La cosiddetta “perequazione urbanistica”, secondo la quale i comuni possono acquisire una congrua percentuale dell’aumento di valore dei terreni generato dei piani urbanistici, tutte le volte che una variante consenta una loro utilizzazione più proficua, è legittima e non necessita di una specifica copertura legislativa in quanto attiene a principi radicati nel nostro ordinamento.

Corte costituzionale, sentenza 17 luglio 2017 n. 209, Presidente Grossi – Redattore Carosi

A margine

La questione  sorta nell’ambito di un ricorso proposto da RAI-Radiotelevisione Italiana spa e RAI Way spa, con il quale dette società  chiedevano l’annullamento dei provvedimenti relativi all’adozione del piano regolatore generale (PRG) del Comune di Roma, ed in particolare lamentavano l’illegittimità  della previsione del contributo straordinario di cui al combinato disposto degli artt. 102, comma 5, e 20, comma 3, delle norme tecniche di attuazione (NTA) di detto PRG, nella parte in cui assoggettavano ad un contributo straordinario le cosiddette valorizzazioni urbanistiche frutto della nuova pianificazione.

Il Giudice delle leggi, cui la questione era stata rimessa con ordinanza del Consiglio di Stato del 23 giugno 2015 (GURI n. 50, prima serie speciale, 2015), nel dichiarare inammissibile il ricorso, sostiene che la potestà  conformativa del territorio, di cui il Comune è titolare nell’esercizio della propria attività  di pianificazione, e il modello privatistico e consensuale per il perseguimento di finalità  di pubblico interesse, attengono a principi radicati nel nostro ordinamento, e, precisamente  da un lato al potere pianificatorio e di governo del territorio (quale disciplinato dalla legislazione fin dalla legge 17 agosto 1942, n. 1150, recante la “Legge urbanistica”) e, dall’altro, alla facoltà  di stipulare accordi sostitutivi di provvedimenti ex art. 11 della legge n. 241 del 1990» (CdS, sez. IV n. 4545 del 2010).


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