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Sulla validità delle clausole di prelazione in favore del socio privato di società miste5 min read

In poche parole …

Non appare irragionevole che al socio privato originario sia data la possibilità per statuto di rafforzare la sua posizione nella compagine esercitando il diritto di prelazione, anche se senza sottoporsi alla competizione di mercato come nel caso di clausola di prelazione impropria.

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 6222 del 17 settembre 2020 [1] – Presidente Severini, estensore Di Matteo


A margine

Il caso – Un comune propone appello avverso la sentenza con cui sono stati annullati i propri atti volti all’alienazione, per mezzo di procedura ad evidenza pubblica, delle quote detenute in una società mista, con rinvio dell’operatività della clausola di prelazione statutariamente prevista a favore degli altri soci, solo una volta individuata la migliore offerta e disposta l’aggiudicazione provvisoria.

La sentenza – Il Consiglio di Stato affronta la questione della conformità della clausola di prelazione impropria, prevista dallo statuto sociale, ai principi di pubblicità trasparenza e non discriminazione, stabiliti dall’art. 10, co. 1, del d.lgs. n. 175/2016 [2], ai fini dell’alienazione di partecipazioni sociali.

Nel caso specifico è prevista la possibilità, per i soci, di esercitare il diritto di prelazione per un corrispettivo determinato “sulla base della situazione patrimoniale esistente all’atto della cessione” con una valutazione “affidata al giudizio di un esperto nominato dalle parti o, in caso di disaccordo, da un arbitro”.

Dopo aver sottolineato che, anche in ipotesi di società a partecipazione pubblica, l’autonomia privata può limitare la libera circolazione delle partecipazioni mediante clausole di prelazione (1), i giudici di Palazzo Spada confermano la validità della clausola di prelazione statutariamente prevista, sottolineando quanto segue:

  • le clausole di prelazione rispondono all’interesse dei soci a conservare omogenea e inalterata la compagine sociale nell’ipotesi in cui un socio decida la dismissione della propria partecipazione (o di una sua parte), condizionando così l’ingresso di terzi e preservando i reciproci rapporti interni (cfr. Cass., I, 3 giugno 2014, n. 12370);
  • laddove prevista, nel caso di una società a partecipazione pubblica, la clausola di prelazione pone una barriera protettiva non soltanto all’ingresso dei terzi estranei, ma anche all’ingresso di un interesse avulso e potenzialmente confliggente con gli interessi perseguiti dai soci pubblici e sintetizzati nella costituzione della società e nella partecipazione pubblica quale strumento indiretto per realizzare obiettivi di interesse pubblico (Cfr. Cons. di Stato, sez. V, 23 gennaio 2019, n. 578 [3]);
  • ove il prezzo e le condizioni di prelazione fossero rimesse ad una procedura d’asta aperta alle offerte private, i soci pubblici si troverebbero nell’evidente difficoltà di dover competere finanziariamente con investitori privati, naturalmente orientati al lucro e non alla cura di interessi pubblici, e a tal fine sarebbero chiamati a significativi esborsi di denaro per risultare vincitori nella contesa al fine di mantenere l’originario equilibrio tra pubblico e privato.

Conclusioni – Nelle società a partecipazione pubblica (così come in quelle a intera partecipazione privata) l’introduzione di clausole di prelazione improprie, in cui la fissazione del prezzo avviene sulla base di criteri predeterminati, è ammessa per contemperare l’interesse del socio alienante, con quello dei restanti soci – pubblici e privati -, contrastando ingressi potenzialmente squilibranti la presenza pubblica.

In tali società, l’interesse del socio alienante al maggior ricavo è naturalmente recessivo rispetto a quello alla preservazione dell’equilibrio tra pubblico e privato nell’assetto societario, il quale è riflesso dell’articolazione di interessi pubblici rispetto alla prestazione del servizio ad opera della società.

Tale equilibrio, infatti, potrebbe essere seriamente compromesso dall’ingresso (grazie al prezzo di mercato offerto) di un nuovo socio privato in luogo di quello pubblico uscente, per sua natura orientato al solo lucro.

Ne deriva che, nelle società a partecipazione pubblica, la previsione del diritto di prelazione prevale sulla libera alienazione delle partecipazioni e non è vincolato all’espletamento di una procedura ad evidenza pubblica nella scelta del contraente.

In ordine all’applicabilità o meno della prelazione anche nei confronti dei soci privati già presenti nella compagine sociale, occorre osservare che, dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 175/2016 [2], il diritto di prelazione è fatto salvo nei confronti di tutti i soci, così permettendo un eventuale acquisto preferenziale delle quote non limitato ai soli soci pubblici.

In altri termini, nelle società miste a partecipazione pubblico-privato, il legislatore ha ritenuto che la funzione della clausola di prelazione – di preservare per quanto possibile l’assetto della compagine sociale – sia meritevole di tutela anche in favore dei soci privati.

Sul punto giova ricordare che, in base a quanto previsto dall’art. 7, co.5, del Tusp [2] (2), “il socio privato partecipante alla società mista viene ricercato dai soci fondatori pubblici in quanto portatore di un convergente interesse economico: ma nella misura immaginata, calcolata e definita all’atto della costituzione della società, tale da quantificare, in relazione all’attuazione dell’oggetto sociale, il rapporto stimato giovevole tra la cura indiretta di interessi pubblici e gli apporti finanziari e organizzativi tipici dell’imprenditore privato”.

La scelta del socio privato mediante procedura ad evidenza pubblica non altera ma realizza la prevista ripartizione quantitativa tra pubblico e privato nella compagine sociale (e lo stesso può accadere in occasione di un aumento di capitale).

La circostanza che ciò avvenga al momento genetico della società consente di ritenere ammissibile che al socio privato originario sia statutariamente data la possibilità (per mezzo di apposita clausola statutaria) di rafforzare in un momento successivo la sua posizione nella compagine, esercitando il diritto di prelazione, anche se senza sottoporsi alla competizione di mercato.

Le clausole di prelazione statutarie non possono pertanto essere stimate nulle anche se previste a favore dei soci privati.

Stefania Fabris

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(1) L’art. 10, co. 2, del d.lgs. n. 175/2016 [2], da un lato, stabilisce che: “L’alienazione delle partecipazioni è effettuata nel rispetto dei principi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione”, e dall’altro specifica che E’ fatto salvo il diritto di prelazione dei soci eventualmente previsto dalla legge o dallo statuto”.

(2) L’art. 7, co. 5, del d.lgs. n. 175/2016 [2], prevede che “nel caso in cui sia prevista la partecipazione all’atto costitutivo di soci privati, la scelta di questi ultimi avviene con procedure di evidenza pubblica a norma dell’articolo 5, comma 9, del decreto legislativo n. 50 del 2016 [4]”.