Ai fini dell’integrazione della fattispecie delle “società a controllo pubblico”, rilevante quale ambito di applicazione, soggettivo o oggettivo, di alcune disposizioni del d.lgs. n. 175 del 2016, è sufficiente che una o più amministrazioni pubbliche dispongano, in assemblea ordinaria, dei voti previsti dall’art. 2359 del codice civile.

Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, n. 11/SSRRCO/QMIG/19, 2o giugno 2019. Pres. Angelo Buscema, Relatori  
Francesco Targia e Donato Centrone

Il quesito – La questione di diritto, sottoposta all’attenzione delle Sezioni riunite dalla Sezione regionale di controllo per Umbria con delibera di rimessione n. 57/2019/PAR, riguarda la collocazione o meno nel perimetro degli organismi societari a controllo pubblico delle  società a maggioranza pubblica, partecipate da più enti, ciascuno dei quali intestatario di quote inferiori al 50 per cento, anche in assenza di accordi o patti parasociali che configurino un’ influenza dominante.

Il tema è di particolare rilevanza, in quanto l’attrazione nel perimetro degli organismi societari a controllo pubblico comporta l’applicazione ad un numero rilevante di società pubbliche della stringente disciplina vincolistica del TUSP e delle  regole di prevenzione della corruzione e di trasparenza della L. 190 del 2012 e relativa normativa di attuazione, imposte a questa tipologia di società.

I diversi orientamenti Il ricorso alle Sezioni riunite in sede di controllo si è reso necessario, per la Sezione rimettente, per dirimere i contrasti venutisi a formare su questo tema, anche se la stessa Sezione registra nella disamina dei pareri delle sezioni di controllo una tendenziale prevalenza dell’orientamento interessato ad affermare il carattere innovativo della definizione di “controllo pubblico” fornita dal TUSP.

La Sezione remittente ricorda che la Sezione di controllo della Liguria, con deliberazione n. 3/2018 dell’11 gennaio 2018, si è  espressa a favore dell’orientamento secondo cui le società a partecipazione pubblica maggioritaria, ancorché frazionata, sarebbero sempre e comunque “società a controllo pubblico“, motivando tale pronunciamento  con il dato letterale dell’art. 2 del TUSP che assume una definizione diversa e più ampia di quella prevista dall’art. 2359 del codice civile: “mentre l’art. 2359 cod. civ., […] considera “società controllate” quelle in cui “un’altra” società dispone dei voti o dei poteri (anche aventi fonte contrattuale) indicati ai numeri 1), 2) e 3) della ridetta disposizione, in virtù del combinato disposto delle lettere b) ed m) dell’art. 2 del TUSP vengono qualificate come “società a controllo pubblico” quelle in cui “una o più” amministrazioni dispongono dei voti o dei poteri indicati nel codice civile (a cui si aggiunge la fattispecie ulteriore e autonoma, indicata al secondo periodo della lett. b) dell’art. 2 del testo unico, del controllo avente fonte in norme di legge, statutarie o di patti parasociali che, per le decisioni sociali strategiche, richiedono il consenso unanime di tutti i soci).

Ricorda ancore che la stessa posizione è stata espressa dalla Sezione delle autonomie che, con deliberazione n. 27/2017/FRG, dopo aver ricordato che le “società a controllo pubblico” sono quelle in relazione alle quali una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo, sottolinea come si tratti di definizione particolarmente rilevante, in quanto la maggior parte delle deroghe alla disciplina di diritto comune presenti nel d.lgs. n. 175 del 2016 riguardano tale tipologia di società (subito dopo evidenzia come anche le norme di cui sono destinatarie le “partecipazioni indirette” sono condizionate, in virtù dell’art. 2, comma 1, lett. g), TUSP, dall’individuazione delle società a controllo pubblico).

Da tale orientamento non si discosta neppure  la Sezione di Controllo dell’Emilia-Romagna,  che, con deliberazione n. 43 del 27 febbraio 2018, ha espresso l’avviso che “ll controllo pubblico sussista anche quando più pubbliche amministrazioni detengano la maggioranza del capitale sociale e si coordino tra loro pur in assenza di accordi formali. Pertanto, anche quando la situazione di controllo sia desumibile da meri comportamenti concludenti, le amministrazioni pubbliche socie sono tenute a considerare controllate tali società e ad includere nei provvedimenti di ricognizione anche le partecipazioni indirette possedute tramite queste società controllate congiuntamente”.

Considerazioni analoghe agli orientamenti delle suddette Sezioni di controllo sono espresse nella deliberazione n. 8/2018/PAR della Sezione di controllo per il Trentino Alto Adige, Sede di Bolzano e, indirettamente, nella deliberazione n. 14/SEZAUT/2018/INPR del 21 giugno 2018 della Sezione delle Autonomie.

Conforme alla suesposta tesi anche un orientamento assunto, in data 15 febbraio 2018, dalla struttura del Ministero dell’economia e delle finanze competente al monitoraggio delle disposizioni del Testo unico (cfr. art. 15, comma 2), e l’ANAC, che, con la deliberazione n. 1134/2017, conclude nel senso che le società in cui “una o più” amministrazioni dispongono dei voti o dei poteri enucleabili dal combinato disposto dell’art. 2, lett. b) e m), TUSP e dell’art. 2359, n. 1), 2) o 3) cod. civ. devono essere considerate “società a controllo pubblico” (considerazioni che valgono a fortiori per le società c.d. “in house”, nelle quali, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. d) e o), del medesimo TUSP, “una o più” amministrazioni pubbliche esercitano il “controllo analogo”, come definito alla precedente lettera d), mediante richiamo ai presupposti previsti dall’art. 5, comma 5, del Codice dei contratti pubblici, d.lgs. n. 50 del 2016)”.

La stessa Sezione Umbra remittente, consapevole dell’esigenza di trovare un punto di sintesi tra le istanze pubblicistiche del TUSP e le norme civilistiche che regolano la capacità di agire delle società, indica una possibile soluzione nella stipula di patti parasociali che favoriscano la formazione di volontà riferibili unitariamente ai soci pubblici, pur nella consapevolezza che  “tale soluzione non si fa carico tuttavia delle implicazioni sul piano dell’autonomia gestionale degli enti che in tal modo, con riguardo alla generalità delle scelte sociali, ivi comprese quelle che non impattano sulle previsioni del TUSP, sarebbero stabilmente vincolati alle determinazioni dei soci pubblici di maggioranza relativa. Si aggiunga che l’adesione a patti parasociali si accrediterebbe come soluzione appiattita sulla norma civilistica in quanto strumentale all’esercizio del “controllo di fatto” quale espressione dell’ ”influenza dominante” prefigurata all’art. 2359, primo comma, n. 3, c.c. Per ciò stesso, se prospettata come unica strada percorribile, tale soluzione interpretativa finirebbe per esautorare la portata delle disposizioni del TUSP in tema di “controllo pubblico”.

La stessa Sezione peraltro è consapevole che “Ancorché la stipula di patti parasociali che impegnino i soci pubblici ad uniformare le loro scelte in senso conforme alle previsioni del TUSP e limitatamente alle delibere che impattano sulle materie disciplinate dallo stesso TUSP, possa facilitare la corretta espressione di voto dei soci pubblici, resta impregiudicata l’istanza pubblicistica del TUSP volta ad affermare l’obbligo degli enti di ricercare comunque, anche per fatti concludenti, convergenze atte ad esercitare il “controllo pubblico congiunto”, posto che “le prerogative agli stessi spettanti nella qualità di soci debbono necessariamente convergere, per obbligo istituzionale, al comune interesse pubblico” , così come declinato nelle numerose disposizioni del TUSP che hanno inteso regolamentare le società a controllo pubblico”.

Per i diversi motivi esposti, la Sezione Umbra ritiene che la questione rivesta una sicura rilevanza per le amministrazioni pubbliche e, non riscontrando unanimità di pareri, richiede una pronuncia di orientamento al fine di stabilire se « le società a maggioranza pubblica, partecipate da più enti ciascuno dei quali intestatario di quote inferiori al 50 per cento, siano da considerare o meno come società controllate dai soci pubblici».

La decisione delle Sezioni riunite. Le Sezioni riunite accolgono l’interpretazione ampia secondo cui «possono essere qualificate come società a controllo pubblico quelle in cui “una o più” amministrazioni dispongono della maggioranza dei voti esercitabili in assembla ordinaria (oppure di voti o rapporti contrattuali sufficienti a configurare un’influenza dominante)». Il riferimento è all’articolo 2359 del Codice civile, richiamato dall’art. 2 del TUSP. Questo principio, aggiunge la Corte, può essere rivisto quando nonostante la maggioranza pubblica delle quote siano i soci privati ad avere «un’influenza dominante», che però va «provata» sulla base di «patti parasociali o specifiche clausole statutarie o contrattuali».

Per giungere a tale conclusione, le Sezioni riunite evidenziano che le definizioni di “controllo” contenute nel TUSP, sono più ampie (o comunque non esattamente coincidenti) di quelle civilistiche. Tale affermazione trova riscontro, in primo luogo, nell’art. 2, comma 1, lettera b), secondo cui il “controllo” da parte di un ente socio, oltre che nelle situazioni descritte nell’articolo 2359 cod. civ. (maggioranza del capitale sociale, disponibilità di voti sufficienti ad esercitare un’influenza dominante in assemblea ordinaria o di rapporti contrattuali aventi lo stesso effetto) “può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo” (con l’effetto di qualificare, ai fini del TUSP, come “socio controllante”, in presenza della necessità di un “consenso unanime” da parte dei soci che “condividono il controllo”, anche un’amministrazione pubblica avente una minima quota del capitale sociale). Non solo. Le Sezioni ricordano anche che il TUSP aggiunge alle suddette ipotesi una fattispecie autonoma, prevista alla lettera m), che, per indentificare una “società a controllo pubblico”, consente che “una o più” amministrazioni pubbliche, e non solo “una”, dispongano dei voti o dei poteri di controllo previsti dalla precedente lettera b).

Conclusioni. Riassumendo, l’orientamento espresso dalle Sezioni riunite in sede di controllo è ben motivato e soprattutto chiaro nell’affermazione conclusiva del principio di diritto, cui dovranno attenersi le diverse sezioni regionali di controllo: «Le società a maggioranza pubblica, partecipate da più enti ciascuno dei quali intestatario di quote inferiori al 50 per cento, sono da considerare  come società controllate dai soci pubblici».

Occorre ricordare, però, che di recente le stesse Sezioni riunite, seppure in diverso ruolo (sentenza n. 16 del 22 maggio 2019), hanno ritenuto che “L’accertamento della sussistenza dello status di “società a controllo pubblico” non può essere desunto da meri indici costituiti dalla maggioranza di azioni e di consiglieri nel Cda ma richiede, invece, una precipua attività istruttoria volta a verificare se, nel caso concreto, sussistano o meno le condizioni richieste dall’art. 2, lett. b) del d.lgs. n. 175/2016” , avallando cosi la scelta di una società pubblica mista, a controllo pubblico maggioritario polverizzato, a non essere considerata società a controllo pubblico e, di conseguenza, consentendole di sfuggire ai rigorosi limiti imposti dal TUSP in materia di composizione dell’organo amministrativo. (Vedi in questa Rivista l’articolo “Gli indici del controllo pubblico congiunto sulle società partecipate; vedi anche sulla rivista web della Corte dei conti l’articolo sul tema “Le Sezioni Riunite della Corte dei conti delineano la corretta portata della nozione di società a controllo pubblico, bacchettando l’interpretazione additiva delle Sezioni regionali di controllo e del Mef.).

La contraddizione fra i due pronunciamenti è solo apparente. Nella sentenza n. 16/2019, le Sezioni riunite affrontano l’ipotesi di una società mista,  il cui capitale sociale risulta detenuto per il 46,2% da un socio privato; per il 25,3% da un unico comune, per l’8,6% dalla provincia e, per la restante parte, da partecipazioni pulviscolari detenute da un gruppo di comuni minori  e dove, per clausola statutaria,  è richiesta la  maggioranza superiore all’85% del capitale sociale per le modificazioni statutarie, rendendo necessario il voto favorevole del socio privato per qualsiasi deliberazioni in merito. Ne consegue che, in assenza del voto favorevole dell’azionista privato, in quella società non possono essere modificati il numero dei componenti del Consiglio di amministrazione, l’attribuzione delle deleghe al consigliere nominato dall’azionista privato, né il quorum di 8 consiglieri su 9 per l’adozione delle principali delibere del Cda.

In questo caso, l’apparente contrasto fra i due pronunciamenti trova una composizione nella precisione finale contenuta nella la decisione 11/2019 annotata,delle Sezioni riunite in sede di controllo, secondo cui la conclusione sulla sufficienza della maggioranza dei soci pubblici per la classificazione dell’organismo societario a controllo pubblico va rivista quando, nonostante la maggioranza pubblica delle quote, siano i soci privati ad avere «un’influenza dominante», che però va «provata» sulla base di «patti parasociali o specifiche clausole statutarie o contrattuali». 

 

 


Stampa articolo