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La gestione dei servizi pubblici in precedenza affidati a società controllate dichiarate fallite5 min read

Il divieto del TUSP ha ad oggetto la costituzione di nuove società, l’acquisizione di partecipazioni societarie e il loro mantenimento, ma non comprende le altre possibili forme di gestione di un servizio pubblico

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 5444 del 31 luglio 2019 [1]presidente Caringella, relatore Di Matteo

A margine

Un comune costituisce una società mista, a prevalente capitale pubblico, per la gestione dei servizi pubblici di igiene e bonifica ambientale.

Nel 2016 la società viene posta in liquidazione e, in seguito, viene dichiarata fallita.

Nel frattempo, il Comune stabilisce di affidare il servizio mediante procedura di gara, a cui partecipa una ditta privata in costituendo A.t.i. con altra azienda.

Nel 2017 la procedura di gara viene, tuttavia, annullata, per violazione del principio di apertura alla massima concorrenza tra gli operatori economici.

Nello stesso anno, l’ente locale procede quindi a costituire un’azienda speciale per la gestione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti; detta azienda speciale acquisisce il ramo di azienda per lo svolgimento dei servizi di igiene ambientale già in capo alla società dichiarata fallita.

La ditta che aveva presentato la propria offerta in sede di gara impugna la delibera di costituzione dell’azienda, unitamente al provvedimento di annullamento della procedura.

In appello, il Consiglio di Stato accoglie il ricorso (sentenza Sez. V, 14 marzo 2019, n. 1687 [2]) e, in riforma della sentenza di primo grado, riconosce l’illegittimità della determinazione dirigenziale di annullamento in autotutela degli atti di gara per avere il Comune violato le regole del giusto procedimento di cui agli artt. 7 e ss. della L. n. 241/1990 [3].

Il Comune, infatti, aveva sì comunicato l’avvio del procedimento, ma non aveva permesso ai concorrenti di interloquire in alcun modo; né aveva precisato di ritenere che il loro contributo non avrebbe impresso sorte diversa alla procedura.

La ditta propone comunque un nuovo ricorso al Consiglio di Stato, per revocazione della sentenza di appello, per via della mancata pronuncia sull’invalidità derivata della delibera del Consiglio comunale di costituzione dell’Azienda speciale e di affidamento a questa del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti.

A parere della ricorrente il Comune avrebbe, infatti, violato il divieto di cui all’art. 14, co. 6, del d.lgs. n. 175/2016 [4], secondo cui “Nei cinque anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti, le pubbliche amministrazioni controllanti non possono costituire nuove società, né acquisire o mantenere partecipazioni in società, qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita”.

In sostanza, l’Amministrazione non avrebbe potuto ri-affidare il servizio alla neo costituita azienda speciale, ma avrebbe dovuto dismettere la veste di imprenditore pubblico procedendo ad esternalizzarlo. Contrariamente a ciò, con lo strumento dell’azienda speciale, a cui è stato ceduto il ramo della società fallita, ivi compresi i dipendenti, il Comune continuerebbe invece ad operare quale imprenditore in elusione del TUSP [4].

La sentenza – Il Consiglio di Stato ritiene infondato il motivo del ricorso.

Diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, la pubblica amministrazione può, infatti, continuare a gestire un servizio pubblico, in precedenza affidato a società dichiarata fallita, mediante la costituzione di un’azienda speciale o comunque attraverso forme di gestione diverse dalla società, come pure può decidere di rivolgersi al mercato con una procedura di gara.

Il divieto in parola ha, invero, ad oggetto la costituzione di nuove società, l’acquisizione di partecipazioni societarie e il loro mantenimento, e non comprende le altre possibili forme di gestione di un servizio pubblico.

In questo senso, le espressioni utilizzate dal legislatore nel TUSP [4] portano a concludere che il divieto non possa essere esteso a casi diversi da quello cui espressamente si riferisce, neppure attraverso l’interpretazione analogica, trattandosi di norma derogatoria dell’ordinaria capacità d’agire delle amministrazioni pubbliche.

A conferma di ciò rileva l’impossibilità di assimilare l’azienda speciale di cui all’art. 114 del Tuel [5] alla società a partecipazione pubblica (cfr. sul punto, Cass. civ., Sez. Unite, 9 agosto 2018, n. 20684 [6]). La prima infatti:

a) è, per natura, un ente pubblico appartenente alla categoria degli “enti strumentali”, laddove, invece, la società, pur se a partecipazione pubblica, è soggetto privato (ovvero, un soggetto pubblico in forma privatistica);

b) ha una struttura differente da quella che caratterizza il modello societario (consiglio di amministrazione, presidente, direttore e collegio dei revisori, in luogo di amministratore unico o consiglio di amministrazione e assemblea della società);

c) è sottoposta ad uno specifico regime giuridico per quanto riguarda gli atti e i provvedimenti assunti, i beni in dotazione, le assunzioni del personale, la responsabilità amministrativa e contabile degli amministratori;

d) al pari della società a partecipazione pubblica, è dotata di autonomia organizzativa ed imprenditoriale ma l’ente locale di riferimento esercita su di essa un penetrante potere di indirizzo e vigilanza, che si traduce anche nella nomina degli organi e, specialmente, nel potere di approvazione di tutti gli atti fondamentali.

L’attività dell’azienda speciale è quindi diretta e orientata dall’ente controllante in un rapporto assimilabile a quello che l’ente ha con un proprio organo e rappresenta, pertanto, un’“amministrazione parallela”, ovvero una struttura inquadrata organicamente nella più ampia organizzazione pubblicistica dell’ente pubblico (così, Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 2017, n. 4435 [7]; Cons. Stato, sez. III, 10 aprile 2015, n. 1842 [8]; sez. V, 20 febbraio 2014, n. 820 [9]).

Conclusioni – Al fine di un miglior investimento delle risorse pubbliche, il divieto posto dall’art. 14, co. 6, del TUSP [4], non va inteso quale obbligo/sanzione per l’amministrazione pubblica di dismettere temporaneamente la veste di imprenditore pubblico, ma quale obbligo di ricorrere a modalità di gestione del servizio pubblico diverse dalla società a partecipazione pubblica.

Il Comune non ha quindi violato le regole del TUSP [4] per aver costituito un’azienda speciale per la gestione del servizio di igiene urbana, né le ha eluse per avere l’azienda acquisito il ramo già in titolarità della società partecipata dichiarata fallita.

Questo perché l’azienda speciale si differenza dalla società a partecipazione pubblica non tanto per la natura della propria attività, che consiste pur sempre nella produzione in forma imprenditoriale di beni e servizi, ma per una condizione di più organico collegamento all’ente locale.

Stefania Fabris