se nell’esercizio delle sue funzioni consultive, può essere considerato, in simili casi, come organo giurisdizionale ai sensi dell’articolo 267 TFUE. Il supremo giudice può quindi avvalersi del cosiddetto “rinvio pregiudiziale”, quale strumento previsto dai Trattati per dar modo ai giudici nazionali di domandare alla Corte l’interpretazione del diritto comunitario, primario e derivato, al fine di risolvere le controversie di cui vengono investiti.

[4] Dei presupposti consacrati nella sentenza Teckal, il Consiglio di Stato sottolinea che, nel procedimento in esame, rileva unicamente quello relativo all’esercizio del “controllo analogo”.

[5] Secondo la CGUE la valutazione sulla sussistenza del “controllo analogo” deve tener conto di tutte le disposizioni normative e delle circostanze pertinenti. In particolare, l’ente concessionario dev’essere sottoposto ad un controllo che consente all’autorità pubblica concedente di influenzarne in modo determinante decisioni e obiettivi strategici.

[6] Sentenze Asemfo (C-295/05); Commissione/Italia (C-371/05), e Coditel Brabant (C-324/07).


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