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Partecipate, nuove disposizioni dalla Legge di Stabilità7 min read

La Legge di Stabilità per il 2015 (L. 23.12.2014, n° 190 [1]) torna sul tema delle “partecipate” per chiedere agli enti ed alle amministrazioni pubbliche un ulteriore sforzo di razionalizzazione, anche sulla base dei contenuti dell’apposito “piano” predisposto nel mese di agosto 2014 dal Commissario Straordinario per la revisione della spesa.

Il compito di provvedere alla redazione di tale piano era stato assegnato con la L. 23.06.2014, n° 89 [2], secondo la quale attraverso tale strumento (non soltanto per le società ma altresì per le aziende speciali e le istituzioni) dovevano essere individuate apposite misure:

  1. per la liquidazione o trasformazione per fusione o incorporazione degli organismi sopra indicati, in funzione delle dimensioni e degli ambiti ottimali per lo svolgimento delle rispettive attività;
  2. per l’efficientamento della loro gestione, anche attraverso la comparazione con altri operatori che operano a livello nazionale e internazionale;
  3.  per la cessione di rami d’azienda o anche di personale ad altre società anche a capitale privato con il trasferimento di funzioni e attività di servizi.

A livello programmatico, la stessa disposizione “preannunciava” che tali indicazioni sarebbero state rese operative e vincolanti per gli enti locali, anche ai fini di una sua traduzione nel patto di stabilità e crescita interno, nel disegno di legge di Stabilità 2015.

Operando consequenzialmente la L. 23.12.2014, n° 190 ha così introdotto la corrispondente disciplina normativa, anche per tradurre in modo “cogente” le indicazioni rivenienti dal cd. “Piano Cottarelli”, chiedendo alle amministrazioni interessate di avviare un percorso scadenzato di razionalizzazione.

Tra i contenuti della L. 23.06.2014, n° 89 e della L. 23.12.2014, n° 190 (contenente la Legge di Stabilità) si registrano, tuttavia, importanti differenze dal punto di vista soggettivo tanto in relazione alle amministrazioni pubbliche che devono provvedere quanto in relazione agli enti ed organismi strumentali su cui intervenire.

Rispetto alla prima questione, va evidenziato come nella norma iniziale si facesse riferimento alle “amministrazioni locali”, mentre nella disposizione per il 2015 il perimetro è fortemente esteso. Infatti, vi sono ricomprese “le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti locali, le camere di commercio,  industria, artigianato e agricoltura, le università e gli istituti di istruzione universitaria pubblici e le autorità portuali

Rispetto alla seconda questione, invece, va rilevato come la disposizione iniziale fosse destinata non solo alle società partecipate, anche indirettamente, bensì pure alle istituzioni ed aziende speciali, mentre la disposizione l’attuale esclusivamente alle società ed alle partecipazioni societarie.

Inoltre, con specifico riguardo alle realtà societarie, la manovra estiva contemplava le fattispecie controllate mentre la Legge di Stabilità 2015 si occupa non solo delle controllate ma altresì delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute da amministrazioni pubbliche, non necessariamente con una posizione di controllo.

Di conseguenza, nell’ipotesi di partecipazione di più enti nella medesima realtà societaria sembra necessario ipotizzare una condivisione ed un confronto (tra le diverse amministrazioni pubbliche) in ordine alle scelte di razionalizzazione che si ritiene di adottare, in quanto caratterizzate da migliori condizioni di efficacia.

Il percorso da porre in essere ha un obiettivo generale ed un obiettivo specifico: il primo è legato (in senso ampio) al coordinamento della finanza pubblica, al contenimento della spesa, al buon andamento dell’azione amministrativa ed alla tutela della concorrenza e del mercato; il secondo è legato, sulla base di un’esplicita puntualizzazione, alla riduzione della numerosità dei soggetti partecipati ed è da realizzare entro il 31 dicembre 2015.

La disciplina recata individua in modo analitico quali sono gli ambiti di intervento e le direttrici per giungere al perseguimento degli obiettivi ricercati, tanto generali quanto specifici.

Essi, in particolare, sono riepilogati in cinque punti significativi, che si riconducono ad alcune rilevanti criticità caratterizzanti il funzionamento e la gestione delle società partecipate, rappresentati dai seguenti:

a) eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione: si tratta di un fondamentale richiamo ai vincoli rispetto alla detenzione di partecipazioni introdotti dall’art. 3, comma 29, della L. 24.12.2007, n° 244 [3] e che, nella Legge di Stabilità 2014 ha visto un nuovo strumento (speciale) di attuazione alla luce di quanto stabilito dall’art. 1, comma 569, della L. 27.12.2013, n° 147 [4];

b) soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti: la condizione rappresentata si collega ad una logica dimensionale, in relazione alla quale si presume che una società con soli amministratori o con un numero di amministratori superiore al numero di dipendenti non sia di per sé giustificabile in termini di razionalità economica, non raggiungendo una “soglia” adeguata;

c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni: in questo caso l’iniziativa è finalizzata congiuntamente al contenimento dei costi (attraverso il contenimento dell’apparato amministrativo), al conseguimento di economie di scala ed alla semplificazione del portafoglio delle partecipazioni detenute dagli enti pubblici;

d) aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica, con l’obiettivo di accrescerne la dimensione e di favorire il conseguimento di economie di scala (ed eventualmente di scopo);

e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché attraverso la riduzione delle relative remunerazioni: quest’ultimo punto di contenuto generico – ad evidenza – si riconduce ad uno degli obiettivi generali selezionati e mira a realizzare congiuntamente (ed indirettamente) il contenimento delle spese sostenute dalle amministrazioni pubbliche partecipanti.

Si stabilisce così che “i presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, i presidenti delle province, i sindaci e gli altri organi di vertice delle amministrazioni … in relazione ai rispettivi ambiti di   competenza, definiscono e approvano, entro il 31 marzo 2015, un piano operativo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, le modalità e i tempi di attuazione, nonché l’esposizione in dettaglio dei risparmi da conseguire”.

Si può agevolmente notare che, formulando in questo modo la previsione normativa, il legislatore ha voluto imporre la predisposizione (in tempi certi) di un piano “concreto” e “specifico”, al fine di evitare semplici enunciazioni di principio che si sarebbero tradotte, ancora una volta, in un possibile fallimento o in possibili elusioni del tentativo di giungere ad un’effettiva razionalizzazione del sistema delle partecipate.

Per assicurare, poi, che il piano sia effettivamente (e tempestivamente) predisposto ed abbia i contenuti e requisiti richiesti dalla normativa, sono previsti tre adempimenti conseguenti:

1) deve essere corredato da una relazione tecnica, rispetto alla quale non è del tutto chiara la competenza alla predisposizione (ad esempio negli enti locali non è definito se debba provvedervi il segretario, il dirigente competente ovvero l’organo di revisione economico-finanziaria);

2) deve essere trasmesso (corredato dalla relazione) alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei Conti, che può svolgere così un importante ruolo di verifica;

3) deve essere pubblicato sul sito internet istituzionale dell’amministrazione di riferimento.

E’ interessante notare, in proposito, che è esplicitamente stabilito che gli organi di vertice “definiscano” ed “approvino” il piano operativo, con un regime di competenza che può essere diverso dalle previsioni specifiche degli ordinamenti delle singole amministrazioni pubbliche considerate.

Si tratta di un’opzione che, ad evidenza, rafforza il ruolo di tali soggetti nella fase di predisposizione del piano ma che implica, poi, nella fase attuativa, il concorso dei diversi organi per l’approvazione dei singoli e specifici atti destinati a rendere concrete ed operative le scelte di razionalizzazione adottate.

Tale soluzione, a ben vedere, si presenta diversa rispetto alle modalità utilizzate in passato (si pensi, ad esempio a quanto stabilito dalla L. 24.12.2007, n° 244 che riservava un ruolo fondamentale all’organo consiliare) e può certamente determinare talune criticità attuative, laddove i contenuti del piano non incontrino la totale condivisione interna.

Gli stessi organi di vertice, infine, sono chiamati alla fase della “rendicontazione”, finalizzata a rappresentare e dimostrare i risultati raggiunti mediante l’attuazione del piano ipotizzato entro il 31 dicembre 2015, che costituisce il termine specificamente individuato dal legislatore.

Tale relazione, in particolare, va predisposta entro il 31 marzo 2016, deve essere pubblicata sul sito istituzionale dell’ente e deve essere trasmessa alla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti competente per territorio.

In questo modo si chiude il circuito di realizzazione della prevista razionalizzate delle “partecipate”, avviato con la programmazione entro il 31 marzo 2015 (traguardando il 31 dicembre 2015) e concluso con un referto (entro il 31 marzo 2016) in ordine ai risultati effettivamente conseguiti rispetto a quelli programmati inizialmente.